Descrizione di mondo #2

Oggi pomeriggio/sera sarò a Milano a presentare una poesia elettronica, un po’ particolare. Si tratta di una poesia che non è nell’ebook delle Poesie Elettroniche, ma di una installazione costruita apposta per la “Riscrizione di Mondo“, tema dell’evento.

La base di partenza di questa poesia/installazione, che presenterò attorno alle diciotto, è una descrizione del mondo tratta dalle Etimologie di Isidoro di Siviglia.

Apparirà sullo schermo; dopo di che, la descrizione della terra inizierà a subire dei morphing, influenzata dai rumori di ambiente esterni alla lucida e razionale prosa di Isidoro.

Il mondo, il suo baccano, sposteranno il focus descrittivo dal mondo esterno allo scrittore, al mondo interno del riscrittore. I cieli, i fiumi e i mari verranno man mano sostituiti dagli organi interni del venerandi, dalle sue paure, dalla sofferenza umana del distacco e dell’invecchiamento.

La dimensione logica e sintattica rimarrà uguale, ma cambieranno gli elementi che compongono la descrizione. Chi fosse nei paraggi, è il benvenuto.

26. maggio 2017 by fabrizio venerandi
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Qualcosa sui link, sul digitale e sul tempo

[Un post non tecnico che parla a modo suo di connessioni, di digitale e di gestione del tempo. È lo storytelling, bellezza]

Ieri sera capita che si parli di collegamenti, di rete e resto con il computer spento, cellulare spento, tutta la sera. Vado in sala e inizio a svuotare un piccolo mobile di legno, dove teniamo i vinili di una vita fa, li metto da parte e poi prendo l’olio per mobili e inizio a pulire con cura tutto il mobile, poi spolvero i vinili uno a uno. Metà dei vinili sono miei, metà sono di Maria Cecilia.
Ci trovo cose mie che non ricordavo nemmeno di avere più: gli Smiths, i Cure, Les negresses vertes. E tanti dischi strani di Maria, roba scritta in russo, musica classica, canti della rivolta. Un disco, suo insapettato, dei Culture Club. Residui nostri, dei fratelli e sorelle, dei genitori.
Li sfoglio, guardo la grafica come cambia nel tempo, le follie colorate degli anni sessanta, il fintismo degli anni ottanta, qualche lucidità plasticosa degli anni novanta. Cerco di capire qual’è l’ultimo disco che ho comperato. Forse è 7, un singolo di Prince dei primi anni novanta, prima dell’avvento del cd. Forse un acustico di Bennato.
Finito il mobile inizio a mettere a posto la libreria, dopo l’alluvione ancora non l’ho rimessa a posto, i libri sono messi così come li abbiamo tolti dagli scatoloni. Inizio a togliere la polvere quando mi rendo conto di quanta libertà – improvvisamente – abbia. Un senso di libertà come quando posi un grosso zaino pieno di roba e inizi a camminare per il centro senza niente, le mani in tasca.
E capisco che questa sensazione è data dal fatto che non sono connesso. Non sono in rete, non c’è niente che debba condividere, nessun forum da controllare se mi hanno risposto, nessuna mail di lavoro che arriva a tradimento nel momento in cui non dovrei lavorare. Nessuna notifica, niente.
Poi salgo nel letto di secondogenito e leggiamo un libro fumetto game per quasi un ora, fino allo sfinimento.
La mattina dopo sto bevendo il caffè e penso che io me la cavo. So che esiste un mondo non virtuale in cui posso vivere. Non che la rete sia qualcosa di diverso da me. Io sono anche la rete, io sono anche quello che scrivo, quello che commento, quello che condivido. Sono anche il codice che eseguo, sono io quanto quello che parla, che balbetta, che si addormenta.
Ragazzi, dico a primo e secondogenito che stanno sorbendo le loro colazioni davanti a me. Se oggi tornaste a casa e scoprite che manca la luce. Un guasto. Siete a casa con la luce che manca, liberi di fare quello che vi pare tutto il pomeriggio, solo senza luce e avete anche il cellulare scarico, cosa fate?
Ci pensano e – in maniera diversa – mi dicono entrambi che cercherebbero di raggiungere il cellulare/telefono più vicino e chiamare qualcuno da cui andare. Un parente, degli amici.
Ma restare in casa, senza elettricità e quindi – a cascata – niente computer e rete e quindi, ancora a cascata, senza connessione, per loro è impensabile. Appena si spegne l’elettricità a casa subentra la noia, l’isolamento.

Lascio i figli nelle rispettive scuole, entro in questo bar per prendere un caffè e c’è la tv accesa, due tv accese tutte e due sullo stesso canale fininvest, canale 5. C’è una donna casalinga, una nonna, una nonna d’italia che parla, in questo finto ambiente tipico fininvest, le luci elettriche, i colori elettrici, il pubblico finto, il giudice finto, il presentatore finto, tutta questa parodia milanese della vita reale e scorrono le scritte in sovrimpressione che confermano quello che stavo capendo, ovvero donna d’italia che scopre il nipote omosessuale e potranno mai degli omosessuali crescere un bambino? C’è anche l’omosessuale che – finché io sono nel bar dice solo due o tre frasi con la stessa autorevolezza di una comparsa uscita da sense8.
Di colpo mi sembra di essere piombato negli anni novanta, quelli più vuoti, quelli in cui mi immagino che c’è una fetta d’italia fatta di donne che alla mattina alle dieci sono in casa con la tv accesa su canale cinque che mentre fanno le casalinghe sentono questa loro simile che dice che “tutto mi aspettavo meno che mi dicesse che era omosessuale” e poi inquadrature sulle risate, i sorrisi della gente, l’orrore di un lavorio quotidiano di una informazione-non informazione che prende spazio nelle idee della gente così, con un lavoro metodico, sporco, accondiscendente, esibito e nello stesso tempo pronto a ritirare la mano, a nascondersi nelle infinite pieghe degli infiniti mattini di canale cinque.
Ho nausea, reale, nausea di pensare queste cose, di pensare una frase come “fanno le casalinghe”. Nausea di questo mio borbottio borghese. Nausea di essere così smart, così geek, così dead in una nazione che ragiona e macina ragioni con gli stessi strumenti mass-mediatici di mio padre. Persone che – mi racconta Maria – quando gli dici che alla sera non guardi la televisione, che gli dici che sono anni che non guardi il telegiornale ti guarda attonita. “E come ti informi?”.
Negli anni ottanta mi collegavo alle prime bbs genovesi e poi la cosa è esondata, molto diversamente da quello che pensavo, molto di più di quanto avessi immaginato. C’è una seconda informazione, digitale, ad accesso libero, casuale come si dice in informatica, che ha cambiato completamente il modo di rapportarsi alle cose. Negli anni ottanta sognavo cose che oggi, timidamente, iniziano ad essere una realtà. Una realtà che si trascina dietro altri nuovi problemi; di persistenza dei dati, di distrazione, di saturazione del tempo e delle informazioni, di privatezza delle cose della propria vita, di accentramento di informazioni e di gestione informatica delle informazioni in mano a pochi, pochissimi soggetti sovranazionali.
Eppure non tornerei indietro. Di fronte a quella donna che più parla più invecchia e fa invecchiare il mondo, di fronte a quelle luci colorate senza possibilità di replicare, di spegnere, di rimuovere quel filtro patinato che copre tutto come una glassa soffocante, di fronte a questo grosso pezzo d’italia, il più grosso pezzo d’italia, preferisco continuare ad andare avanti e rimanere in questo baccano, in questo frastuono digitale.

Alla sera sono sulla spiaggia di Boccadasse con terzogenita che butta pietre nel mare e parzialmente a se stessa e a chi la circonda e Maria che parla con persone care incontrate inaspettatamente, quando vedo una ragazza con un bimbo piccolo che mi guarda, mi sorride, si avvicina e mentre si avvicina io la guardo come se – dentro la ragazza – ci fosse qualcosa che riconosco e qualcosa che però no; una connessione analogica, profondissima, umana; e lei viene fino da me e mi dice ma tu sei mica akela? e io la guardo ancora, dentro, scavo e la vedo emergere, il suo viso bambino che mi guarda compito e lei mi dice ancora, ti ricordi di me? e io le dico certo che mi ricordo di te e lei sorride, e aggiunge questo è matteo, il suo bambino che mi spia tra le gambe di lei. “E poi c’è questo” e apre la giacca e vedo la sua pancia grossa piena di un’altro bambino.
“L’ultima volta che ci siamo visti…” inizio.
“Avevo otto anni” dice lei. “È passato un po’ di tempo”.
“Mi ricordo di te, benissimo”
“Eri il mio akela preferito”, dice.
“Mi sento lusingato. E vecchio”
“Non così vecchio, dai. Vieni che ti presento mio marito”.

Così, link improvvisi a Boccadasse.

09. marzo 2017 by fabrizio venerandi
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Il futuro è di cartapesta

Gutenberg Museum Fribourg - Cylindrical Printing Plate Made of Lead for Letterpress Printing

Ieri ero a Torino per il laboratorio di creazione ebook, e mentre aspettavo i primi corsisti sono andato a prendere un caffè. Bevo il mio caffè e vedo questa réclame di Espresso che dice che per fortuna il futuro è del cartaceo, c’è questo disegno un po’ puerile con un bambino che mette dei blocchi con le lettere che dicono che il futuro è cartaceo e ai suoi piedi dei tablet rotti.
Fotografo la reclame e la condivido su facebook, e oggi vedo che il dibattito rimbalza su diverse bacheche e emergono una serie di botte e risposte che pensavo che fossero morte e sepolte in questo primo sessennio di vita degli ebook in Italia.
Vorrei circoscriverne qualcuna, per mettere i piedi per terra e vedere se questa ennesima polemica non sia piuttosto una qualche azione di marketing per rassicurare questo o quel gruppo di lettori della rivista.
Il primo è che ci sia una lotta tra digitale e cartaceo. Che esistano dei fautori del digitale a tutti i costi, fautori che godano nel vedere la morte del libro, e che ci siano poi luddisti che con gli zoccoli fracassino computer per mantenere riviste e libri saldamente analogici.
Tutto questo non esiste. Le riviste analogiche, i libri analogici, di carta che profumano di carta, sono fatti, ideati, progettati, sviluppati e prodotti con software di scrittura, programmi, computer, macchine fotografiche, documenti cloud condivisi assolutamente e nativamente digitali.
I contenuti che leggete su carta nascono, spesso, da ricerche, condivisioni e informazioni che arrivano dalla rete. Provate a togliere a una redazione “analogica” tutto il brutto e cattivo apparato digitale per una settimana e vediamo.
La verità è che il digitale mette a nudo la lettura. La scorpora di un sovraprodotto che gli editori vogliono ancora tenere con sé perché funziona. L’oggetto. La gente compra oggetti, non la lettura denudata. Come dargli torto. Ma dovrebbero – gli editori- avere il pudore di non ammantare questa scelta commerciale di qualche fumosa scelta etica o culturale che non esiste.
Perché non c’è niente di male a creare oggetti. Fisici. E volere fare oggetti che raccontano storie, che danno informazioni. Non c’è niente di male. Il male è sfruttare il luddismo anti-tecnologico per argomentare una scelta che dovrebbe stare in piedi da sola, per la qualità del progetto che ci sta dietro.
Tra le altre cose che emergono in questi casi, quelle dell’apprendimento. Con il digitale si apprende meno e male rispetto al cartaceo. Qui i detrattori si dividono in due gruppi, a volte anche all’interno dello stesso post. Il digitale è meno adatto per apprendere perché troppo liquido e frammentato rispetto alla nobiltà tipografica del libro. In pratica, è più difficile studiare in digitale.
Nello stesso ragionamento però può anche capitare di imbattersi nella tesi opposta, gli ebook con video e multimedialità presentano una versione facilitata della cultura, banalizzata, mentre l’apprendimento richiede il duro studio di nozioni omogenee, non certo video e musichette.
Quando si inizia a discutere c’è sempre poi qualcuno che a difesa della tesi inizia a linkare: sei, sette studi di qualche università americana che evidenziano come gli studenti che studiano su carta hanno risultati migliori di quelli che hanno studiato in digitale.
In genere questi articoli e questi studi sono disponibili solo in digitale, il che – volendo – ha una sua ironia. Ma ha anche un vantaggio: avendo tempo libero uno può andare a leggerseli.
Io ad un certo punto me ne sono andati a leggere due o tre. Li ho scaricati, effettivamente dicono che chi studia su carta ha avuto risultati migliori di chi ha studiato su digitale. Allora sono andato a cercare, negli studi, due dati che secondo me sono essenziali.
Posto che gli studenti normali hanno studiato sui libri, ovvero hanno studiato sul “top” della tecnologia analogica per l’apprendimento, la mia curiosità era: su cosa hanno studiato gli studenti che hanno studiato il digitale? Hanno anche loro studiato con il “top” della tecnologia digitale? Era uno scontro alla pari?
Sarò stato sfortunato, ma gli studi che ho sfogliato, di questo non parlano. Venivano citati generici “e-text”, ma non c’era scritto niente su due cose che – secondo me – dovrebbero essere abbastanza importanti.
La prima: gli e-text erano contenuti progettati per sfruttare il digitale, costruiti con la stessa cura e coerenza di un libro cartaceo o si trattava di pdf di stampa dei libri di testo, o peggio ancora materiali disomogenei raccolti in quanto digitali? Ancora: con che consapevolezza didattica e tecnologica erano maneggiati dai docenti (e dagli studenti)? [grazie Marco Dom]
La seconda: con cosa sono stati fruiti questi contenuti? Con che device? Con che qualità di “stampa digitale”? Con che applicazioni e strumenti di annotazione, sottolineatura, raccordo?
Di questo, negli studi che mi sono capitati sotto le mani, citatissimi in rete, non c’era traccia. L’impressione, devo dirlo, è che questi malcapitati studenti fossero stati costretti a studiare delle pagine web in scrolling, magari su qualche tablet android entry level.
Se qualcuno pensa che la qualità della device sia un particolare secondario, rispondo con un aneddoto: anni fa un operatore mi confidò che era stato in una classe che aveva sperimentato per un anno lo studio su tablet. L’anno successivo erano tornati alla carta. L’operatore aveva chiesto sbalordito il perché, e la risposta era stata che gli studenti “avevano alla fine delle lezioni, male agli occhi”.
Mi chiedo quante scuole che si avvicinino oggi al digitale affrontino il tema dei pixel per pollice delle device da acquistare, o la gestione della luminosità in relazione a quella dell’ambiente. Eppure, credo che gli stessi docenti messi di fronte a un libro di testo stampato su carta badino anche alla qualità del libro, della rilegatura, della leggibilità dei caratteri, della bontà della carta utilizzata. Non adotterebbero dei fogli male fotocopiati e pinzati insieme alla buona.
Il futuro è del digitale? In realtà il futuro è nelle idee, nella creatività. Il digitale ci sta offrendo degli strumenti, impensabili precedentemente. Il digitale si va a rintanare in tutte le cose in cui lo riusciamo a mettere: nella carta, nelle schedine arduino, nella domotica, nel cloud, negli ebook.
Pensare che il futuro sia ‘nella carta’ è forse uno slogan di lancio di un prodotto di carta; ma non ha niente a che vedere con tutto questo colosso che sorregge il prodotto di carta. Un colosso che è per buona parte digitale e lo sarà sempre di più.

27. febbraio 2017 by fabrizio venerandi
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Impaginatori di digitale #4 (parlando di Choice of Alexandria)

La scorsa estate ho letto/giocato a Choice of Alexandria, una applicazione per Android compatibile con il mio lettore ebook Onyx M96. Si tratta di una App che non utilizza né grafica, né suono: Choice of Alexandria is an interactive novella by Kevin Gold, author of “Choice of Robots.” Your choices control the story. It’s entirely text-based–90,000 words, without graphics or sound effects–and fueled by the vast, unstoppable power of your imagination.
È stata una lettura molto interessante per diversi motivi.
Innanzitutto perché si tratta di electronic literature applicata. Quando in genere trovo articoli o saggi di letteratura elettronica si dà ampio spazio a esperimenti colti o di rapido folklore, mentre difficilmente trovo attenzione su quello che è stata, dagli anni settanta in poi, una applicazione ludica della narrativa elettronica, ovvero l’interactive fiction.
Le avventure testuali, i MUD, i MUSH sono di tanto in tanto rapidamente citati, ma la loro natura ludica ha messo in secondo piano il grande paradigma di scrittura atomica che raccolgono.
È un tema che mi sta molto a cuore: il mio primo vero lavoro di narrativa, nel 1989, è stato infatti un MUD, Necronomicon. Con Necronomicon ho avuto modo di toccare con mano come cambi la prospettiva di scrittura quando si lavori con la narrativa interattiva. Quello che in un racconto deve avere compattezza, tempi, scene con una costruzione che rassomiglia ad un palazzo in cui getti fondamenta, colonne, pareti, travetti, fino al tetto e oltre; ecco, in una interactive fiction diventa invece un lavoro sulla frammentazione infinitesimale di ogni singolo elemento che risulta interrogabile dal lettore. Il lettore interroga gli elementi e deve poi stabilire connessioni, rintracciare elementi contigui, scoprire accadimenti consequenziali. Si tratta di due prospettive di lettura completamente diverse: e quindi anche di scrittura. La cosa più affascinante (e sfibrante) è quella di creare un ambiente in cui le tue storie vivono. Dare la possibilità al lettore di seguire una strada diversa rispetto a quella che avevi in testa tu quando hai creato la prima versione della tua narrazione. Lo snodo narrativo è proprio in quell’appartamento dove il lettore troverà la fotografia che rivelerà il passato del protagonista: ma il lettore potrebbe decidere di scendere al piano di sotto, di andare in un altro appartamento e tu – scrittore – devi immaginarti anche quello. L’idea è che lo scrittore diventi un abbozzatore di mondi che contengono storie, e non di una singola narrazione.
Choice of Alexandria è un esempio (come Lifeline, di cui ho già parlato) di come queste cose ci abbiano cambiato. Discutevo qualche giorno fa con uno scettico dell’EPUB3, il qualche chiosava dicendo che aveva visto negli ultimi anni tante persone che volevano cambiare il mondo della scrittura, trovare la lettura del futuro e poi – dopo qualche tempo – erano spariti nel nulla. Io ribattevo che anche io li avevo visti: Enrico Colombini, la Infocom (con i suoi Zork), tutti i MUD ancora oggi attivi e giocati. E dicevo che questa narrativa interattiva, non solo ha avuto nel suo momento un grande successo, ma ci ha cambiato. Ci ha dato idee che si sono sviluppate in ambiti digitali diversissimi, da WOW a Second Life, da Lifeline a Choice of Alexandria appunto. Non solo l’electronic literature esiste, ma ha già cambiato le teste di chi ha avuto modo di maneggiarla negli ultimi decenni.
unnamedChoice of Alexandria aggiunge un tassello importante a questa narrazione. Non è infatti una avventura testuale in senso stretto, e neppure una storia con scelta a bivi. L’idea, davvero intrigante, è quella di programmare l’intera storia come una sorta di Sim City narrativa, o una Santa Paravia & Fiumaccio.
Il cuore della narrazione è infatti una simulazione. Il lettore si trova di fronte ad una prosa, al termine della quale deve prendere una scelta. Ma la scelta presa non impatta solo il proseguire immediato della storia: ha ripercussioni sul medio e lungo termine. Dopo un po’ che si legge ci si rende conto che le singole scelte che il lettore deve prendere stanno incrementando delle variabili globali che verranno poi utilizzate dal programma nel proporre una situazione narrativa credibile proprio alla luce di quelle singole scelte. La storia infatti è protratta nel tempo della fabula per decenni, e i singoli accadimenti portano poi a radicali cambiamenti di ordine sociale e politico nel corso del tempo.
È una idea portata avanti con stile, talvolta un po’ ruvido (capita in alcune occasioni che nessuna scelta sia quella che avrei voluto fare), ma che da scrittore e lettore digitale ho trovato molto interessante proprio per questo suo essere un incrocio tra racconto e simulazione.
È una App, per quanto possa essere letta su e-ink con Android “aperto”. Avrebbe potuto essere un EPUB3? Posso dire che avrebbe dovuto. Tenere queste narrazioni testuali al di fuori di un formato standard per la lettura digitale è un controsenso. E – a livello tecnologico – sì, basterebbe un buon supporto di EPUB3 e di alcuni suoi strumenti (il localstorage in Javascript) per avanzare ancora nella narrazione non lineare.

Anche di questo parlerò al prossimo laboratorio di creazione ebook a Torino. Cartago delenda est, e anche un po’ questa morbosa idea della carta.

21. febbraio 2017 by fabrizio venerandi
Categories: ebook concetti generali, EPUB3 | Leave a comment

Impaginatori di digitale #3

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Anni fa girava un video che diceva che – in soldoni – un libro o una rivista sono un iPad che si è rotto. “Tappi” e non succede niente. C’era questo bambino che toccava una rivista come si toccherebbe un iPad e siccome non succedeva niente diceva che il libro era rotto. Come certe cose di questo tipo il video ha girato sfruttando l’onda del “futuro della lettura” e della sostituzione della carta con il digitale, e ha imperversato in vari corsi di formazione oltre la sua naturale data di scadenza. Un po’ come quando sei con una persona, dici una cosa spiritosa e quella inizia a ridere, poi tu smetti e vedi che lei continua oltre ogni ragionevole tempistica.
Ecco, quel video mi è tornato in mente ieri sera mentre terzogenita mi mostrava raggiante il suo ultimo libro, “Un libro” di Hervé Tullet, comprato da terzogenita con la madre.
“Un libro” è la risposta più urbana a quel video virale del povero bambino lasciato troppo tempo davanti al tablet. In pratica nel libro ad un certo punto ci sono tre pallini gialli. Sotto, una scritta invita a strofinare il primo pallino a sinistra. Terzogenita lo strofina e gira pagina e il pallino è diventato rosso. Allora si invita a strofinare quello a destra. Terzogenita lo strofina e gira pagina e il pallino è diventato blu. Allora il libro invita a “tappare” cinque volte il pallino giallo rimasto. Terzogenita lo “tappa” cinque volte e gira pagina e il pallino giallo si è moltiplicato. E così via.
Bisogna scuotere il libro, inclinarlo, soffiarci sopra e – ci credereste? – i pallini colorati agiscono di conseguenza.
Mentre terzogenita lo “leggeva” io alle sue spalle recitavo le indicazioni e ridevo, splendido, pensavo, ecco la dimostrazione che quella cosa nascosta, quella che Barrie chiamerebbe il bacio nascosto all’angolo della bocca, quella cosa invisibile è in tutte le cose che riescono a catturarla: carta, inchiostro, codice, carne.

16. febbraio 2017 by fabrizio venerandi
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Impaginatori di digitale #2

Man mano che passa il tempo e aumenta il supporto “passivo” ad EPUB3 mi sto convincendo ad impaginare tutti gli ebook futuri già con la semantica XHTML5 e CSS2.1+subset CSS3.
Sia perché maggiore semantica significa anche lavorare meglio e con più chiarezza in fase di impaginazione, sia perché – come scrivevo nel precedente post – le idee vengono anche avendo a che fare direttamente con gli strumenti e le specifiche.
Per supporto passivo intendo dire che un EPUB3 che non utilizzi javascript e multimediale, funziona in genere con i moderni ebook reader basati su RMSDK e alcuni ebook reader e-ink iniziano anche a supportare qualcosa di Javascript.Kobo, per dire, fa funzionare molte delle mie poesie elettroniche se inserisco gli script in corpo XHTML.
Nei forum internazionali un po’ nerd su questo aspetto si strappano gli scalpi i tradizionalisti difensori dell’ePuB2 e gli amanti dell’EPUB3.
Ma bisogna essere sempre uber alles: mentre mentre si chiacchiera di EPUB3, altrove stanno già volando gli stracci su quello che deve essere/non essere EPUB4 e quello che sarà dpub.

Sul finale stimo che Cartagine debba essere distrutta: ovvero ricordo sempre che sabato 25 inizia a Torino il primo dei tre sabati di laboratorio creazione ebook con il sottoscritto. Quest’anno concederò più spazio a EPUB3.

15. febbraio 2017 by fabrizio venerandi
Categories: ebook concetti generali, ebook news, EPUB3 | Leave a comment

Impaginatori di digitale

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Cosa cambia per chi scrive, per chi impagina, per chi produce un contenuto narrativo, informativo, culturale quando questo contenuto non viene pensato per essere stampato su carta? Gli scrittori scrivono libri o raccontano storie? Alcune mie considerazioni su questi cambiamenti su ebookreaderitalia, a margine di un saggio che sto leggendo di Bianca Gai (che non difende il libro di carta come potrebbe sembrare dalla mia breve citazione, anzi).

Può cambiare tutto e niente. Dipende soprattutto dalla consapevolezza dello strumento che si sta utilizzando, delle sue caratteristiche tecniche. La scrittura digitale nasce prima del codice, parte da una certa idea di narrazione non necessariamente legata all’oggetto libro da leggere pagina dopo pagina. Esiste una scrittura non-lineare che può tranquillamente vivere anche nel libro, quando lo si utilizzi in maniera dinamica. Il libro – per dire – può anche essere una tecnologia per accedere a database con migliaia di dati: basta prendere in mano un vocabolario.

Conoscere le caratteristiche tecniche significa anche aprire il cofano dei testi digitali. È un piacere per me, durante i laboratori di progettazione ebook, vedere gli occhi luccicare ai corsisti quando si rendono conto che con un ebook possono fare cose che non pensavano. Questo è un punto di non ritorno: le buone idee vengono fuori dal terreno rivoltato dalla conoscenza. Difficilmente farete un ebook diverso da un libro di carta se non sapete cosa c’è oltre il libro di carta.

Piccolo promo: il prossimo laboratorio che sto preparando è a Torino, iniziamo il 25 febbraio e continueremo per altri due sabati. Fino a lunedì prossimo c’è anche uno sconto sulla quota di iscrizione alle tre giornate.

10. febbraio 2017 by fabrizio venerandi
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Aperitivo con la letteratura elettronica a Torino

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Martedì 24 gennaio presso Rinascimenti Sociali, Via Maria Vittoria, 38 – Torino, aperitivo genovese con lectio magistralis del sottoscritto che parlerà di electronic literature e di Poesie elettroniche, il mio ultimo lavoro di poesia programmata in EPUB3. È la prima presentazione ufficiale di questo ebook e racconterò come è nato, come è fatto dentro e come possa essere progettato – al di là degli effetti speciali un testo di letteratura interattiva. L’occasione mi permetterà anche di raccontare/mostrare alcuni lavori interessanti di letteratura elettronica: l’ultima Electronic Literature Collection, alcune App come Lifeline e Alexandria, e anche alcune cose nascoste dei laboratori di Quintadicopertina, come la versione mutante di Tristano di Nanni Balestrini.

L’ingresso è gratuito, si inizia alle 19 e si finisce alle 20.30. Nel mentre racconteremo anche il calendario dei nuovi laboratori dedicati all’editoria digitale in partenza a Torino dal prossimo febbraio.

A Martedì!

20. gennaio 2017 by fabrizio venerandi
Categories: ebook news, EPUB3, Programmazione | Leave a comment

Macchine da scrivere 2.0

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[Attenzione: post ad alto contenuto nerd]

Una delle cose peculiari degli ebook reader è che usano l’inchiostro elettronico. Molti pensano che l’inchiostro elettronico sia più riposante per leggere rispetto ai normali schermi lcd di computer e tablet. Una cosa che mi sono sempre chiesto è se questa piacevolezza di lettura si sarebbe potuta mantenere anche nella scrittura, ovvero se la facilità di leggere su uno schermo elettronico si applicasse anche nell’attività di scrittura. Se la vista si affaticasse meno a scrivere con uno schermo e-ink rispetto al lavoro che normalmente si fa con un computer.

Non sono l’unico ad esserselo chiesto. Esistono startup che si sono focalizzate proprio su progetti di “macchine da scrivere digitali”, (vedi ad esempio la controversa FreeWrite) unendo la bellezza e la potenza di una tastiera meccanica, con quella dello schermo ad inchiostro elettronico.

Ma anche senza acquistare rischiosi prototipi è possibile assemblare da sé una piccola *macchina da scrivere 2.0*, con una tastiera meccanica e uno schermo e-ink.

Cosa serve

Per l’inchiostro elettronico serve un ebook reader aperto, perlomeno basato su Android e che permetta di installare applicazioni da Google Play. Io ho utilizzato il modello M96 della Onyx, un versatile ebook-reader/tablet basato su Android 4.0. Importante è che sia un modello in grado di supportare anche Bluetooth.

Da Google Play vanno scaricati due programmi: un programma di scrittura testi (ad esempio Writer Plus, che gestisce semplici formattazioni in markdown) e un programma capace di gestire una tastiera esterna, permettendo anche la personalizzazione dei tasti. External Keyboard Helper è una buona soluzione in questo senso.

Le tastiere da molti considerate migliori per la scrittura sono quelle meccaniche. Il modello deve però anche essere Bluetooth per permettere la connessione all’ebook reader. Non ci sono in realtà molte tastiere meccaniche Bluetooth. La mia scelta è caduta sulla LinDon BMK61S, una tastiera meccanica cinese che monta tasti imitazione dei tedeschi cherry blue. Si tratta di una tastiera compatta di discreta fattura e prezzo contenuto. La connessione con l’M96 avviene senza troppi problemi e External Keyboard Helper gestisce bene l’eventuale personalizzazione e localizzazione della tastiera. È una tastiera ibrida utilizzabile anche con normale cavo usb.

Il layout

Personalmente utilizzo un layout qzerty, reminescenze dell’originale mappatura dei computer Apple. Quindi non guardo i simboli che sono scritti sui tasti ma li associo automaticamente al posizionamento che già conosco. Se siete invece abituati a leggere i simboli sulla tastiera potrebbe essere molto più complesso (se non impossibile) trovare una tastiera meccanica Bluetooth con i simboli italiani sui tasti. È più facile prendere una tastiera USA e etichettare i tasti che presentano differenze (accenti e simili).

Scrivendo

Scrivere con un ebook reader è interessante. Si può scrivere nella penombra con l’aiuto di una lampada che illumina l’ambiente; da un certo punto di vista anche questo ricorda la scrittura pre-digitale, quando si scriveva su carta o su materiali che non mandavano luce propria. Oppure si può scrivere all’aperto e al sole, dove si avrebbe difficoltà a farlo con un portatile.

Si tratta di una scrittura sporca: l’e-ink non ha la pulizia dell’LCD quando si scrive. Alcune righe rimangono più scure di altre; c’è un delay tra la velocità con cui si scrive e quella con cui la parola appare sullo schermo; nello scrolling di tanto in tanto l’Onyx effettua un dithering per velocizzare la visualizzazione del testo; a volte lo schermo ha un refresh completo per pulizia; quando si fa editing a testo già scritto si creano di tanto in tanto temporanei artifatti.

Alcuni sono elementi distraenti, ad altri non ci si fa caso: si capisce però che non si sta usando un mezzo nato per fare quello. I lettori e-ink non sono nati per scrivere, e le applicazioni che usiamo per farlo non sono di certo ottimizzate per essere usate con inchiostro elettronico.

Eppure si riesce a scrivere, e anche a lungo. La gestione della parola in fase di scrittura, benché ancora imperfetta, è molto migliorata rispetto a una decina di anni fa. Ricordo quando, circa 2010, sperimentavo con il mio iLiad collegato ad una tastiera meccanica, il *brivido* della scrittura su e-ink. Rispetto ad allora questo sembra uno step successivo importante. Mi è parsa comunque più naturale la prima stesura del testo, piuttosto che la fase successiva dell’editing, che con pennino e refresh risulta meno immediata.

La cosa che andrà scoperta con il tempo è se questa nuova scrittura a macchina porti dei valori espressivi al di là della curiosità del mezzo, ovvero se l’ebook, da luogo isolato per la lettura, possa anche diventare uno strumento di isolamento dello scrittore nei confronti della ipervasività della macchina multipurpose digitale.

La cosa che infatti si nota che manca è la possibilità di uscire dalla scrittura per andare in rete a cercare qualcosa, aprire un secondo file per prendere un dato o frugare nelle mail per inserire un riferimento. Non che non si possa fare, ma si tratta di operazioni che in e-ink e con un lettore ebook diventano notevolmente più laboriose e lente.

Vale davvero allora il parallelo con l’isolamento dato dalla lettura: scrivere con e-ink oggi è piuttosto un momento di stacco rispetto a tutto il resto, per tornare a popolare testo (o codice) come si potrebbe fare con una sofisticata macchina da scrivere digitale.

17. gennaio 2017 by fabrizio venerandi
Categories: Programmazione | 4 comments

Poesie elettroniche su Nazione Indiana

Oggi su Nazione Indiana racconto come sono nate e come sono organizzate le poesie elettroniche che ho scritto/programmato in EPUB3.

Poesie elettroniche è un ebook EPUB3 di poesie interattive e grafiche uscito in coedizione Quintadicopertina e Nazione Indiana nel dicembre del 2016.

16. gennaio 2017 by fabrizio venerandi
Categories: ebook recensioni, EPUB3 | Leave a comment

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