Portal

homer

Qualche notte fa, essendo febbricitante, non riuscivo a dormire, allora ad un certo punto ho deciso di dare una occhiata a questo videogame del 1986, Portal, che mi ero segnato “da controllare” per alcuni recensioni che avevo casualmente letto.

Quando dico che stabilire l’inizio della letteratura elettronica è peggio che stabilire l’inizio del medioevo, eccolo qua: Portal, ai miei occhi, è un romanzo di fantascienza costruito come un database ad accesso organizzato.

Siamo tornati sulla terra dopo cento anni e non c’è più nessuno. Riusciamo ad accedere ad un terminale che ci permette di andare in giro per il Worldnet, troviamo vecchi messaggi, si parla di un virus, di una guerra.

Ad un certo punto troviamo Homer. Homer è una intelligenza artificiale programmata per fare storytelling. Si nutre dei sensori collegati alla rete Worldnet per generare narrazione. Ma non c’è più nessun umano, niente storie da raccontare. E Homer non può accedere a dati sensibili senza l’aiuto umano, per questioni di privilegi del database.

Il database è organizzato per tag: psicologia, storia, medicina, educazione, geografia, supporto vitale. Qualcuno ha cancellato quasi tutti i dati.

Inizia allora questo scambio tra il protagonista e Homer: l’intelligenza artificiale inizia a sbloccare contenuti che noi possiamo leggere, e leggendoli diamo materiali di narrazione a Homer che è *nato* per raccontare storie. E vuole raccontarci cosa è successo alla terra.

Il linguaggio, l’idea, la disinvoltura con cui è gestito il tutto me lo fanno sembrare un prodotto incredibilmente avanti sui tempi. Peccato che non mi fosse finito fra le mani in quegli anni.

26. febbraio 2020 by fabrizio venerandi
Categories: Interactive Fiction, videogame | Leave a comment

Kentucky Route Zero, un preambolo

26. febbraio 2020 by fabrizio venerandi
Categories: Interactive Fiction, videogame | Leave a comment

Secondo video sul gameplay di Paratopic

09. febbraio 2020 by fabrizio venerandi
Categories: digitale & analogico, Interactive Fiction, videogame | Leave a comment

Kentucky Route Zero

schermata-2020-02-05-alle-22-59-04

Allora, il 31 dicembre 2017 mi ero comprato un “videogioco” chiamato Kentucky Route Zero che mi era stato consigliato in quanto esempio di videogame narrativo molto particolare.

Continue Reading →

05. febbraio 2020 by fabrizio venerandi
Categories: Interactive Fiction, videogame | Leave a comment

Nuovo canale per parlare di Letteratura Elettronica & Videogiochi

Ho aperto un nuovo canale dove faccio lo youtuber che fa il gameplay di videogiochi.

Solo che il canale si chiama “Letteratura Elettronica & Videogiochi” e i videogame sono molto particolari.

Inizio con un video-test dedicato a Paratopic.

Buona visione.

26. gennaio 2020 by fabrizio venerandi
Categories: digitale & analogico, electronicPoetry, Interactive Fiction, videogame | Leave a comment

Dieci anni da “Chi ha ucciso David Crane?”

cover_dc_800x600

Sono passati dieci anni dalla pubblicazione di questo ebook che, assieme agli altri della collana di narrativa interattiva aperta nel 2010, ha introdotto in Italia i “librogame” digitali.
Ripubblico di seguito alcuni appunti e le scansioni delle mappe che avevo disegnato per la realizzazione di questa grande hypertext fiction, una delle prime in Italia in formato ebook.

La mia idea nello scrivere Chi ha ucciso David Crane? era stata quella di prendere alcune modalità della scrittura digitale e interattiva, estraendole dall’ambito in cui si erano sviluppate e di trattarle come se facessero parte del normale armamentario di uno scrittore.

Partire dal presupposto che fare letteratura elettronica fosse una naturale attività per uno scrittore nato e cresciuto in un mondo di videogiochi, ipertesti, codici.

Continue Reading →

24. gennaio 2020 by fabrizio venerandi
Categories: ebook concetti generali, Interactive Fiction, Programmazione, videogame | Leave a comment

Paratopic

paratopic

paratopic

Ho terminato una “sessione di gioco” di Paratopic, videogioco di cui avevo già parlato qua, che non è affatto un videogioco. Si tratta di un motore di gioco utilizzato per un viaggio in lo-res attraverso una serie di esperienze narrativo-interattive.

L’impressione di entrare in un film di Lynch, che viene spesso citato per questo lavoro, è appropriata. Solo che non stiamo vedendo un film, lo stiamo esplorando.

Non c’è modo di salvare, tutto deve essere fatto in una sola sessione. Alcune parti sono – volutamente – lente e stranianti, specie quelle in automobile.

La grafica in bassa risoluzione, i colori della palette e l’uso dei pattern, i suoni e l’uso distorto e corrotto delle voci; tutti gli elementi sono efficaci.

Ci sono diversi meccanismi tipici dei videogiochi che vengono decontestualizzati e diventano inservibili: l’arma che si trova a inizio partita, la macchina fotografica che avremo nel proseguire della storia, gli innaturali rapidi passaggi di ambiente. Ci troviamo a utilizzare un tipico meccanismo dei videogiochi, ma è un meccanismo depotenziato, non sembra funzionare. Paratopic per alcuni aspetti è un anti-videogioco.

Infine: è brevissimo, si tratta di una sperimentazione, ma è ricco di spunti di riflessione.

Mentre giravo in questa sopraelevata in auto senza sapere da dove ne venissi e dove andassi, con questa voce che proveniva dall’autoradio, deformata e solo in parte comprensibile, dove il gioco era ridotto a tenere l’auto in centro corsia di una strada deserta, ho avuto la sensazione che stessi facendo qualcosa che andava oltre alla dinamica del videogioco, pur utilizzandolo.

Alcuni momenti erano noiosi. Ecco: che il motore di un videogioco venga programmato per dare sensazioni attraverso il vuoto dei gesti e della noia è uno spunto di riflessione e di lavoro molto interessante.

Lo consiglierei? Sì, ma non a un videogiocatore qualsiasi. Qua siamo nel campo della letteratura elettronica o del videogioco artistico/narrativo.

24. gennaio 2020 by fabrizio venerandi
Categories: videogame | Leave a comment

La mia tastiera preferita

69223106_10220944613511051_3421189657424035840_o


69223106_10220944613511051_3421189657424035840_o

Ho già scritto diversi post sull’argomento, ma di tanto in tanto qualcuno mi chiede quale sia la mia tastiera preferita.

Devo fare una premessa: come scrittore io scrivo con qualsiasi cosa. Tastiere a membrana, meccaniche, scissor, farfalla, note vocali, qualunque cosa che produca testo ad un certo punto finisce sotto le mie dita in un momento in cui ho bisogno di scrivere e ci scrivo, adattandomi alla tecnologia che sto usando, buona o cattiva che sia. E mi rendo anche conto che variare tastiera fa bene. Passare dalla scissor del macbook, alla meccanica del desktop, scrivere una nota al volo con un touch e via dicendo permette di non fissarsi con un solo meccanismo e di non creare poi patologie particolari quando ci si trova in ambiente ostile. Il mondo è un ambiente ostile, pieno di meccanismi che non sono la perfezione a cui noi tendiamo. Possedere qualcosa di perfetto, tecnologicamente perfetto, può essere un problema perché ti vizia e ti rende faticoso usare cose mainstream. Si rischia di cadere nello snobismo tecnologico.

In realtà non ho una tastiera preferita, ma ho un tipo di tastiera con cui mi trovo bene. Nel mio caso, la mia tastiera perfetta è una tastiera compatta, senza tastierino numerico, con tasti meccanici rumorosi. Il meccanismo con il quale mi trovo meglio è quello dei Cherry MX Blue, che ho usato per molti anni con la mia SMK-88, ma recentemente ho provato anche cloni cinesi della Cherry MX Blu che sono più che dignitosi, come i Gateron della tastiera che sto utilizzando in questo periodo.

Quello che mi piace di questa tastiera è il rumore che mi dà la certezza di aver premuto il tasto. Spesso scrivendo mi accorgo di aver fatto un errore di battitura, non perché lo abbia letto sullo schermo, ma perché ho sentito che nel suono qualcosa non andava bene: avevo premuto un tasto in più o me ne ero perso uno per strada. Questo rende la mia scrittura più precisa. La seconda cosa che apprezzo di questo tipo di tastiere è che il tasto meccanico non richiede una forte pressione: una volta presa confidenza con la tastiera è sufficiente premere solo parzialmente i tasti per scrivere, senza essere costretti per forza ad arrivare a fine corsa. Questo rende la scrittura più rapida e piacevole, meno stancante.

La meccanica rumorosa ha però un difetto: fa rumore. Se si è persone che hanno rapporti sociali con terzi, questo può essere un problema. Non tutti – pare strano a dirlo – apprezzano di stare nella stessa stanza nella quale qualcuno sta scrivendo freneticamente con una tastiera meccanica Cherry MX Blue, specie se questo qualcuno è tuo marito.

Scrivere, è bene ricordarlo, è una attività che disturba.

Il mio consiglio è di provare una di queste tastiere prima di acquistarla. Se un tempo questo consiglio sarebbe stato impensabile perché nessun negozio le aveva a disposizione per il pubblico, recentemente mi è capitato di vederne diverse anche nei grandi magazzini tecnologici, spacciate come tastiere per giocare. Siano benedetti i videogiochi e i nerd: questo mercato ha sdoganato un prodotto che – sarà anche utile per giocare – ma è altrettanto importante per chi usa la tastiera per quella cosa ammantata di nobiltà che è la scrittura.

23. gennaio 2020 by fabrizio venerandi
Categories: digitale & analogico, Programmazione | Leave a comment

Il 2020 sarà l’anno degli ebook

Parlavo con un amico che qualche settimana fa chiedeva notizie dal mondo degli ebook. Cosa è successo a questa rivoluzione che doveva cambiare il modo di leggere?

In parte ho risposto negli anni passati con il post tradizionale che scrivo ogni primo dell’anno: la lettura digitale è in realtà già parte di noi; quello che state leggendo è scrittura digitale. È scrittura digitale quello che scrivo su Facebook, è narrativa elettronica il mondo dei videogiochi narrativi, testuali e non.

Ma non sono ebook. Che è successo agli ebook? Perché ci sono così pochi ebook simili al mio Poesie Elettroniche in giro per gli store?

Perché non c’è mai stato questo tanto agognato “anno degli ebook”? La rivoluzione del libro digitale non è mai arrivata? Non arriverà mai?

Prima di rispondere premetto una cosa: non ho mai avuto il desiderio di azzeccarla. Non scrivo di quello che sarà il futuro della scrittura con la sfera di cristallo e doti di preveggenza. Preferisco dire alcune cose che ho visto da vicino in questi dieci anni, con le cose che ho fatto nel mondo dell’editoria digitale.

  • tecnicamente, i formati per fare ebook, sono un mezzo disastro. In tutte le loro versioni sono un accrocchio di specifiche nate per fare pagine web, adattate alla ben e meglio per fare ebook. La sovrastruttura creata da IDPF sopra i sistemi di marcatura per il Web è stata carente, debole e confusa.
  • i programmi per leggere ebook sono un mezzo disastro. Le specifiche vengono regolarmente disattese, il supporto è disordinato e gli investimenti per le applicazioni sono insufficienti. Non esistono killer application per la lettura digitale, in nessuna piattaforma, per nessun sistema operativo. Sembra che gli sviluppatori abbiano una coperta corta e dove uno copre l’altro lascia scoperto.
  • nessun editore ha fatto investimenti importanti per formare lo stato dell’arte della letteratura digitale. Tutto lo sforzo è stato impiegato per digitalizzare alla ben e meglio il catalogo dei propri libri e per continuare a creare porting digitali di libri pensati solo ed esclusivamente per la carta. Il goal era quello di avere più ebook possibili nel motore di ricerca di Amazon. Per poi lamentarsene.
  • i grossi distributori/player come Apple o Amazon sono – paradossalmente – i primi ad avere inserito un grosso freno a mano. Hanno usato i propri formati proprietari, le proprie applicazioni di lettura e i propri DRM per rallentare qualunque sviluppo degli ebook che non fosse quello del porting digitale di libri di carta.
  • gli autori, i critici, gli operatori culturali che hanno a che fare con i libri, tranne rare, meravigliose eccezioni, non sanno trattare cose che non siano libri. Di fronte a qualcosa che fa poesia e narrazione che non ha pagine che si sfogliano, sono perduti. Fingono di non vedere. Se possono scriverne, ne scrivono male.
  • la creazione di un ambiente di creazione di letteratura digitale, a cui sta lavorando oggi il W3C, arriverà al termine di un lungo processo. A queste nuove specifiche seguiranno ulteriori scarti, altri freni a mano, altre mancate implementazioni. Non ci sarà un anno degli ebook.
  • chi fa oggi veri ebook, sono realtà marginali, piccoli editori settoriali, enti pubblici, autori illuminati. A più di dieci anni dall’arrivo degli ebook, fare ebook che siano nativi digitali è ancora attività di sperimentazione e di nicchia.
  • la scolastica sarebbe potuta essere una delle teste di ponte per la creazione di ebook davvero digitali. Non è così, per così tanti motivi che preferisco non entrare nemmeno nel discorso. Zaini gonfi e pedalare.
  • i lettori di ebook sono spesso i primi a ritrarsi indietro di fronte a qualcosa che non sia la riproduzione del loro amato libro di carta. Il feticcio creato dalla rilegatura di pagine di carta è talmente forte che anche i lettori digitali si rivelano in realtà più conservatori degli amanti dell’odore della carta.

Quindi? Non mi stupisco più di niente. Per me potrebbe domani cambiare tutto, ma l’impressione che ho oggi è di una serie di serpenti che stanno mordendosi la coda vicendevolmente e che queste morsicature, sostanzialmente, gli stiano bene. Finché non succederà qualcosa di grosso che tocchi tutti gli attori di questo panorama, l’ebook resterà a rosicchiare anno dopo anno margini della sua percentuale. Continuando a fingere di essere un libro di carta per non farsi scoprire.

01. gennaio 2020 by fabrizio venerandi
Categories: digitale & analogico, ebook concetti generali, Scuola | Leave a comment

Tacoma

Tacoma

Ho terminato qualche settimana fa Tacoma, un’affascinante lavoro di narrazione video-ludica prodotto dagli stessi autori di Gone Home.

La narrazione inizia con l’arrivo di una donna presso una base orbitante spaziale abbandonata. Quella donna siamo noi. Nel corso della storia veniamo a scoprire che facciamo parte di una ditta in subappalto per recuperare i dati della IA che gestiva la base. Nella base è successo qualcosa, ma – almeno inizialmente – non è molto chiaro cosa.

Nel portare avanti il nostro lavoro riusciamo ad accedere ai dati corrotti, ma in buona parte leggibili, delle realtà virtuali degli astronauti/operai che lavoravano all’interno. Quando riusciamo ad accedere a queste parti, davanti a noi si animano le sagome tridimensionali, ricostruite al computer, di queste persone che noi non abbiamo mai visto.

Queste sagome parlano, si dicono cose, accedono alle loro chat, camminano, per tutta la zona di tempo registrata, in genere due o tre minuti.

La cosa affascinante è assistere ad un dialogo di due minuti tra due membri dell’equipaggio, e alla fine vedere arrivare un terzo personaggio che interviene e dice qualcosa. E lì finisce la registrazione. Allora noi rimandiamo indietro la registrazione e cambiamo stanza, in modo da capire da dove venisse il terzo personaggio, con chi era, e cosa stava dicendo o facendo mentre i primi due parlavano. E magari scopriamo che questo terzo personaggio a sua volta era con qualcuno che poi si era diretto in un altro punto dell’astronave. Così rimandiamo ancora indietro la registrazione per capire anche la storia di questo quarto personaggio e così via.

Scena da Tacoma

Ogni registrazione diventa una sorta di performance registrata multi-persona e multi-ambiente, all’interno della quale possiamo viaggiare come un voyeur, sia nello spazio che nel tempo. L’impressione è di accedere a un filmato multiluogo che vediamo e rivediamo più volte, da ogni angolazione, per farci una idea delle azioni complessive avvenute in un determinato luogo e determinato spazio.

Più che un videogioco sembra una performance teatrale digitale che avviene in diversi luoghi contemporaneamente alle quale possiamo assistere giocando con lo spazio e il tempo, avendo anche la possibilità di bloccare la registrazione e accedere ai dati personali, mail, chat, web, che un determinato personaggio stava utilizzando nel momento della registrazione.

I dati sono corrotti, instabili, emergono le menzogne, le paure, gli amori e le incoerenze di una storia che nasconde qualche segreto e qualche colpo di scena.

Alcune cose che scopriamo nei ricordi poi ci servono nel tempo reale, per muoverci nella base spaziale abbandonata e per soddisfare la parte gaming del gioco.

E colpisce la ricerca di verosimiglianza anche nelle piccole cose, le reclame, i dati importanti dei pad di questi astronauti accanto alle pagine aperte per gli acquisti online, le chat accanto alle mail per i figli, i volantini per le vertenze sindacali, i soldi.

Anche se il gioco si esaurisse in questa progressiva conoscenza di eventi e di relazioni, si tratta di un pezzo di letteratura, di narrazione elettronica di grandissimo impatto.

Scena da Tacoma

05. dicembre 2019 by fabrizio venerandi
Categories: Interactive Fiction, videogame | Leave a comment

← Older posts

Newer posts →