non sono più quello che ero
Continue Reading →Il 2019 sarà l’anno degli ebook
…ma anche no.
È un genere di scrittura fiorente in internet quello di predire il futuro della lettura e, più precisamente, l’anno in cui gli ebook prenderanno il potere nel mondo.
Magari può essere di qualche aiuto l’appena uscito rapporto PRODUZIONE E LETTURA DI LIBRI IN ITALIA a cura di Istat, che fotografa il mercato editoriale italiano del 2017. Per quanto riguarda il digitale non ci sono grosse sorprese: circa il 10% degli italiani leggono ebook e i testi elettronici contribuiscono a non più del 10% del fatturato di una casa editrice. Il numero di testi disponibili in digitale sale, ma poco: le grosse case editrici non propongono in ebook nemmeno il 50% dei testi pubblicati (circa il 44%), percentuale che scende sensibilmente per le case editrici medio/piccole. Solo il 15% degli ebook ha funzionalità aggiuntive rispetto alla copia cartacea (percentuale che mi pare comunque abbastanza improbabile).
Il sogno dell’anno degli ebook è ormai finito da tempo: come ho già scritto in passato, non ci sarà un anno in cui i testi cartacei saranno sostituiti da ebook. Ma è in atto un processo di mutamento delle abitudini di lettura che vanno oltre l’oggetto libro. Certe cose che oggi leggiamo su carta semplicemente non le leggeremo più su carta, certe cose che un tempo erano gestite da riviste e libri saranno gestite in digitale.
La lettura in digitale è inarrestabile e sta continuando a piantare i suoi paletti e a costruire le sue fondamenta. Ne parlerò dopo. Prima vediamo quello che potrebbe davvero essere il 2019.
Il 2019 sarà l’anno dei librogame
Una delle cose che mi ha stupito a Lucca Games è stata l’emersione dei libri gioco. Dopo decenni di rimozione mi pare di aver colto diversi segnali di un ritorno di interesse, dal basso. Non che i libri gioco se ne fossero davvero andati via, ma restavano confinati, come prodotto, ad una nicchia di auto produzioni o di pubblicazioni di massa abbastanza particolari (penso, ad esempio, al curioso Ke amico 6? di Luca Zanforlin).
A Lucca c’erano di nuovo i libri gioco, come se fosse una cosa normale e anche l’atmosfera che si respira nei siti carbonari come Librogame’s Land è quella di un accesso ad un pubblico nuovo rispetto al passato.
Ultimamente, quando vedevo un ragazzino prendere in mano uno dei miei vecchi librogame, ecco, vedevo lo stupore per una cosa nuova e per molti aspetti interessante. La rimozione del prodotto librogame per due decenni fa sì che oggi possano essere percepiti come una novità soprattutto da un pubblico che non ha mai visto il boom degli anni ottanta/novanta.
Ma la cosa che più ho trovato intrigante a Lucca e vedere come questi libri gioco non siano solo libri-gioco: hanno assorbito l’esperienza di quello che c’è stato prima di loro. Questi libri gioco sono racconti, prima di tutto. E quindi accanto a strutture di librogame tradizionali ci sono romanzi interattivi che non avrebbero sfigurato nella collana delle Polistorie di Quintadicopertina, accanto ancora a libro game multi lettore, memori delle esperienze anni ottanta di Sfida per il trono.
La mia impressione è che questo ritorno sia un ritorno più adulto e da subito più consapevole di quello che è possibile o non è possibile fare con la narrativa non lineare. E questo penso sia un buon segnale per chi scrive e legge questo tipo di narrazione, in ebook o in carta.
Perché i Librogame non sono solo libri gioco
Per capire cosa sia un librogame alzerei un po’ la testa dal librogame per vedere cosa c’è attorno. Ad un livello più alto di classificazione io vedrei la Narrativa non lineare, opere in cui la lettura non avviene leggendo le pagine le une dopo le altre (sempre che ci siano ancora pagine), in maniera lineare, paragrafo dopo paragrafo, ma nei quali è richiesto un intervento del lettore nello scegliere quali materiali leggere e in che ordine.
All’interno di questo macrogruppo identificherei certamente i Librogame, testi nei quali la lettura avviene tramite meccanismi di carattere ludico nei quali la storia narrata è funzionale ai meccanismi stessi e nei quali spesso al lettore è chiesto di identificarsi con il protagonista e la *Letteratura elettronica* lavori in cui la progettazione del testo vive assieme a codice software che crea interazioni con il lettore “native digitali”.
Ad esempio: Lifeline ricade nella letteratura elettronica così come i prodotti di interactive fiction (e le avventure testuali), Abiura nella letteratura non lineare così come S. La nave di Teseo o Infetto! (pur essendo completamente differenti). Lupo solitario è un librogame.
Sarebbe lungimirante da parte degli amanti dei librogame, della letteratura elettronica, della narrativa interattiva e dei siti che li aggregano, non limitarsi alla forma del loro prodotto culturale escludendo i prodotti di narrativa non lineare, librogame, interactive fiction e letteratura elettronica.
La frammentazione dei prodotti di narrativa non lineare (di cui i librogame sono un sotto-gruppo) e di letteratura elettronica ha in passato indebolito questo modello narrativo, creando tanti “ghetti” settoriali commercialmente poco visibili e fragili in termini di comunicazione.
Senza contare che queste classificazioni sono utili forse a livello di comunicazione commerciale, ma sono invece un impedimento a livello creativo e progettuale.
Molti prodotti sono già oggi bordeline: Lifeline è letteratura elettronica, ma usa idee che vengono tanto dalle IF che dai librigioco, Infetto! e Abiura sono narrativa non lineare, ma sono chiaramente influenzati dalla struttura dei librogame più ludici: insomma sarebbe intelligente riuscire a creare un melting-pot di tutti i prodotti fratelli anche se non ludici o non rigidamente librogame di tipo classico.
Ed è un ritorno che tocca ancora il digitale. Se nel 2010 quando progettavamo con Enrico Colombini e Antonio Koch le prime polistorie, che oggi potrebbero essere catalogate come ebook-game e romanzi interattivi, eravamo visti come dei pazzi che facevano cose fuori dal tempo, recentemente nuove collane sono nate per presentare racconti e storie a bivio, native digitali: da Infetto alla collana dedalo di Antonio Tombolini. E molte altre stanno arrivando, nuovi motori per costruirne, partendo dalla MEDUSA di Enrico fino alle nuove sperimentazioni di Lagol di E-paper adventures.
Senza parlare dei media non-libro, come le serie Minecraft Story Mode o la puntata Bandersnatch di Black Mirror, dove lo spettatore Netflix può impattare la storia che sta guardando scegliendone lo sviluppo.
Il 2019 sarà l’anno delle pubblicazioni digitali
È innegabile che gli ebook, ePub e prodotti Kindle, non siano riusciti a proporsi come prodotti di rapido sviluppo, non solo per fare letteratura elettronica, ma anche per reinventare il vecchio prodotto libro. In passato, più che una reinvenzione, è sembrato uno scimmiottamento. Anche per questo sono da tenere sott’occhio i Working Draft per le Web Pubblication recentemente pubblicato da W3C.
Gli ebook non sono morti, ma stanno cambiando pelle, trasformandosi in pubblicazioni digitali che – in qualche modo – cercano di liberarsi del feticcio libro per trovare una nuova via, una strada che stia in mezzo tra il sito web e il testo tradizionale. Che sia sostenibile per la casa editrice e che non perda la possibilità di sperimentare e di raccontare in maniera nuova e contemporanea.
Sul come si possa pensare di strutturare le proprie idee in maniera digitale ho scritto un breve articolo che trovate sul Vol 3 No 3 di DigitCult, appena uscito.
Sono alcuni appunti di scrittura digitale per le pubblicazioni accademiche, che seguono un discorso intessuto da e con Gino Roncaglia e che saranno seguite da altri interventi di Francesco Leonetti e Federico Meschini nei prossimi mesi.
L’idea è quella di scrivere cose che non si leggono pagina dopo pagina, ma che si riuniscono per aggregazioni, si chiudono, si aprono per approfondire, mostrano i commenti di chi sta scrivendo il pezzo, si aggiornano nel tempo, hanno contenuti sensibili che – se toccati- modificano le infografiche a loro correlate.
Ma perché perdere tutto questo tempo con la letteratura elettronica, con le storie non lineari, con i videogiochi e con la saggistica atomica e multimediale?
Perché siamo nel 2019 ed è naturale farlo, anzi, è innaturale pensare di non gettarsi a capofitto in questa bellezza. Perché ci sono strumenti che dobbiamo padroneggiare per fare le cose che vogliamo noi e non essere utilizzati come generatori di metadati e contenuti sociali. Come user, come consumer.
Perché si tratta di una rivoluzione tecnologica in atto, che sta cambiando il nostro modo di esprimerci, il nostro modo di gestire il tempo e le informazioni, la nostra cultura e il nostro divertimento.
Perché è un campo di lavoro in cui c’è ancora tanto da progettare e provare, mappe ancora vergini e leoni dappertutto.
Niente pixel nel mio ebook, grazie
Oggi ero in uno studio che stava lavorando ad alcuni ebook e uno dei grafici mi mostra del CSS per ebook che una casa editrice gli aveva dato come modello per alcuni ePub che erano in lavorazione.
Inizio a leggerli e ho il solito giramento di testa. Ancora oggi, a più di otto anni dall’arrivo degli ebook in Italia, circola una tipografia impropria. Sostituite a impropria un qualunque termine a vostro piacimento che io non posso scrivere nel mio blog.
Ad esempio, ad un certo punto, mi imbatto in diversi margini e valori di rientro prima riga con valori in pixel. Non è la prima volta. Mi è capitato anche di trovare ebook di grosse case editrici nazionali con i valori di dimensione font in pixel.
Il grafico nota il mio malessere e mi chiede se sto bene e io dico no e indico con un dito i pixel. Lui mi chiede, ah, ma è sbagliato usare i pixel come unità di misura nel CSS?
Lo scrivo allora qua nel mio blog: sì. Se state facendo un ebook, e volete farlo bene, non usate come unità di misura i pixel. Perché?
Perché i pixel non sono un unità di misura proporzionale e – paradossalmente – nemmeno assoluta. Se io dico che dopo una immagine voglio un margine di 100 px
io non ho la più pallida idea di quanto sarà poi nel mondo reale questa dimensione.
Questo perché il pixel non ha una dimensione. Il pixel è il punto minimo di uno schermo, un piccolo pallino luminoso, o inchiostrato nel caso degli ebook. Ma io, creatore di ebook, non so quanti ce ne siano nel dispositivo di lettura, e nemmeno quanto sia grosso questo pixel.
Infatti ogni dispositivo ha una dimensione diversa e come se non bastasse, anche a dimensioni uguali, ha una diversa densità di pixel per pollice (ppi
): un tablet Android trovato omaggio nel fustino del detersivo avrà una densità di pixel minore rispetto ad un iPad retina ultimo modello made in Cupertino.
Cosa intendo per densità di pixel? Intendo dire che in un centimetro lineare del tablet low-price trovato nel detersivo ci saranno una cinquantina di pixel. Nel monitor per desktop che sto utilizzando ora ce ne saranno poco più di trenta. Nell’iPad lo stesso centimetro lineare ne conterrà più o meno un centinaio.
Senza toccare il discorso della qualità della lettura, questo significa che se io do un margine di 100 pixel a una immagine, otterrò un margine di due centimetri nel tablet a bassa risoluzione, meno di un centimetro in quello ad alta densità di pixel, quasi tre nel mio monitor per desktop.
Immaginatevi cosa succede quando i valori in pixel sono molto bassi, cinque o dieci pixel di margine o di rientro: in alcuni dispositivi semplicemente scompaiono.
Quindi: non usate pixel per dare valori a spazi che in un ebook vanno sempre e solo gestiti con valori relativi. Saranno invece vostri amici em
, %
e tutte le altre unità di misura che si relazionano alle dimensioni fisiche del device di lettura utilizzato.
Quanti pixel dovranno ancora essere versati prima che gli editori si decidano ad investire in ebook più belli dei libri di carta?
Alessandro Manzoni, Netflix, il self publishing e i DRM watermark
Allora, il tema del post di oggi verte sul fatto che è orribile studiare letteratura senza mai toccare con un bastone l’editoria, ovvero il mercato, i soldi.
A scuola, accanto alla storia della letteratura, va studiato il mercato editoriale, sia dal punto di vista tecnologico che commerciale.
Prendiamo il Manzoni, Alessandro dico. A scuola si insegna che fa due versioni dei Promessi Sposi, la ventisettana (pubblicata nel 1827) e la quarantana (pubblicata nel 1840).
Ora, in molti libri di testo queste sono le uniche informazioni che si trovano, specie sulla quarantana. Pubblicata nel 1840 con una revisione linguistica per avvicinarla al parlato fiorentino.
Messa così, IMHO, l’informazione è falsa.
Manzoni non pubblica la quarantana nel 1840. Manzoni fa molto di più: anticipa Netflix e adotta i DRM, con un certo anticipo sui tempi.
Il nostro autore infatti era abbastanza scocciato del fatto che molte copie della ventisettana fossero state vendute illegalmente, copie illegali del romanzo che venivano stampate da tipografie con pochi scrupoli e su cui il nostro Manzoni non aveva controllo commerciale.
Manzoni allora pensa di farne una nuova versione, non solo per motivi linguistici, ma anche per eliminare il problema delle copie illegali e per trovare un nuovo successo popolare adottando nuovi media. La quarantana è tutto questo.
La quarantana non è un libro: esce ad episodi, uno ogni quindici giorni, come le puntate di Netflix. Stiamo parlando di 108 episodi quindicinali che accompagnano i lettori per due anni. Non vi siete mai chiesti come mai certi capitoli terminano dei Promessi Sposi terminano con degli cliffhanger da paura? Perché erano *davvero* degli cliffhanger. Quello che sarebbe successo alla povera Lucia lo avremmo scoperto alla puntata dopo, alla prossima dispensa.
E Manzoni decide anche di mettere dei DRM nel libro: chiama un illustratore e fa illustrare tutte le dispense, tutte e 108. Ogni tot pagine c’è una illustrazione, ce ne sono molte, oltre 400, tutte in dispense rilegate e lussuose, in modo che fossero più difficili da copiare mantenendo la stessa qualità tipografica e artistica, e in modo da “beccare” eventuali stampatori che avessero cercato di copiare illegalmente il testo. Non ultimo, le illustrazioni aiutano a capire la storia. Manzoni scrittore pop, vuole che la storia abbia un seguito popolare.
E la quarantana ha anche i contenuti speciali: l’edizione esce infatti con un libro in più rispetto alle copie illegali. Si tratta de ‘La storia della colonna infame’, vero e proprio bonus per chi si abbonava all’acquisto delle puntate originali dei Promessi Sposi.
Non basta? Manzoni era anche self-publishing: tutto il progetto della quarantana è una azione imprenditoriale che lo scrittore affronta in prima persona, investendo direttamente e facendosi stampare a sue spese le dispense.
E – infine – un dato che a scuola non viene mai nominato: i soldi. Quante copie sono state vendute? Quanta gente leggeva la quarantana? Manzoni è stato un buon imprenditore di se stesso?
La tiratura nominale era di 10.000 copie. Ma le vendite non hanno mai superato le 5000 copie. I lettori dei Promessi Sposi non erano venticinque, ma qualche migliaio. Il motivo delle copie non vendute? Costavano troppo.
Un ebook reader a colori per le scuole (cinesi)
Avevo parlato qualche tempo fa del progetto di Onyx per le scuole cinesi: un ebook reader a 10.7 pollici a colori. Ecco: si chiama Onyx Youngy Boox Sports, a Francoforte ce ne era uno, potete vedere a calce di questo post il video di lesen.net. Si tratta chiaramente di un modello nato per le scuole, con un firmware ad hoc che sembra comprendere anche modalità di scrittura, esercizi a casa ed altro.
Sostanzialmente il progetto che mi pare di intuire dietro al tutto è quello di sostituire i libri e quaderni di testo con un ebook reader a colori. Vantaggi del socialismo reale.
Differentemente da The Digital Reader che pare abbastanza scettico sul progetto (“meglio un tablet”, dice in sostanza), credo che si tratti invece di un esperimento di una certa importanza. Per quanto l’e-ink a colori non abbia i numeri per sostituire i tablet, potrebbe invece essere un buon prodotto di transizione per chi voglia leggere saggistica in e-ink con il vantaggio dei colori per tutto ciò che riguarda la didattica spicciola (grafici, elementi di memorizzazione della pagina, schemi).
Esperimenti dello stesso tipo fatti in passato con i tablet hanno dato risultati contrastanti. Accanto a relazioni positive ho sentito anche feedback di studenti che lamentavano male agli occhi, fastidio e distrazione con lo studio applicato ai tablet in luogo dei libri.
Un e-reader a colori, con firmware e software progettato ad hoc per la scuola, potrebbe essere qualcosa di sostanzialmente diverso. Ad oggi comunque l’Onyx Youngy Boox Sports è destinato al solo mercato cinese.
Una bestia bellissima
È estate e sto nuotando al largo della costa genovese, seguo mia moglie che davanti a me va avanti a bracciate di stile libero. Io da dietro vedo il suo braccio che emerge dall’acqua, si alza fino a coprirmi il sole e poi ricade a getto nel mare e lì si perde.
Io nuoto, lentamente dietro di lei e penso che ogni sua bracciata mia moglie crea dei metadati. Alza il braccio e il suo orologio marino si connette al gps, registra la sua posizione, la variazione rispetto alla bracciata precedente, e registra tutti questi metadati, crea una mappa che mostrerà a mia moglie alla fine della nuotata. Ogni bracciata, metadati, questa cosa mi impressiona. Alla sera a casa saliremo poi su una bilancia che avrà registrato il nostro peso e lo manderà ai nostri smartphone via bluetooth per gestire lo storico del peso e darci consigli sulla nostra forma.
Questa cosa mi impressione, ma mi affascina.
Oggi camminavo con mia figlia, il mio orologio vibrava ogni chilometro percorso, mi dava i dati della mia passeggiata e io guardavo il fiume che scorreva davanti a me, saltavo sulle rocce. Sapevo che la mia memoria registrava quel ricordo, che pezzi di quelle tre ore di camminata sarebbero restati dentro di me, ma nello stesso tempo anche lui stava registrando, l’orologio, macinava dati, parallelamente alla realtà c’era una seconda realtà matematica, interrogabile che si stava formando, pronta per essere condivisa, registrata.
Anche questa cosa che sto scrivendo, nel momento che premerò il pulsante pubblica entrerà in circolo, verrà scandagliata da motori, sminuzzata, formalizzata e diventerà anche lei pura matematica, carne per algoritmi che la linkeranno a tutto questo universo di metadati. Faranno cose con le nostre parole e i nostri pensieri che noi nemmeno immaginiamo.
Quello che un romanziere di fantascienza non indovinerebbe adesso è che questo grande meccanismo non serve a rendermi più intelligente: è un sofisticato sistema che ha come fine farmi apparire la reclame di un nuovo sportwatch mentre navigo in rete. È un meccanismo che si rompe facilmente, basato su un sistema di mercato di merci fragili, marchi volatili, sistemi di supporto clienti inadeguati. Viviamo in un romanzo di fantascienza con le pagine di carta velina che emozionano e si strappano mentre le giriamo, tanto che ogni tanto non siamo più sicuri di quello che abbiamo appena letto e di quello che intravvediamo sul retro della pagina.
DNE EHT
Adesso, qua in cucina, sto asciugando i capelli a mia figlia con l’asciugamano, sento il suo odore di bestia e di sapone che si mescolano, le sue parole che emergono dalla stoffa rosa dell’accappatoio. E penso che questa cosa è soltanto mia, sarebbe soltanto mia se non avessi anche io dentro di me un meccanismo che mi porta a generare metadati di quello che sono e che sono stato. Siamo una generazione di violatori della nostra privacy, amanuensi che copiano dal reale al digitale ogni cosa che facciamo per tenere viva questa bestia bellissima che ansima per noi ad ogni ora della notte e del giorno.
Il futuro del libro è il libro (ed è già passato)
Sono dunque andato al simposio del premio Möbius 2018 all’interno dell’affascinante struttura del LAC dove ho potuto mostrare le Poesie Elettroniche, spiegandone le caratteristiche tecniche e formali, per poi ritirare la menzione con cui sono state premiate. Non nascondo che mi ha fatto piacere trovare un riscontro positivo per questo modello di letteratura elettronica in ebook e devo ringraziare tutte le persone con cui ho avuto modo di parlarne. Le parole, tra gli altri, di Massimo Bray, Derrick de Kerckhove, Alessio Petralli e Enrico Varsi mi sono state di grande conforto.
Uso il termine conforto perché il simposio è stato anche un momento di incontro per riflettere sull’editoria digitale, sui suoi limiti, gli inciampi e sulle sue possibilità. Il tema è stato affrontato con la consueta lucidità da Gino Roncaglia, Massimo Bray e Gualtiero Carraro, in tre interventi che – nonostante i tempi molto ridotti – hanno circoscritto alcune tematiche che ritengo interessanti.
Quelle che scrivo sono alcune mie impressioni, nate dall’ascolto degli interventi, ma anche dalle chiacchiere informali avvenute durante la giornata.
Il punto che mi sembra più interessante è che nessuno ha mai parlato di libri. L’oggetto libro è un elemento estraneo al digitale. Massimo Bray, parlando di diversi progetti di sviluppo della Treccani (tra cui quello de Il Tascabile che non conoscevo), ha sottolineato anzi il passaggio dal multimediale al crossmediale, come ecosistema capace di adattarsi a diversi livelli di audience. L’interesse non è la riproduzione del libri in digitale, semmai è trovare modalità per dare memoria e certificazione ai saperi che viaggiano fuori dagli oggetti libro, primariamente su internet. Creare una società della conoscenza e non solo della partecipazione
, e qua credo che anche l’oggetto ebook potrebbe porsi come trait-d’union tra le due forze.
Gino Roncaglia ha rubato una immagine a Jerome K. Jerome paragonando l’editoria tradizionale a qualcuno intento a schiacciare noci per uno scoiattolo, dove in questo caso gli scoiattoli sono bestie enormi come Amazon, Apple, Google. L’editoria digitale basata sull’oggetto libro è ferma, sia come innovazione, sia come mercato, sia come prospettive di sviluppo. Il ritorno alla carta è un’illusione. Come scrivevo su questo blog qualche tempo fa, i piccoli aumenti percentuali delle vendite dei libri tradizionali non sono dovuti al fatto che si legge di più e si vendono quindi più testi, ma che i libri costano di più. Se ne vendono meno, a prezzo più alto. C’è poi un problema hardware che sta frenando l’innovazione del libro nativo digitale: la forte differenza tra i dispositivi e-ink, smartphone e tablet/desktop che vincolano lo sviluppo di letteratura elettronica. In ultimo: la sperimentazione costa (e – aggiungo io – se fatta male costa ancora di più). Roncaglia identifica alcune nicchie interessanti di sviluppo come le interactive fiction, i libri di testo interattivi, i children ebook e i testi di data journalism. Ma, appunto, nicchie spesso non presidiate e non promosse dalla grande editoria che invece punta su una cattiva tipografia digitale spesso fagocitata da un potente self-publishing che livella la qualità verso il basso.
Gualtiero Carraro ha portato avanti l’idea di una editoria mutante, facendo emergere alcuni punti chiave: l’editoria ludica, dove i videogiochi hanno un mercato sempre più importante fino al mercato dei giochi e scommesse. Il gioco – dice Carraro – scatena utenza e questa può essere utilizzata per fare editoria ludica per la cultura; l’editoria immersiva che sfrutta visori VR per la costruzione di ambienti in cui muoversi; e l’editoria transattiva, dove accanto ai contenuti sono offerti prodotti correlati acquistabili attraverso la rete.
Il termine che è ritornato più spesso nel corso della giornata è stato certamente quello del videogioco. Se gli editori tradizionali rimangono abbracciati alla zattera di carta, ci sono mercati che si stanno sviluppando in maniera sempre più compiuta, proponendo forme di narrazione anno dopo anno più mature, capaci di assorbire al loro interno tematiche un tempo solo appannaggio della letteratura colta.
I cortocircuiti che mi scattavano nella testa e nelle discussioni con i vari relatori erano tante: mentre Carraro mi parlava dei visori 3D e degli sviluppi commerciali degli stessi ripensavo alla video poetry VR che mi avevano mostrato la settimana scorsa a Jesi. Così il giro di boa del gioco online, che diversi citavano come punto di non ritorno per il mondo del videogioco, per me aveva una connessione fortissima con la parola anche scritta. Il fatto di aver co-ideato con Uber il primo gioco multiutente italiano e che – incidentalmente – questo fosse basato su una generazione di prosa in un ambiente/mondo attivo 24/365 mi fa pensare che ci sia una linea, ancora tutta da ri-ideare, tra ambienti VR, narrazione testuale e gaming.
Ma, per tornare al 2018, il fatto che il premio quest’anno non sia stato assegnato ha anche a che fare con il basso numero di opere digitali sottoposte alla giuria, soprattutto se confrontato con gli anni della letteratura in cd-rom. E qui non posso non pensare che la mancanza sistematica degli editori di volontà di creare, valorizzare e promuovere le opere di letteratura elettronica in e-book, stia sulla media distanza portando ad una stagnazione di idee e una dispersione di energie. Piuttosto che non avere il testo (statico) su Kindle e piuttosto che rischiare di rodere mercato all’oggetto libro che giace in magazzino, l’editore non investe in letteratura elettronica.
Ma la letteratura elettronica non aspetta: altri soggetti, più grossi, transnazionali, la sviluppano in modo più aggressivo in forma di app, di videogiochi, di piattaforme.
Ecco, in questo contesto, le Poesie Elettroniche che ho presentato sono un possibile modello alternativo, basato su una idea di ebook nativo digitale, certo, però anche sostenibile. Ma si tratta di un modello che ha bisogno di altri modelli, di altre idee, di altri prototipi capaci di fare massa e mostrare l’esistenza di una narrativa, di una poesia, di una letteratura e di una informazione capaci di parlare il linguaggio del videogioco, del crossmediale, degli ambienti/mondo da esplorare.
Il gameplay di “L’incredibile avventura di…”
Leonardo Boselli ieri sera è riuscito a fare il gameplay di L’incredibile avventura di…, compito non facile visto che non si tratta di un gioco in senso stretto, ma di un meccanismo didattico per giocare con la letteratura elettronica e mr. Propp.
Buona visione.