Marmellata d’avventura – Altroquando
Altroquando è una delle avventure testuali presentate all’ultima Marmellata d’avventura organizzata qualche mese fa da Oldgames italia.
Si tratta di un racconto, firmato dallo pseudonimo pinellos, gestito come una interactive fiction, con utilizzo di ipertesto per muoversi ed agire all’interno della narrazione.
Altroquando presenta alcune caratteristiche interessanti, non solo per il gioco/racconto in sé, ma anche come segnali di cambiamenti in corso nel mondo della interactive fiction italiana.
Il racconto è dignitoso, ha diversi momenti riusciti e il testo e la storia non sono soltanto un pretesto per proporre al lettore/giocatore una serie di enigmi, anzi, forse è vero l’opposto, c’è una storia e una serie di cose da fare per arrivare al termine della narrazione. Lo stile, levata forse la primissima parte un po’ sopra le righe, è funzionale alla creazione dell’ambiente e risulta efficace nel suo svolgimento fino alla fine.
Altra caratteristica di rottura che Altroquando condivide con diverse avventure che hanno partecipato al concorso è la mancanza di parser, sostituito dal tocco di ipertesti. Non si tratta di un racconto a bivi ma, sul modello di Locusta Temporis di Enrico Colombini, sostituisce il tradizionale verbo + oggetto
con il tocco di parole chiave.
Interessante anche l’utilizzo di suoni, pattern musicali che si sovrappongono, opera di Edo, gestiti con una soluzione tecnica molto simile a quella – funzionale – di Lifeline.
Non ultimo, Altroquando è di fatto una meta-interactive fiction: non voglio spoilerare elementi di gioco, ma proseguendo nella storia si scoprirà che il racconto si accartoccia su se stesso e sui suoi stessi elementi strutturali.
Nonostante alcuni piccoli difetti iniziali (soprattutto in un punto il gioco pretende di capire il comportamento del lettore e agisce di conseguenza, non sempre in maniera puntuale), il racconto prende e la parte centrale dell’avventura funziona molto bene.
Mentre giocavo emergeva anche un’altra considerazione: Altroquando è un esempio di post avventura testuale. Progetti di di letteratura elettronica, ludica e non, che conoscono a menadito quello che è stato fatto prima di loro e inglobano questi elementi all’interno della storia stessa. Nel caso di Altroquando, oltre agli elementi di meta-scrittura, anche il ricco gioco di citazioni al mondo nerd delle avventure testuali e dei videogiochi. Tutta la parte iniziale del testo, ad esempio, sembra una trascrizione ipertestuale della scena di apertura dello storico Another World di Éric Chahi. Videogioco cinematografico quello, del 1991.
Alcuni di questi elementi, citazionismo di una letteratura del videogioco, meta-narrazione, utilizzo del tocco e abbandono del parser tradizionale, focus su un impianto narrativo autonomo dalla pura proposizione di enigmi fini a se stessi, sono elementi importanti anche per altre avventure che andrò a raccontare nei prossimi giorni.
Buona lettura e buon divertimento.
Appunti e proposte per una rappresentazione del mondo attraverso il testo
Interessandomi di scrittura mi sono più volte interrogato su come si potessero creare degli algoritmi che, parando da una serie di dati, potessero generare testo narrativo dinamico. Software che – sapendo avendo una precisa visione di un mondo virtuale – potessero dare al lettore una descrizione narrativa di quello che il personaggio via via incontrava.
In questo breve testo mi limiterò ad alcune riflessioni e proposte inerenti alle descrizioni. Non parlerò, se non marginalmente, delle altre parti della narrazione, come dialoghi o monologhi interiori. Propongo quindi una descrizione in cui il testo sia generato automaticamente e non scritto dall’autore.
Nella scrittura di un testo descrittivo di un luogo o di una situazione, la prima preoccupazione è quella di comporre un documento che sia il più possibile funzionale ai propri scopi. Se la descrizione deve essere precisa, allora si privilegerà uno stile tecnico e settoriale, se deve essere narrativa si utilizzerà una scrittura che possa affascinare il lettore o affabularlo per continuare la lettura.
Quando però ci si pone di fronte alla stesura di un testo che rappresenti una realtà manipolabile, allora ci si trova di fronte ad una serie di problematiche di ordine pratico, di norma non esistenti nella normale scrittura lineare.
La prima è quella del diverso grado di conoscenza tra lo scrittore e il lettore. Lo scrittore descrive cose e oggetti che il lettore potrebbe non conoscere, e viceversa. Questo fa emergere anche il tema, di solito implicito, dell’identità del descrittore. Per descrittore indendo quello che genericamente viene chiamato “punto di vista” della narrazione, colui che sta narrando la cosa raccontata.
Perché parlo di realtà manipolabile? Intendo la scrittura di un testo le cui componenti non siano statiche: una scrittura in cui il lettore interagisca con le cose che legge. Questa interazione è tipica della letteratura elettronica, ma non esclusiva e nemmeno unica.
Perché fare questo? Pensate alla narrazione lasciando da parte il concetto di fabula e di intreccio. Si tratta piuttosto di una modalità per descrivere un ambiente e quindi un mondo in divenire. Lo scrittore non deve raccontare una storia, non almeno in maniera esplicita, ma deve programmare una rappresentazione del mondo all’interno del quale il lettore si sposterà generando fabule e intrecci propri, sfruttando i motori impostati dallo scrittore. Lo scrittore in questo tipo di rappresentazione testuale è più simile a un dio/biologo che inserisca in un vetrino i vari elementi che daranno poi vita a interazioni solo parzialmente conosciute dal biologo stesso. Maggiore è la consapevolezza di questo ruolo, maggiore sarà la soddisfazione del lettore nel manipolare e modificare l’ambiente.
Scrivere un mondo di questo tipo è una attività molto complessa e frustrante. Vediamone comunque assieme alcune caratteristiche emozionanti.
1. La reiterazione della lettura
Il fatto di lasciare il lettore padrone di muoversi all’interno di un mondo descritto attraverso la prosa fa sì che naturalmente avvenga una reiterazione della lettura: si leggono più volte le stesse cose. Se il protagonista del mio racconto è in una cucina, va in sala e poi ritorna in cucina, rivedrà le stesse cose. Essendo descritte con un testo, rileggerà le stesse cose.
2. La reinvenzione della reiterazione della lettura
È possibile evitare la reiterazione della lettura? Davvero nella vita reale lasciando una stanza e tornandoci la rivediamo con gli stessi occhi?
Ci sono alcune tecniche di scrittura che penso posssano essere interessanti per evitare una cruda reiterazione della lettura, dando vita a descrizioni che mutano nel tempo, pur descrivendo sempre le stesse cose.
- L’utilizzo del tempo atmosferico. Quando si scrive la descrizione di un oggetto, lo si scrive nel suo stato mattiniero, pomeridiano, serale, notturno, in una giornata di sole, piovosa, estiva, invernale e nelle possibili combinazioni;
- L’utilizzo dell’usura: con il passare del tempo gli oggetti si usurano, si rovinano e – in alcune occasioni – si distruggono. Le descrizioni dovranno tener conto del passare del tempo e dell’usura dei diversi oggetti, scrivendo una descrizione appropriata per ogni stato;
- La prospettiva: a seconda di dove si trova il narratore rispetto agli oggetti contenuti in una stanza, questi avranno una descrizione differente che li colloca geograficamente gli uni rispetto agli altri;
- L’esperienza personale e lo storico del personaggio con l’oggetto. La prima volta che guardo un oggetto avrò un certo tipo di emozioni diverse dalla decima o centesima volta che guardo lo stesso oggetto;
- Lo stato d’animo del personaggio: anche lo stato d’animo, la stanchezza, la gioia, il furore del personaggio daranno vita a descrizioni degli oggetti diverse;
- Le relazioni di un oggetto con gli oggetti che lo circondano.
È possibile per uno scrittore scrivere tutte le descrizioni possibili anche di un solo oggetto, seguendo i sei semplici passi che ho indicato? Con molta fatica. È più opportuno che lo scrittore generi dei testi adatti a categorie di oggetti, con le varianti del caso, associandoli poi ai singoli oggetti.
Ma anche questo potrebbe non bastare. Potrebbe essere necessario delegare la creazione di oggetti e delle loro relazioni e descrizioni ai lettori.
Quando parlo di relazione tra oggetti intendo la formalizzazione delle regole semantiche che regolano la nostra visione del mondo. Anche questa infatti va tradotta in linguaggio informatico per poter essere manipolata.
Guardando un tavolo pieno di cose, non analizzerò ogni singolo oggetto per descriverlo, ma attuerò una catalogazione grossolana degli oggetti per poterli manipolare mentalmente e verbalmente. “Un tavolo pieno di fogli accanto a cataste di vestiti dismessi e un cesto di frutta marcia”, in luogo di “Una lettera, un foglio bianco, uno foglio scritto a mano, un a4 stampato, un a4 stampato, una cartolina, una lettera chiusa, una t-shirt rossa, una t-shirt con disegni, un paio di pantaloni, una mela, una mela, un arancia, una banana, una banana…” et ceterae. Una descrizione dinamica testuale deve “pensare” come pensiamo noi, aggregando spazialmente e semanticamente le cose che sono nel mondo, dandoci la possibilità di poterle percepire senza perdercisi dentro.
Solo se il lettore vorrà analizzare quello che c’è dentro al cesto di frutta o sul tavolo, allora si attuerà un lavoro del descrittore teso a decifrare l’ammasso di cose e farne un dettaglio per il lettore, come abitualmente facciamo anche noi quando siamo alle prese con uno stack di biancheria da mettere a posto.
Quando parliamo di descrizione, in narrativa, parliamo piuttosto di celamento. È più quello che lo scrittore nasconde, che quello che mostra. Lo scrittore punta il focus solo sulle cose che possono essere utile ai fini della storia, del ritmo della narrazione e di tutti gli attrezzi retorici del caso. In una costruzione di un ambiente testuale, dove è la prosa generata a dare al lettore le possibilità di quello che può o non può fare, questo “nascondino” deve avere la possibilità di essere annullato. Posso evitare di raccontare ogni singolo oggetto che ho sulla scrivania, ma devo avere modo di “zoomare” sui particolari minimi (e quindi, devo aver dato al programma le informazioni per farlo). Quale è il limite dell’infinitamente piccolo in narrativa?
[continua]
Progetto Grafico 30: una recensione
Sto finendo di leggere in questi giorni il numero 30 della rivista Progetto Grafico, uscito nel lontano autunno del 2016, e che – per diversi motivi – non ero riuscito a prendere allora. I numeri di Progetto Grafico sono sostanzialmente monografici e questo numero ruota attorno alle tecnologie aperte prendendo in considerazione soprattutto quelle digitali.
Il numero IMHO è davvero riuscito, non tanto perché riesca effettivamente a sintetizzare il tema proposto o coglierne un aspetto fondante, ma perché sceglie la strada opposta, ovvero di produrre una quantità di stimoli granulari fotografando di fatto una situazione quanto mai ricca e infotografabile.
Accanto ad alcune interviste interessanti (quella del programmatore di Processing o allo sviluppatore di openFrameworks) sono inserite molte schede brevi legate ad esperimenti, movimenti, azioni artistiche e di produzione del codice: font per programmatori, plotter condivisi, algoritmi per il DTP, inchiostri conduttori di elettricità, eye-writing, sciarpe stampate registrando gli encefalogrammi dei proprietari delle sciarpe stesse, twitter magazine, literate programming style… La lista è lunga e – appunto – estremamente stimolante.
È peculiare vedere anche come una rivista di grafica si interessi contemporaneamente ad arte e coding, mettendo sullo stesso piano il processo creativo che sta dietro a una installazione artistica e quello di una produzione di codice. Non che siano processi simili, ma sono entrambi essenziali. Di fronte agli asfittici dibattiti “umanisti vs tecnici” Progetto Grafico mostra la naturalezza di interscambio che c’è tra programmazione informatica, grafica, arte (prima o poi arriveremo anche alla letteratura).
Sfogliando il numero ho pensato che una rivista di informatica oggi dovrebbe essere più o meno come questo numero di Progetto Grafico, magari con una seconda parte più nerd sulla programmazione vera e propria: un punto fermo che analizza il mare in continuo divenire della rete, facendo emergere punti di tendenza, eccellenze, esperienze stimolanti.
Quello che facevano decenni fa cose come MCmicrocomputer e che altre realtà più recenti (Wired) non sono riuscite a fare con lo stesso rigore e acume.
Unico appunto, qualche imprecisione nelle traduzioni dall’inglese: I can write a game engine from scratch in C+++
si traduce con posso scrivere da zero il motore di un videogioco in C++
e non con un videogioco basato su Scratch si può fare in C++
. Ma, nell’economia del numero, si tratta di poca cosa.
Ok, io e mio figlio stiamo scrivendo un videogioco
Avete presente quei film americani dove il padre chiama il figlio nel giardino del retro della casa e iniziano a tirarsi la palla da baseball e si capisce dopo un po’ che a nessuno dei due importa davvero del baseball, ma che stanno facendo quello che fanno per comunicare, per trovare un momento tutto loro dove stare assieme? Ecco, io la stessa cosa con mio figlio, ma niente baseball, stiamo scrivendo un videogioco assieme.
La cosa è andata pressapoco così: secondogenito viene, tredici anni, mi dice papà scriviamo un videogioco assieme, nel senso che io faccio gli sprite e la storia e tu programmi tutto, e io ho risposto ok.
Così, ha aggiunto, abbiamo qualcosa di cui parlare assieme. Questo è il modo in cui i figli fanno i segni negli organi interni dei genitori, improvvisamente.
L’ultima volta che ho scritto un videogioco arcade avevo qualcosa tipo diciassette anni, era da poco uscito Sign “o” the Times, e il videogioco si chiamava Mens! ed era un clone di Pitfall! scritto interamente in Applesoft Basic e poi compilato. Questo per dire che mi sono dovuto studiare al volo un manuale di Pygame e rinfrescare un po’ quello che sapevo di Python.
Secondogenito mi ha spiegato nei dettagli il gioco, mi ha fatto chiaramente capire che io devo solo programmare e non mettere becco con le mie cose strane, e fare questo platform 2D visto dall’alto, molto 8-bit, figlio ideale di Undertale, con scrolling in tutte e quattro le direzioni.
Io gli ho detto di fare una mappa sul foglio, lui l’ha fatta, gli ho detto di ricopiarla in ascii su un .txt e poi di associare ogni simbolo ascii con uno sprite da lui disegnato, e lui l’ha fatto.
Allora mi sono seduto e ho iniziato a programmare in Python e Pygame, cercando di fare in modo che la mappa ascii si prendesse gli sprite e creasse il mondo dove si sarebbe mosso il protagonista del gioco. Ci ho pensato tutta la sera, parte della notte e l’indomani mattina mi sono seduto e ho iniziato a scrivere il codice che avevo pensato.
Ho usato come IDE Netbeans, ho installato tutto e ho programmato finché, ad un certo punto, è apparso sullo schermo il mondo che mio figlio aveva pensato.
È stato un momento magico: avevo i suoi schizzi, avevo i suoi sprite, avevo la sua idea e poi – di colpo – ecco il livello lì davanti a me, con il personaggio che ci cammina dentro. Ero dentro la testa di mio figlio, dentro la sua progettazione e stavo vedendo, per la prima volta, quello che si era immaginato.
L’ho quasi svegliato, l’ho chiamato di sotto, lui ha guardato tutto. Non ha mostrato nessuna emozione, ha detto ok. Mi ha dato alcune indicazioni per continuare. “Non pensavi che ce l’avrei fatta eh” gli ho detto scherzando. “Non pensavo che avresti fatto così in fretta” mi ha risposto e forse era un complimento.
Scrivere un videogioco ha momenti di una bellezza e di entusiasmo difficili da raccontare. La progettazione del codice, vedere il mondo che funziona, e poi torni e rompi tutto quello che avevi scritto per raffinarlo, per fare in modo che funzioni anche con cose che ancora non hai inserito. Cerchi di renderlo più efficace e più elegante.
Mentre fai dell’altro continui a pensare a una cosa che non sei riuscito a fare, ti immagini il metodo per scriverla, ci torni sopra decine e decine di volte finché non appare, a volte all’improvviso, con tutta la sua logicità.
Un videogioco è un mondo espressivo carico di segni e simboli. È un modo per raccontare e raccontarsi che attinge alla narrativa, alla grafica, al suono, al mistero, al divertimento. È un pacchetto completo di emozioni e di sogni, un macchinario.
Vedremo nelle prossime settimane come si evolverà la cosa, se lui o io non ci stuferemo, ma per ora è stata una boccata di ossigeno.
Qui sotto un breve video fatto mentre stavamo testando spostamenti e muri:
Generatore di consigli sulla scuola
Gentile Ministro,
non passa giorno che qualche giornalista o altra figura professionale che non mette piede in una classe da almeno un ventennio, non senta l’esigenza di dispensare consigli su come – a suo dire – la scuola dovrebbe essere cambiata per tornare finalmente ad avere una buona educazione di base, gioventù e ormoni.
Ho pensato anche io di fare la mia parte con questo modesto generatore di cinque consigli sulla scuola che sono certo verrà molto utile in fase legislativa:
Se le proposte non fosse di suo gradimento, può subito sceglierne altre.
Classico 2018
Domenica prossima sarò a Canelli per Classico 2018, festival della lingua italiana a parlare con Marco Drago, Piersandro Pallavicini, Dario Voltolini dei rapporti tra letteratura e scienza.
In particolare dirò quello che penso dei rapporti tra informatica e letteratura, e sulla possibilità di programmare codice che scriva narrativa e poesia elettronica.
Non mancate.
La letteratura elettronica che non leggeremo mai (più)
Qualche giorno fa parlavo con una studiosa di letteratura elettronica che mi chiedeva se conoscessi esempi pertinenti per gli anni ottanta. In un anfratto della mia memoria, ricordo che una grossa casa editrice aveva pubblicato una serie di libri a cui erano allegati dei floppy disk da cinque e un quarto da usare con l’Apple II.
Cerco in rete per darle qualche riferimento.
Niente.
Cerco di ricordare il titolo almeno di uno, era qualcosa che riguardava i labirinti. Niente.
Alla fine mi viene in mente che avevo trovato tempo addietro una reclame nella seconda di copertina del primo numero di Applicando, ne avevo fatto anche uno screenshot.
Lo cerco, so di averne una copia.
Due giorni a cercarlo, poi lo ritrovo.
Apro, e c’è la pubblicità. Finalmente i dati. “Daedalus” di Paolo Schgor era quello che avevo usato all’epoca, ma ce ne sono altri, anche di saggistica, tutti editi da Mondadori.
Con i nuovi dati cerco in rete, cerco nel catalogo nazionale.
Niente.
Questa collana di libri elettronici, edita da Mondadori nel 1983, è svanita da ogni radar storico. Me ne ricordo io, pare, e basta. Si trattava probabilmente più di applicazioni, programmi, che di ebook, ma il fatto che Mondadori li definisse libri elettronici è comunque un fatto importante a livello editoriale e di percezione del prodotto culturale, anche quando software. Il problema è un altro.
Nessuno sta prendendo traccia seriamente della letteratura elettronica, che sta letteralmente scomparendo nel nulla. Le prime due interactive fiction a cui abbia mai giocato sono perse, forse esiste ancora la mia copia in un museo del centro Italia, ma in rete non c’è nulla. Gli altri MUD nati nel periodo di Necronomicon su Videotel: non ne rimane niente. La conservazione di queste opere è delegata alla buona volontà di qualche appassionato o alla perseveranza degli stessi inventori, a trenta, quaranta anni di distanza dalla creazione della loro opera.
Si stanno cancellando per incuria e miopia decenni di sperimentazioni, letteratura, programmazione, videogiochi, cultura che invece dovrebbero essere preservati, come si preserva un raro tomo cinquecentesco.
È un paradosso che proprio il mondo digitale, indicato da molti come ambito privilegiato per la conservazione, viva questo costante pericolo della distruzione e della sparizione intellettuale.
Perché ho scritto “Mens e il regno di Axum”?
Dietro al racconto interattivo di Mens e il regno di Axum ci sono alcuni ragionamenti sulla memoria, su quello che si può raccontare con le interactive fiction e – ahimé – sul tempo.
Questo e molto altro nell’intervista fatta con OldGamesItalia.
Do Ut Des + Mens e il regno di Axum
Due brevi notizie.
Il 10 maggio sarò al Salone del Libro di Torino in veste di esperto per le case editrici che vogliano avere un avere una consulenza tecnica su tutto ciò che riguarda la creazione e la gestione di libri elettronici.
L’evento è gratuito con prenotazione e ha come partner il Master Professione Editoria con cui collaboro da tempo.
La nuova area del Salone si chiama Do Ut Des, che è un po’ la versione latina del Do While. Sign “o” the Times, comunque.
La seconda notizia è che la mia avventura in ebook Mens e il regno di Axum, ha vinto il premio Marmellata d’avventura 2018, la jam italiana dedicata alla narrativa interattiva. Ne sono davvero molto felice, ringrazio tutti coloro che hanno avuto a che fare con la manifestazione, e scriverò a breve alcune mie impressioni sull’evento, sia come giocatore che come creatore. Come si dice in alcuni ambienti, buona strada.