Chi ha paura della didattica a distanza?
In rete leggo messaggi di docenti che avversano sensibilmente la didattica digitale, reputandola un parto del mostro-MIUR, accanto a messaggi entusiasti dei docenti digitali per i quali la didattica a distanza è la panacea di tanti mali che aleggiano nelle classi analogiche.
La verità, imho, è che hanno entrambi torto.
Io non sono davvero completamente soddisfatto della qualità dei materiali che sto creando per i ragazzi. Se dovessi fare un corso a distanza per le mie materie, dovrei lavorare qualche mese per preparare una serie di videolezioni di 10-15 minuti a cui associare delle ricerche/gioco on line e studio su materiali didattici pensati per il digitale, forum di interazione tra utenti, esercizi di lavoro pensati per la rete, lavori su piattaforme di gamification e tante cose ancora.
Altro che Google Classroom.
Ora, questo lavoro a monte non è stato fatto, da me, dalla scuola, dagli studenti. Non ho studenti con attrezzatura hardware software decente, non ho materiali pronti. Le mie videolezioni sono troppo “frontali”, ma non posso fermare tutto per tre/quattro settimane per prepararle come andrebbero fatte allo stato dell’arte. Ci sono errori nei tempi, alcune uso un lessico che – rivedendole – cambierei, dovrei editare, rigirare, montare.
Ma farlo ora, in questa situazione, non sarebbe buona docenza, ma esibizionismo. Quello che sto facendo è il meglio possibile in una situazione di emergenza.
Con questo non voglio dire che la didattica a distanza non funzioni, ma l’opposto: la didattica digitale è stata tirata fuori oggi in maniera improvvisa e senza una preparazione di docenti, genitori e studenti.
Se le scuole avessero già implementato strumenti di didattica digitale e le utilizzassero normalmente “a regime” durante l’anno scolastico, oggi questa sarebbe un’emergenza gestita con molti molti meno problemi.
Il modello che tanti docenti (e – diciamolo – tanti studenti) hanno in testa, è la classe-bestiame in cui entrare, a forza, alle otto del mattino, e dove restare rinchiusi per sei ore ad assumere obbligatoriamente contenuti disomogenei. La sola idea di alleggerire, armonizzare, modulare questo modello con lezioni in loco e contenuti on-line, lavoro da casa, materiali didattici digitali, frequenza non obbligatoria, fa saltare un impianto mentale, legislativo, comportamentale che – imho – è uno dei grossi problemi dell’insegnamento scolastico italiano.
Non l’unico: ce ne sono diversi altri di uguale importanza, ma il rapporto che lo studente ha con la scuola e la visione che i docenti hanno del proprio lavoro (spesso visto come una “missione umanitaria” più che una professione di lavoro intellettuale) derivano anche da una sovra-struttura che soffre e non riesce a stare dietro a una realtà lavorativa e sociale che si muove in maniera sempre più rapida e pervasiva.
Tra i docenti c’è poi il timore di perdere una posizione lavorativa che bene o male si conosce per andare a fare qualcosa che non si sa cosa sia. E non si sa come.
Ieri in un thread su Facebook emergeva la paura di alcuni nel produrre – ad esempio – videolezioni: sia perché queste potrebbero essere usate dalla scuola per sostituire lo stesso docente che le ha create, sia perché potrebbero essere usate dagli studenti per fare mash-up con finalità di cyberbullismo nei confronti del professori.
Di fronte a nuovi problemi e nuove risorse, emerge l’inadeguatezza e la difficoltà di una classe docente nell’afferrare una trasformazione in corso per condurla e non esserne condotti.
Invece che prendere atto di questa rivoluzione digitale, di cui è necessario valutare gli elementi di validità ma anche i rischi, si cerca di continuare la realtà virtuale delle aule di tante scuole italiane: gessetti e lavagne di ardesia, nessuna connessione, vigilanza e valutazione.
Fuori, intanto, succede di tutto.
Ottima analisi, grazie per averla condivisa. Renderei obbligatorio scrivere a caratteri cubitali ovunque la frase “Quello che sto facendo è il meglio possibile in una situazione di emergenza”. In attesa di ripensare la didattica a distanza in modo che non sia la (brutta) copia emergenziale di quella in presenza, ciò che esprime quella frase è l’unica via percorribile per far fruttare comunque il momento. Ed è l’unico approccio per tutti, insegnanti, alunni, genitori.