Minecraft solo testo? C’è già stato
Una riflessione a margine dalla bella giornata di ieri all’università di Aix en Provence.
Ho avuto la fortuna alla fine degli anni ottanta di co-progettare e scrivere con Alessandro Uber Necronomicon, il primo MUD italiano. È stato un lavoro durato diversi anni, molto appagante, faticoso per alcuni aspetti.
Forse per questo background, che mi hai poi portato a giocare e partecipare a molti dei MUD usciti negli anni successivi, quando sento parlare di videogiochi e letteratura, non posso non pensare a quello che già faceva quel motore.
Tutta l’impalcatura dell’emittente, messaggio, destinatario viene rivista: il MUD gira ventiquattro ore su ventiquattro, fa muovere i suoi personaggi anche se nessuno sta giocando. Il MUD è un mondo narrativo (nel senso di fabula) che funziona a prescindere dal lettore/giocatore. Ne ha bisogno, ovviamente, perché molti intrecci impliciti sono lasciati inerti in attesa di un lettore che li manipoli, ma – nel frattempo – il mondo va avanti da solo.
Molti aspetti tipici del videogioco, come la multiutenza o la gestione del tempo che passa, sono già stati affrontati e risolti in letteratura ludica con il MUD, da decenni. E in alcuni casi anche dalle interactive fiction: già ne The Hobbit della Melbourne House, 1982, i personaggi del gioco avevano una propria autonomia che poteva portarli, in alcuni casi, a litigare fra di loro e uccidersi (impedendo in questo modo di finire l’avventura di Tolkien).
Quando sento parlare di Minecraft e qualcuno si interroga di come si potrebbe avere una sandbox similare nel mondo della letteratura elettronica io penso che in un certo senso è già stata fatta. Basta vedere i MUSH e soprattutto i MOO, come l’italianissimo Little Italy, anche lui nato all’inizio degli anni novanta del secolo scorso. Non era forse – anche – un sandbox in cui costruire ambienti testuali e condividerli?
Non che io creda che queste cose siano attuali e non si tratta nemmeno di un effetto nostalgia. Grazie al cielo no. Quello che penso è che si stia arrivando ad un successivo livello del videogioco, che la letteratura videoludica stia iniziando ad avere una propria storia e che oggi si possano proporre videogame che ri-utilizzino e reinventino linguaggi che fanno parte dell’intero percorso dei giochi elettronici, senza essere schiacciati solo e unicamente sul prodotto che sfrutta all’ultimo ciclo la GPU uscita la settimana scorsa. Lifeline è un ottimo esempio.
Chi oggi si mette a fare letteratura elettronica e videogiochi potrebbe attingere ad un bagaglio che è molto più ampio di quello che si creda. Manca ancora – è vero – una visione sistematica di quello che si è già fatto in questo campo e una letteratura critica che mostri il tragitto di questi ultimi decenni di cui si stenta a comprendere la coerenza e l’omogeneità.
Ma che sia pacifica l’esistenza di un luogo narrativo dove mentre leggo succedono cose perché altre persone sono nello stesso luogo e stanno generando fabula, con il solo loro esserci, ecco, penso che sia un buon inizio per una narrativa elettronica consapevole.
Hypertexte et Hypertextualité entre humanités numériques et jeux vidéo
Lunedi 12 sarò a Aix-en-Provence per un interessante dibattito su “L’ipertesto e l’ipertestualità tra informatica umanistica e videogiochi”. Racconterò l’esperienza delle polistorie e dirò qualcosa sui legami tra narrativa interattiva, ipertesto, gioco e mercato degli ebook. Di seguito trovate il programma dei lavori della giornata:
L’ipertesto e l’ipertestualità tra informatica umanistica e videogiochi
Lundi 12 février 2018
Pôle Multimédia, salle colloque 2
Faculté de Lettres 29 av. Robert-Schuman
Aix-en-Provence
Une journée d’études des doctorants du CAER (Axe 2 : écriture, réécriture, intermédialité), organisée par Daniela Vitagliano et Martin Ringot.
8h30 — Accueil des participants
9h00 — Introduction
Le repérage de l’hypertexte dans les humanités numériques et jeux vidéo
9h15 — Melinda Palombi (Université de Toulon, BABEL, Toulon, France) : «Leopardi et Calvino. Pour une œuvre-rhizome »
9h45 — Ariane Mayer (Université de Technologie de Compiègne, Costech, Compiègne, et IRI, Paris, France) : «Dédale ou Thésée ? Les lecteurs face à l’hypertexte narratif »
10h15 — Gianmarco Thierry Giuliana (Università degli Studi di Torino, Semiotica, Turin, Italie) : «Quelques propos contre la métaphore du jeu vidéo comme hypertexte»
10h45 — Discussion et questions
11h00 — Pause
La création d’outils pour ouvrir les horizons
11h15 — Maxime Perret (Université Paris- Sorbonne, ANR Phoebus, Paris, France) : «eBalzac : vers une lecture hypertextuelle de La Comédie humaine »
11h45 — Entretien avec Pasquale di Maio (webdesigner, Milan, Italie)
12h30 — Discussion et questions
13h00 — Déjeuner (3.43, MDR T2)
Les horizons infinis de la création d’un hypertexte
14h00 — Gerardo Iandoli (Aix Marseille Univ, CAER, Aix-en-Provence, France) : «L’ipertesto fantasma: riflessioni sul romanzo contemporaneo e il suo lettore, all’epoca di Google»
14h30 — Boris du Boullay (Aix-Marseille Uni- versité, LESA, Aix-en-Provence, France) : «L’hypertexte mis à plat, entre texte et cinéma»
15h00 — Discussions et questions
15h30 — Pause
15h45 — Lucas Friche (Aix-Marseille Université, Aix-en-Provence, France) : «De la littérature électronique au jeu vidéo textuel : l’algorithme comme système d’écriture»
16h15 — Fabrizio Venerandi (Éditeur « Quintadicopertina », Gênes, Italie) : «L’esperienza delle polistorie in e-book : dall’interactive fiction all’ipertesto narrativo. Case history di una collana di narrativa non lineare interamente digitale»
16h45 — Discussion et questions
17h15 — Conclusions
Genius 2, ovvero come programmare giochi per Apple II nel 2017
È recentemente uscito Genius 2, un arcade di Daniele Liverani. La storia narra di un batterista che trova un passaggio che lo conduce nel mondo dei sogni dove scopre che i sogni sono gestiti da entità chiamate Twinspirits che, di notte gestiscono i flussi onirici degli umani.
Nel videogioco il protagonista gira per ottanta cave alla ricerca di chiavi che sblocchino particolari giocattoli creativi necessari per i sogni dei bambini.
L’arcade è un classico prendo la chiave, apro la porta dove trovo la chiave che mi serve per la porta successiva
, ha alcuni movimenti particolari (il personaggio ha uno strano senso di gravità che gli permette di volare ma anche di precipitare) e un gameplay tutto sommato funzionante grazie anche al timer che costringe a risolvere ogni singola caverna in un tempo predeterminato.
Ci sono diverse cose particolari in questo videogame. La prima è che l’autore del videogioco – in rete – non si presenta come programmatore, ma il suo sito lo caratterizza come musicista polistrumentista heavy metal e la storia che ho appena raccontato del mondo dei sogni è in realtà sviluppata in una rock opera composta del Liverani in una ambiziosa trilogia.
La seconda è che il videogioco è sviluppato per Apple II, ovvero per una piattaforma hardware e software abbandonata da Apple da più di un ventennio. Non si tratta di archeologia software: Genius 2 è un arcade sviluppato oggi per un computer degli anni ottanta.
C’è sicuramente un’anima nerd e anticonformista nel buttarsi in un progetto del genere (e mi ritornano in mente le cose che scrivevo ieri sul Xmas Comics & Games). Ma c’è anche un’idea forte che mi pare interessante in questo ambito di editoria digitale: man mano che aumenta la consapevolezza e la storia della letteratura elettronica, anche quella schiettamente ludica e legata al mondo dei videogiochi, aumenta la possibilità di costruire videogame sganciati dalle caratteristiche tecniche di questa o quella console contemporanea, di ibridare, di lavorare nei confini ristretti di una metrica informatica a 8 bit.
Così come oggi si può scrivere una poesia nella struttura ritmica e formale inventata da Jacopo da Lentini ottocento anni fa, così posso decidere di programmare un videogame utilizzando i formalismi dei computer otto bit degli anni ottanta. Non c’è una grande differenza.
Poi, certo, che un polistrumentista heavy metal decida di portare parte di un suo progetto di narrazione musicale in un videogioco per Apple II, beh, respect.
Xmas comics & games
Sono stato al Xmas comics & games di Torino, ufficialmente per accompagnare secondogenito, in realtà per curiosare nel mondo contemporaneo dei manga, cosplayer, videogame et similia.
In auto scopriamo che i cosplayer pagano un biglietto di ingresso scontato e quindi secondogenito ha questa idea di dire che noi siamo due cosplayer di cosplayer, cioè siamo travestiti da cosplayer nella loro vita di tutti i giorni, quando sono in borghese. L’idea è ottima ma alla fine secondogenito decide di soprassedere in fase esecutiva del piano, una vigliaccata.
Entriamo. Per me entrare in una fiera di fumetti e videogiochi è strano. Contestualizzo meglio: per me che negli anni ottanta leggevo manga e giocavo a videogiochi, sentendomi un po’ nerd, entrare oggi in una fiera di videogiochi e manga è strano. Dovrei sentirmi a casa mia, e un po’ mi ci sento, ma nello stesso tempo c’è qualcosa di estraneo.
L’effetto di straniamento, mi rendo conto, è nel vedere come normale e di successo qualcosa che avevo vissuto con difficoltà, in maniera sotterranea e – questo sì – controcorrente. Camminare in questi corridoi dove è stato sdoganato il nerdismo e dove galleggiano appesi peluche di Nyan cat, Doctor Who, unicorni rosa (apprezzati da terzogenita btw), icone anime e marvel.
Forse la cosa che mi colpisce, mi fa sentire vecchio, è vedere tutto questo vissuto come un gioco da ragazzi vestiti da eroi manga, tra prodotti Nintendo e gadget di ogni tipo made in china. C’è una sospensione della realtà che mi porta in un luogo che assomiglia a una grassa città incantata, addomesticata, felice e irreale.
Anche se sotto la carne nuova dei vari Tokyo Ghoul, Death Note, Attack on Titan, Nintendo Switch, ecco nelle bancarelle emergono le ossa, come sepolte nella sabbia. Trovo (ma non ho il cuore di comprare) i Candy Candy che leggevo nel 1983, le cartucce dei videogiochi Atari con i grandi successi del 1982-84, i primi Gameboy, l’ammasso dei manga usciti per la Granata Press, la Star Comics e tutti gli altri a seguire nei primissimi anni novanta. Tutti in vendita come nuovi, accanto alle nuove edizioni in brossura dei volumi di LoneWolf, il lupo solitario di Denver e Chalk.
Non che pensi che quell’informatica ludica o quei fumetti fossero migliori di questi, ma lo spirito è che percepisco è diverso. L’aspetto dell’entertainment seriale prevale sulla tecnologia e su un certo tipo di meraviglia.
Detto questo, da cinquantenne, forse è un marchio personale che mi porto dietro mentre giro i corridoi e mentre un ragazzino che avrà la metà dei miei anni cerca di vendermi una tastiera meccanica cherry blu, che – ragazzi – ci ho seriamente pensato.
Intanto secondogenito, schifa manga e videogiochi e va diritto al suo scopo. Si fa mettere il braccialetto e accede alla zona youtuber dove incontra i suoi youtuber preferiti e si fa autografare il cellulare, con un pennarello.
E io, distante migliaia di anni luce, lo ammiro, incondizionatamente.
Riscopri Locusta Temporis su Kobo (e non solo…)
Quintadicopertina ha pubblicato negli ultimi anni alcuni testi nativi digitali che hanno mostrato, in anticipo sui tempi, alcuni sviluppi contemporanei della letteratura elettronica in ebook: narrativa interattiva, ebook game, abbonamenti a scritture in fase compositiva, testi che cambiano nel tempo.
Tra i primi, anzi il primo, Locusta Temporis di Enrico Colombini: un lavoro magistrale di gamification narrativa, quasi seimila locazioni narrative connesse da oltre undicimila link. Una storia in cui non si cambia mai pagina
(o quasi), ma dove si gioca scegliendo cosa far fare ai personaggi utilizzando ipertesti che permettono al lettore di risolvere enigmi, esplorare luoghi, parlare con personaggi.
In anticipo sui tempi
, dicevo. In alcuni casi, anche troppo. Fino ad oggi Locusta Temporis soffriva un limite di Kobo: toccando i link per muoversi nel gioco, a volte Kobo era impreciso e girava pagina invece che condurre il giocatore nel percorso narrativo scelto.
L’ultima release del sistema Kobo ha finalmente risolto il problema:
È possibile ora, nelle preferenze di Kobo, impostare il cambio pagina soltanto con lo scorrimento, lasciando al tocco la sola funzione di attivare o non attivare i link.
Un piccolo miglioramento che ha invece grande impatto per la narrativa ipertestuale che – per sua natura – vive di navigazione interna all’ebook.
Per festeggiare un titolo che guadagna una nuova godibilità di gioco e di lettura, Locusta Temporis sarà in offerta per tutto il mese di dicembre a 2 €. Per chi ha Kobo, ma anche per tutti gli altri.
Penso possa essere un’occasione per riscoprire un titolo unico nel panorama ebook, che di anno in anno acquista nuovo fascino e nuovi lettori.
Buona lettura!
Il digitale ha vinto sui libri
Ieri ho condiviso su Facebook l’ennesimo post, scritto da un non addetto ai lavori, sul fatto che i libri hanno ucciso gli ebook. Ho linkato l’articolo perché è un po’ la quintessenza delle boiate che si continuano a scrivere sul mercato degli ebook e su quello dell’editoria in genere.
Per prima cosa: se vuoi scrivere un post che parla di come i libri hanno ucciso gli ebook, che è un tema che tocca diversi professionisti che su queste cose ci campano, come minimo devi documentarti e portare dei dati concreti di quello che stai dicendo (no, la marca del tuo laptop o dello smalto usato durante la scrittura del pezzo non fanno parte di questa categoria).
Dire che il libro si è ripreso perché c’è stato un +1 del fatturato, e poi scrivere qualche riga dopo che però il numero dei lettori si è contratto e tacere un terzo dato, ovvero che il prezzo di copertina dei libri si è alzato, significa avere difficoltà ad unire con delle linee i numeri: si vendono (meno) libri a un prezzo più alto di prima a meno persone. Se questo è un segnale della ripresa spero di non vedere quelli della caduta.
Passiamo poi all’hardware: Kindle ha perso perché non ha appeal e ha le custodie di similpelle arancione. Se poi lavori su uno schermo tutto il giorno alla sera non hai voglia di leggere su un altro schermo. Molto meglio il libro di carta, una vera e propria “doccia bollente per gli occhi”. Più o meno queste, in sostanza, le tesi portate nell’articolo contro gli ebook.
In genere non sparo sulla croce rossa, ma ogni tanto è necessario: scrivere una serie di cose del genere, ombelicali, non è corretto se per lavoro vuoi scrivere. Non so nemmeno da dove cominciare: Kindle non è l’ebook reader, è uno dei più venduti ma non è l’unico e non è il migliore. Scrivere un intero articolo sull’argomento citando come unico modello il Kindle, soprattutto se si parla di estetica, è fare un cattivo lavoro. Significa, nel migliore dei casi, non avere mai visto, usato, letto gli altri. Io leggo migliaia di pagine di ebook l’anno e il Kindle lo uso solo come sottobicchiere.
Mettere poi sullo stesso piano gli schermi di desktop, portatili e smartphone e quelli a inchiostro elettronico degli ebook reader, che usano una tecnologia completamente diversa, attenzione non un po’ diversa, completamente diversa, significa non sapere di cosa si sta parlando.
Potrei andare avanti, ma meglio se mi fermo qua.
La verità è meno spettacolare di qualche post occasionale: stiamo vivendo un periodo di transizione tecnologica. Le informazioni, i linguaggi, la comunicazione, la narrazione stanno abbandonando la scrittura analogica, per diventare digitali. Il digitale ha già vinto sul libro, da decenni: ogni singola parte che concorre alla creazione, pubblicazione, stampa, promozione del libro è fatta in digitale.
Interi settori che un tempo vivevano solo di carta, oggi vivono o sopravvivono grazie solo al digitale. Anche il post citato in apertura che declama la bontà della lettura su carta, esiste solo in digitale.
Se prendessi soldi per ogni volta che qualcuno, negli ultimi sette anni, mi ha detto che gli ebook erano morti e che l’ebook reader, come oggetto, aveva i mesi contati (non gli anni eh, i mesi) sarei ricco. Invece, per quanto siamo ancora lontanissimi dall’avere lo stato dell’arte per quel che riguarda la lettura continuativa, le tecnologie si stanno affinando, continuano ad uscire nuovi modelli che migliorano e rivedono la modalità di lettura su schermi statici, si aprono nuove strade come quelle destinate all’universitaria con ebook reader con schermi A4 e stylus per annotazioni e sottolineature.
La strada è segnata da tempo e – credo – siamo fortunati di vederne in corso d’opera gli errori, gli sviluppi, le potenzialità.
Fai coding con la tua console Nintendo
Una cosa che ho sempre detestato delle console per videogiochi è la loro non-programmabilità. Si possono usare solo comprando videogiochi scritti da software house ed è difficile per uno sviluppatore indipendente, ancora di più per un semplice appassionato, scrivere propri software.
Chi è padre o madre di figli che hanno un Nintendo lo sa bene: i videogiochi sono distribuiti ad alto livello, attraverso uno o due canali ufficiali che creano un monopolio distributivo inattaccabile.
Per me è stata quindi una sorpresa l’uscita sul mercato europeo, qualche settimana fa, di SmileBasic, un linguaggio di programmazione nato per Nintendo 3ds e prodotto dalla giapponese SmileBoom. SmileBasic non è un tool per scrivere giochi (ci sono altri programmi di questo tipo, anche della stessa SmileBoom), ma una vera e propria IDE per la scrittura di codice in BASIC. Dopo aver visto la foto del CEO di SmileBoom sono rimasto convinto della professionalità del prodotto e ieri sera ho acquistato il programma (il costo è di circa 10 euro).
Il Nintendo si trasforma così in una piccola console per programmare: lo schermo touch diventa una tastiera completa per il coding, mentre lo schermo superiore è usato per editare il codice e vedere i risultati della programmazione.
SmileBasic è un software interessante per diversi motivi.
Il primo è che scardina la filosofia “chiusa” dei Nintendo. Con SmileBasic si esce dal ruolo “consumer” per mettersi dall’altro lato del microprocessore e iniziare a inventare e scrivere i propri programmi. Non si tratta di un tool di apprendimento, come Scratch!, ma di un vero e proprio linguaggio, con un editor per scrivere codice, una console per l’interrogazione e un set di comandi abbastanza sofisticato da coprire buona parte delle caratteristiche tecniche del Nintendo (doppio schermo, touch, sensori, pad, pulsanti…). È quindi possibile avere un’esigenza, un’idea, un progetto, aprire la propria piccola console e iniziare a programmare codice.
Un secondo punto interessante è la possibilità di SmileBasic di connettersi ad un server per condividere i propri programmi con altri programmatori. Il “canale unico” di Nintendo viene bypassato e si può accedere ad una libreria software libera, contenente diverse centinaia di programmi, giochi, utility completamente gratuita.
Infine, il programma è davvero fatto bene. Non si tratta di un porting frettoloso, ma l’IDE presenta una serie di finezze per aiutare lo sviluppatore (bambino e non) a prendere confidenza con il programma: il passaggio dalla console all’editor del codice è immediato e logico, l’help contestuale dei comandi è sobrio e non intrusivo, i programmi dimostrativi sono tutt’altro che banali (tra cui alcuni arcade di tutto rispetto) e il codice aperto permette di studiare e capire come sono stati scritti. Certo: la piccola tastiera virtuale dello schermo touch non è fatta per scrivere migliaia di righe di codice, ma i suggerimenti contestuali aiutano e – ragazzi – non si diventa nerd senza qualche piccolo sacrificio.
Nei prossimi mesi ci giocherò un po’, e – se riuscirò a fare qualcosa di interessante – condividerò anche io il mio programma con la comunità di programmatori di Nintendo 3ds. Che sia arrivato il momento di avere una interactive fiction per console?
Leggere i videogiochi
Questa estate ho letto un videogioco. Si intitola Night in the Woods e si presenta come un normale platform 2D. Entrando nel videogioco e iniziando a muoversi nella piccola città dove è ambientata la storia, ci si rende conto che è proprio la narrazione a strutturare tutti gli elementi del gioco, che diventano dei pretesti (o meglio: dei meccanismi) per accedere alle diverse fasi della storia stessa.
Così, spostando e facendo saltellare un buffo gatto antropomorfo, si assiste e scopre il degrado della periferia americana, il dolore per la perdita del lavoro, il precariato, i problemi economici, la difficoltà a gestire i propri sentimenti personali. Entrano e vengono assorbite dal videogioco tematiche mature, inconsuete per un media divorato dall’entertainment.
La cosa più emozionante, per me, è che questa storia è parcellizzata (o atomizzata) in tutti gli elementi che compongono il videogioco. Si ha una idea del luogo, della sua storia, dei suoi personaggi, andando in giro e parlando con chi si incontra, guardando i posti, riscoprendo il proprio passato. Sta al lettore/giocatore ricostruire questa frammentazione dinamica di informazioni, ricostruendo una propria visione del luogo, a seconda anche delle cose che si è riusciti a scoprire, a vivere, o al tipo di dialoghi che si è intessuti con i personaggi.
Alcuni meccanismi mi hanno ricordato, per certi aspetti, un vecchio videogioco della Lucas, Loom. Il limite di Night in the Woods è – ad un certo punto – il lasciarsi schiacciare dalla storia. Una delle trame prende il sopravvento e annichilisce il videogioco che – per un tratto – assomiglia più a un cartone animato interattivo. Forse gli autori hanno sentito la necessità di dare un tono narrativo più marcato e riconoscibile, uno svolgimento che desse l’idea del romanzo (un po’ alla Stephen King) e portasse al finale della storia in maniera più “tradizionale”. Ma imho non ce ne era bisogno e le cose più interessanti sono altrove.
Molti momenti lirici di grande bellezza, i sogni, i dialoghi con gli amici della scuola. Molte idee intriganti e ben sviluppate. Tra queste quella di inserire nel videogioco il videogioco preferito dal protagonista, permettendo al lettore/giocatore di giocare al videogioco dentro al videogioco. Uscire da un videogioco dopo un ora di partita e di trovarsi ancora dentro a un videogioco dà un certo senso di straniamento.
L’ho finito e lo sto rileggendo/rigiocando per scoprire le cose che non avevo scoperto nella prima lettura, per capire meglio certi passaggi. E per sbloccare le secret narrative che ancora non ho vissuto.
Anche questa – termino – è letteratura elettronica. E anche per questo mi auguro che gli ebook escano dal guscio librario in cui sono stati fino ad oggi costretti. Perché ci sono ancora molte storie da raccontare e i paletti che definiscono generi e strumentazioni sono paletti piantati nella sabbia. Questo è il momento giusto per prenderli e spostarli.
Consigli per le letture estive
Se proprio non volete leggere “Il mio prossimo romanzo“, scelta a suo modo rispettabile, ho un libro da consigliarvi, anzi, una collana di libri.
Nel 1940 il matematico Edward Kasner teorizzò assieme a suo nipote l’esistenza di due nuovi numeri, il googol e il googolplex.
Il googol è il numero uno seguito da cento zeri (10 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000).
Il googolplex è invece il numero uno seguito da googol zeri.
Ovviamente googolplex è talmente lungo da non poter essere stampato, o almeno così si pensava finché Wolfgang H. Nitsche nel 2013 ha creato 10 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 diversi volumi che, messi assieme, contengono tutto un googolplex. Il primo volume contiene, come prima cifra il numero 1, seguito da quattrocento pagine di zeri. I successivi 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 999 9 volumi contengono gli zeri restanti.
I volumi sono regolarmente registrati all’ISBN, anche se è stato assegnato un solo ISBN a tutti i volumi. Se infatti avessero assegnato un ISBN ad ogni singolo volume, non ne sarebbero restati per tutti gli altri libri del mondo: ISBN sarebbe stato completamente saturato.
I singoli volumi sono liberamente scaricabili in PDF, dal volume n. 1 al volume n. 10 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000 000.
Se qualcuno preferisce l’odore della carta, è anche possibile ordinare la versione cartacea del volume richiesto.
La cosa intrigante di tutto l’esperimento, dal punto di vista dell’editoria digitale, è che questi ebook sono un po’ come dei gatti di Schrödinger. Non esistono davvero quei PDF, ma se ne volete uno lo avrete. Finché non lo scaricate esiste e non esiste, nello stesso tempo.
Btw, per chi amasse rilassarsi ascoltando un buon audiolibro, su youtube c’è un video con una lettura parziale del primo volume, circa sei ore di zeri.
Buona lettura.
Il mio prossimo romanzo
DISCLAIMER: post ad alto contenuto autoreferenziale
Essendo questo il mio blog, non posso non raccontare a chi lo segue che è uscito un mio nuovo romanzo che si intitola Il mio prossimo romanzo per Antonio Tombolini Editore.
Si tratta di un romanzo lineare: niente interattività o ipertesti. Si legge una pagina dopo l’altra. Non si tratta di un passo indietro rispetto alle cose più recenti che ho scritto, come le Poesie Elettroniche, ma di uno dei tanti modi che ha uno scrittore per organizzare le proprie interiora.
Sono molto contento di questo romanzo. Portare a termine un progetto iniziato dodici anni fa e che sembra scritto di getto ieri pomeriggio, è stata davvero una rivelazione anche per me.
È anche il primo romanzo in cui, mentre scrivevo il testo, avevo in mente che qualcuno lo avrebbe dovuto leggere e che quello che doveva godere era più lui che io.
È un romanzo divertente. Se siete gente che lavora nell’editoria o che scrive, ancora più divertente. Io lo rileggevo e ridevo.
È un romanzo che mentre leggevo i mesi scorsi le bozze per l’editing mi meravigliavo che esistesse. Non ricordo, voglio dire, come sono nati i pezzi, come mi è venuto in mente di raccordarli, come sia stato possibile che pezzi di dodici anni fa si mettessero comodamente accanto ad altri scritti pochissimo tempo fa. È quasi un romanzo che si è scritto da solo, autogenerantesi, ogni capitolo ne richiamava un altro che magari arrivava pronto dopo sei sette anni, e viceversa.
È un romanzo in cui metto da parte i miei fantasmi e parlo di cose che sono fuori e dentro di me. È un romanzo sul come si cresca, si diventi adulti, covando dentro di sé le stesse ansie e gli stessi complessi di quando si era ragazzi.
È un lungo invito a smettere di credere nella scrittura, nell’editoria, nella letteratura, e nello stesso tempo un atto d’amore verso questa capacità dell’uomo di stendersi per terra come un cadavere e aprire la bocca e fare uscire storie, solo muovendo bocca e mandibola e emettendo suoni articolati.
È un romanzo che è due romanzi, perché è anche un metaromanzo, ma costa uguale. Nascosto nel romanzo c’è un errore che se uno lo vede capisce che tutto il romanzo può essere letto in una chiave completamente diversa. Come una secret nei videogiochi.
È un romanzo che non sarebbe mai mai mai nato senza tante persone che in corso d’opera mi hanno detto che stavano ridendo mentre lo leggevano. Fare ridere scrivendo è un po’ come accendere un fuoco con i legnetti durante il campo scout, alla fine c’è sempre qualcuno che ha un accendino nascosto.
È un romanzo che se non vi piace non diamo rimborsi, spiacenti, eventuali refusi sul fondo della confezione sono testimonianza della genuinità dell’opera.