Return of The Obra Dinn
Return of The Obra Dinn che dire? Un videogioco, un rompicapo, una storia? Forse tutti e tre gli elementi, anche se l’aspetto rompicapo è senz’altro l’elemento preponderante.
Una nave della compagnia delle Indie, 1800 circa, ritorna priva di marinai e di carico. Siamo incaricati di salire sulla nave fantasma e di scoprire cosa sia successo.
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Le etimologie e l’andare in TILT
Allora, questa sera -mentre si giocava a calciobalilla – parlando con i miei figli ho scoperto che una espressione gergale, penso prettamente italiana, “essere in tilt”, nel senso di non essere in grado di lavorare, tipo “sono andata in tilt”, ecco, i miei figli sapevano cosa significava ma non avevano la più pallida idea del perché del termine.
Portal (Activision, 1986): intervista a Rob Swigart
Qualche mese fa mi sono imbattuto in Portal, un videogame del 1986 scritto da Rob Swigart e prodotto da Activision per Amiga, Apple II, Commodore 64 e altri home computer dell’epoca. Ho iniziato a giocarlo/leggerlo e sono rimasto folgorato dalla modernità dell’impianto narrativo. Di fatto Portal è una vera e propria opera di letteratura elettronica, costruita come un database a cui si accede navigando tra diversi atomi di testo, così come oggi si navigherebbe su internet.
Ho continuato a leggerlo e giocarlo per diverse settimane e alla fine non ho resistito e sono andato alla ricerca dell’autore per intervistarlo e sapere come avesse fatto, trentaquattro anni fa, a progettare un lavoro così innovativo.
Rob ha risposto con grande cortesia e puntualità, e qui sotto trovate l’intervista che fotografa un momento di grande creatività dell’industria informatica e anche – se posso dirlo – il desiderio di abbattere i muri che dividono l’umanistica e la letteratura dal mondo delle scienze esatte.
Buona lettura e – ancora grazie a Rob per tutto.
Ho scoperto per caso Portal, il tuo lavoro interattivo per Activision del 1986 e sono rimasto folgorato da quanto fosse d’avanguardia il tuo progetto. Insomma, è un lavoro che è sperimentale oggi, mi immagino nel 1986.
La prima domanda: come ti è venuto in mente di fare una cosa del genere? Quale era il panorama “culturale” in cui ti sei mosso e quali i modelli che ti hanno ispirato?
Portal (Activision, 1986): an interview with Rob Swigart
A few months ago I came across Portal, a 1986 video game written by Rob Swigart and produced by Activision for Amiga, Apple II, Commodore 64 and other home computers of the time. I started playing / reading it and I was struck by the modernity of the narrative system. In fact Portal is a real work of electronic literature, built as a database which can be accessed by navigating between different text atoms, just as today we would surf the internet.
I continued reading and playing it for several weeks and eventually I couldn’t resist and I went in search of the author to interview him and know how he had done, thirty-four years ago, to design such an innovative work.
Rob replied with great courtesy and punctuality, and below you will find the interview that photographs a moment of great creativity in the IT industry and also – if I can say it – the desire to break down the walls that divide humanities and literature from the world of the exact sciences.
Happy reading and – thanks again to Rob for everything.
I accidentally discovered Portal, your interactive work for Activision from 1986 and I was impressed by how innovative your project was. I mean, it is a work that is experimental today, I could only imagine it in 1986.
The first question: how did you come up with the idea? What was the “cultural” background in which you moved and which models inspired you?
Chi ha paura della didattica a distanza?
In rete leggo messaggi di docenti che avversano sensibilmente la didattica digitale, reputandola un parto del mostro-MIUR, accanto a messaggi entusiasti dei docenti digitali per i quali la didattica a distanza è la panacea di tanti mali che aleggiano nelle classi analogiche.
La verità, imho, è che hanno entrambi torto. Continue Reading →
“Una visita al museo”, ovvero come usare le avventure testuali nella didattica a distanza
A proposito di didattica a distanza, partendo da uno stimolo di Gino Roncaglia, ho provato a usare Google Forms per trasformare un questionario sulla civiltà cretese in una breve avventura.
Si tratta di un semplice esperimento, molto elementare per quanto riguarda la parte dei contenuti, per vedere se i ragazzi, giocando, riuscissero poi a memorizzare meglio alcuni dati sulla storia.
Lo condivido nel caso possa essere di stimolo ai docenti per reinventare alcuni aspetti della didattica tradizionale.
Il gioco è disponibile a questo indirizzo: https://forms.gle/LgkRv1XK5UrnoptP8.
Buon divertimento.
È facile iniziare a programmare (se sai come farlo) #1
1. Cosa sono i linguaggi di programmazione?
Pensate al vostro cane. È sul divano. Voi entrate in sala, lo vedete sul divano, lui vede voi. Fa la faccia colpevole, sa che non deve stare sul divano. Sarebbe opportuno parlare in linguaggio canino per fargli capire il grosso errore che ha fatto, ma voi siete umani, non conoscete il linguaggio canino.
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L’opera immortale sarà un’avventura testuale
È stato interessante per me vedere come in due videogiochi grossi a cui ho giocato recentemente, uno prettamente ludico come Thimbleweed Park, e l’altro invece chiaramente “oltre” il videogioco, già in piena letteratura elettronica, Kentucky Route Zero, ad un certo punto emergesse un elemento narrativo “mitico”.
[poesia che ogni cosa distrugge]
quindi tutto crolla
la mia mano – la tua
il silenzio – il layout
il resto scompare, è scomparso
scomparirà
Il futuro non è mai come te lo saresti aspettato
Anno nuovo, nuovo testo nerd a cui ho avuto la fortuna di collaborare. Questa volta si tratta di un progetto prodotto dallo storico Blue Bottazzi incentrato sulla storia meno recente di Apple, quando ancora si chiamava Apple Computer. Il titolo è Il futuro non è mai come te lo saresti aspettato e per ora si può trovare su Amazon.
Non è solo un libro ma un vero progetto di scrittura condivisa, firmato da diversi attori che la storia della Apple l’hanno vissuta tutta per tanto, tanto tempo. Da Enrico Colombini, allo stesso Blue Bottazzi, dal sottoscritto a Enrico Lotti, da Giuseppe Turri a Fabrizio Re Garbagnati e Michele Pizzi, con i contributi finali di Carolina Bottazzi, Settimio Perlini, Stefano Porta e Marco Bambini.
Musicisti, medici, architetti, programmatori, PR, giornalisti: il punto di vista cambia continuamente dando una narrazione sfaccettata dell’oggetto che rimane al centro della narrazione di tutti: Apple, o meno, i suoi computer.
È un libro in cui l”ok boomer” è all’ennesima potenza. Levato l’intervento di Carolina Bottazzi che dà il suo punto di vista da “nativa digitale”, tutti gli altri interventi sono scritti da persone che hanno programmato con l’AppleSoft Basic dell’Apple II, che hanno toccato e usato l’Apple IIGS, che hanno visto nascere i primi Macintosh, che hanno lavorato nell’era Wozniak, Jobs, Sculley, Splinder, Amelio e di nuovo Jobs.
Chi prima, chi dopo, tutti hanno iniziato a usare macchine Apple in quel periodo dell’era computer in cui Apple faceva principalmente computer ed era una società di nicchia.
Per questo è un libro dannatamente “nerd”, che si pone agli antipodi degli altri libri Apple usciti in questi ultimi anni. Non c’è in questi racconti un compiacimento nel descrivere la Apple di questi anni, la Apple vincente sul mercato e quella che finalmente è riuscita ad avere quote di mercato transnazionali.
Anzi: c’è semmai la constatazione che questo passaggio, da Apple Computer a Apple, abbia portato una perdita, una sconfitta. Per decenni queste persone hanno sostenuto, amato, lavorato con un marchio impresso addosso e quando questo marchio è diventato mainstream, ecco, alcuni si sono resi conto che la realizzazione di quel sogno di informatica per tutti, ha dovuto sacrificare alcune delle parti più belle per realizzarsi.
C’è un clima di rimpatriata di persone che raccontano la loro esperienza con Apple e che – di fronte alla Apple di oggi – mostrano un grande rispetto, ma scarso entusiasmo.
È un testo pieno di amore per Apple, ma in un certo senso è un testo che ridimensiona la portata della visione di Apple stessa, racconta di un periodo che sembrava uno dei tanti che avremmo vissuto e che – a posteriori – si è dimostrato essere unico e irripetibile.
Un libro che – se avete avuto un computer Apple prima degli inizi del 2000 – non dovrebbe mancare nella vostra libreria.