Alla scoperta di EPUB3 e Javascript
Ricordo a chi fosse interessato che stasera parte la prima lezione del corso online di EPUB3 e Javascript. Vedremo cosa c’è di nuovo in EPUB3, come inserire video, audio, aggiungere semantica al testo, disegnare con le Canvas, interagire con SVG. Otto ore online con il sottoscritto divise in quattro lezioni.
Se avete curiosità di fare qualcosa che vada oltre il libro statico, questo corso potrebbe essere un buon punto di partenza. A stasera.
Poesie Elettroniche
Avvertenza: questo è un post ad alto contenuto autoreferenziale e autopromozionale. Quest’anno ho lavorato a un ebook che — per diversi motivi — era abbastanza importante per me. Si tratta di un ebook di poesie elettroniche. Poesie, voglio dire, che utilizzano il codice di programmazione come elemento retorico, al pari di rime, chiasmi, metriche. Nel corso degli ultimi anni avevo pubblicato sul mio sito alcuni esperimenti (se ne era parlato anche su Nazione Indiana), ma questo ebook non è una raccolta di quei test, quanto un lavoro che prova a svolgere in maniera omogenea alcune germinazioni nate da quelli.
È stato per me un incrocio di diversi stimoli, letterari, editoriali e di programmazione. Sia perché avevo qualcosa da raccontare e mi trovavo più a mio agio con gli strumenti del codice che con quelli tradizionali, sia perché volevo da tempo creare un EPUB3 che mostrasse le caratteristiche e le potenzialità del formato senza essere costretto nei wunderkammer multimediali e fixed ad ogni costo, sia perché mi interessava cogliere il momento preciso in cui la parola scritta nella pagina acquista potenza dal codice per diventare qualcosa d’altro, ma senza perdere la propria identità di parola stampata.
Poesie elettroniche è un EPUB3, una coedizione di Quintadicopertina e Nazione Indiana. Anche questo è un aspetto a cui tenevo: portare la poesia elettronica all’interno di un formato editoriale. Uscire dall’idea dell’electronic poetry come stravaganza e presentarla come prodotto letterario.
Per i tipografi digitali può essere interessante guardare il codice. È un prodotto aperto: niente DRM, anzi, ho scritto le poesie e il codice in modo che fosse estremamente semplice moddare questo ebook. Cancellare i testi delle mie poesie e sostituirli con altre liriche, facendo in modo che l’ebook continui a funzionare con nuove parole e nuovi versi.
A proposito di ebook arricchiti: ad impreziosire il testo una bella panoramica di Gino Roncaglia sulle origini della poesia elettronica, dai progenitori della poesia grafica, alle poesie combinatorie di Nanni Balestrini.
Il testo è in promozione sul sito di Quintadicopertina fino alla fine dell’anno. Buona interazione e – se avete tempo e voglia – fatemi sapere che ne pensate.
L’editore digitale non esiste (ma dà i numeri)
Sabato scorso sono stato alla sala Formentini di Milano per partecipare ad un evento Bookcity dedicato al digitale. Ero stato invitato come editore digitale, anche se nel corso degli interventi si è parlato di formazione, ed ho portato alcuni esempi della mia esperienza di docente sia con il Master Editoria della Cattolica, sia con ebookdesignschool di Quintadicopertina. Con me erano Davide Giansoldati di DGline e Michela Gualtieri di Tribook, che hanno raccontato del lavoro diverso, ma omogeneo, di chi usa il digitale come elemento di promozione, informazione e distribuzione dell’elemento libro. Moderatore un attento ed esperto Mauro Zerbini.
Si è parlato di molte cose, ma due vorrei riprenderle qua sul blog.
La prima: ancora una volta sono stato presentato al convegno Bookcity come editore digitale. Quintadicopertina è effettivamente nata come editrice digitale, oltre che proporsi per servizi per terzi con Quinta Factory e come formatore con la già citata ebookdesignschool.
Ma nel corso di sei anni anche il nostro lavoro e la capacità di vedere il prodotto editoriale sono mutati e — in un certo senso — si sono fatti più maturi, senza venire meno alle idee forti con cui avevamo iniziato nel 2010. Una frase che ci ha fatto da guida per molti anni è stata se vuoi fare un libro, ma invece fai un ebook solo perché non puoi stamparlo, non stai facendo un buon lavoro
. Questo significa che esistono prodotti editoriali che non hanno senso in formato ebook, così come esistono ebook che non ha senso stampare su carta. Io, editore, devo trovare il formato e la distribuzione corretta per la cosa che voglio comunicare, la storia che voglio raccontare, le informazioni che voglio dare.
Davanti alla sala gremita ho detto che io non mi sento un editore digitale, ma un editore, che — quando è il caso — usa il digitale. E ho parlato del nostro ultimo titolo Robotica Creativa per giovani tecnologici, che non è un ebook, ma è un libro di carta, un testo di robotica per ragazzi, con allegata una valigetta piena di fili elettrici, diodi, motorini. Hardware. Quanto di più lontano dall’ebook si possa pensare. E di cui non è prevista una edizione ebook, perché non è il testo che abbia bisogno di una versione digitale. Non si tratta di una marcia indietro o di una scarsa fiducia negli ebook. Uno dei prossimi testi a cui stiamo lavorando è un EPUB3 di poesia elettronica, con versi che si modificano nel tempo, reagiscono al tocco del lettore, si moltiplicano nelle pagine dell’ebook.
Ma un editore che ha a cuore il contenuto che vuole comunicare e proporre ai suoi lettori, sceglierà tutti gli strumenti adatti al contenuto e pensando a come verrà letto/fruito, da chi, e dove.
La seconda cosa che ho detto è relativa alla metodologia con cui oggi si trattano i numeri dell’editoria digitale, presentandola talvolta come un fenomeno mancato, almeno in Italia, con cifre inferiori a quelle che molti si aspettavano. Si parla spesso oggi di una percentuale del 5% di ebook venduti, rispetto al comparto del libro tradizionale. In realtà ci sono alcuni precisazioni da fare, che possono modificare in maniera importante questa fantomatica percentuale di cui si parla. La prima, più banale, è che il 5% non è riferito al numero di ebook venduti, ma al fatturato. Stante che gli ebook costano in genere meno di quelli cartacei e che – in virtù della loro immaterialità – sono più facili da utilizzare per le pratiche di sconto anche molto aggressive (i famosi ebook venduti a 0.99 €) è facile pensare che l’incidenza percentuale degli ebook venduti rispetto ai libri tradizionali sia ben superiore al 5% misurato dal fatturato.
Ma anche la stima del 5% — personalmente — la reputo un dato dopato al ribasso. Chi veramente conosce i dati di vendita effettivi del digitale infatti sono in primo luogo le piattaforme di distribuzione e in secondo luogo gli store a queste piattaforme collegate. Ebbene, la più importante piattaforma di distribuzione e vendita ebook in Italia, Amazon, i dati di vendita non li comunica. Non li ha mai comunicati. Nessuno, tranne Amazon, sa quanti ebook venda il maggiore distributore ebook in Italia. Ma allora come si arriva alla percentuale del 5%?
In genere chiedendolo ai grossi editori. Se Mondadori o Feltrinelli (e altri) dicono di aver avuto un proprio fatturato interno legato agli ebook del 5%, in media, quel valore farà da lanterna per le stime percentuali. E questo, se pensiamo al mercato tradizionale, ha un suo senso. Che però non è detto che sia valido con il digitale.
Perché non deve essere valido? Perché nel digitale i medio-piccoli editori possono avere relazione diretta con Amazon, o aprire direttamente loro il proprio store su internet, bypassando piattaforme di distribuzione e store. I medio/piccoli editori quindi possono avere vendite, anche interessanti nel caso si abbia un testo che trovi la fortuna del pubblico, che sono fuori da qualunque radar di rilevazione statistica. Le migliaia di copie di ebook vendute da Quintadicopertina in questi anni, a livello statistico, non esistono.
Ma non è solo questo: le rilevazioni ai grossi editori non tengono in nessun contro un fenomeno grosso come quello del self-publishing. I testi autoprodotti in digitale, infatti, potranno in genere vendere poche copie (anche se ci sono di tanto in tanto eccezioni). Ma i self-publisher sono tanti. Se andate a vedere chi sono gli editori che hanno immesso nuovi titoli nel mercato dell’editoria digitale negli ultimi anni, tra i primi attori non trovate i grossi editori, ma le piattaforme di aggregazione e pubblicazione dei self-publisher. Sono loro ad aver immesso la grossa maggioranza dei nuovi titoli ebook.
Anche questi sono titoli-fantasma, che non sono rilevati da nessuna stima sul mercato italiano.
Tutti i computer della mia vita
Questo post non ha assolutamente nessuna utilità pratica. Era una cosa che mi ronzava in testa, quella di rispondere alla domanda: ma perché oggi sono qua a usare un computer e farci cose? Come è iniziato il tutto? Ecco, così.
Lambda 8300
Il primo computer della mia vita si chiamava Lambda 8300, ma io non lo sapevo. Sulla scatola c’era scritto solo YOUR COMPUTER. Era verde, molto verde, aveva i tasti gommosi come le morositas ed era compatibile con il Sinclair Timex 1000, computer non commercializzato in europa, quindi era compatibile con nulla. Era circa il 1983 e io amai il mio Lambda 8300 di un amore sincero per poco più di un anno. Fui ricambiato con la conoscenza del BASIC, la lingua del futuro. Il mio Lambda aveva 1k di ram, ma anche una generosa espansione a 16k. Se toccavo inavvertitamente l’espansione da 16k il computer si spegneva. Potevo registrare i programmi che scrivevo usando un registratore a cassette audio, di curiosa forma pentagonale. Con il Lambda scrissi il mio primo arcade, una specie di incrocio tra Gyruss e Galaga, ma il gameplay ricordava più gli scacchi da tavolo.
Apple ][+ compatibile
Il mio secondo computer, 1984, fu un Aton II, ovvero un compatibile tailandese dell’Apple ][+. Rispetto all’Apple originale, il mio Aton aveva un tastierino numerico dedicato e la possibilità di usare anche le minuscole. Corredato da floppy disk da 5 pollici e un quarto, un miniplotter a pennini intercambiabili, una scheda ottanta colonne, una scheda Z-80 per il CP/M e un joystick a potenziomentri, l’Aton II fu il computer della mia vita, quello che ti rimane per sempre nel cuore. Con quello scrissi la mia prima avventura testuale in Applesoft Basic, il mio primo arcade che_andava_veloce, scrissi i testi del mud Necronomicon, feci i primi collegamenti alle BBS locali, a itapac. Aveva questo strano colore caffellatte che fa tanto cappuccino. Dopo il periodo purgatoriale di Lambda dove non potevo giocare a nessun videogioco se non scritto da me, con Aton II scambiai e giocai un numero impressionante di videogiochi, come Obelix e il paiolo.
Macintosh LC
Visto che comprare un Apple IIGS non era cosa alla portata di un essere umano, il computer successivo fu il Macintosh LC. Fiammante, nuovo, vero Apple, con un mouse e con un paradigma completamente diverso di utilizzo. Fu un computer che tenni per un tempo lunghissimo, nove anni, dal 1990 al 1999. Con il Macintosh LC smisi sostanzialmente di programmare e entrai nelle delizie della GUI e dei programmi di impaginazione e fotoritocco: XPress, PageMaker, Photoshop. Continuai a entrare in rete, questa volta anche con Fidonet. Diventai un dipendente del Finder. Ad un certo punto scambiai il mio monitor a colori con un monitor in bianco e nero e continuai ad usarlo in bianco e nero. Non chiedetemi il perché.
Powerbook Duo 210
Mentre ancora avevo il Macintosh LC, gli affiancai un Powerbook Duo 210. A differenza di quello in foto, il Powerbook Duo 210 era a livelli di grigio, lento, con una tastiera un po’ goffa. Ma aveva in se alcune cose dell’attuale filosofia Macbook: non aveva lettori cd o floppy, era piccolo e leggero e aveva solo tre porte nascoste nell’elegante retro. Fu un fedele compagno durante il servizio civile, il mio primo portatile in assoluto e con lui conobbi quello strano rapporto che si instaura con un computer che ti insegue dappertutto, anche a letto. Come certi gatti. O certi insetti se sei sfortunato. Con il duo reinstallai un programma per programmare in basic, il Chipmunk Basic e un prolog, con cui costruii alcune rudimentali radiosveglie.
iMac bondi blue
Ricordo ancora che vidi per la prima volta l’iMac bondi blue con Maria Cecilia in alcune reclame. Erano degli ingrandimenti di particolari del case. Erano meravigliosi, per l’epoca. Ci innamorammo prima dell’estetica, poi della pratica. Lo prendemmo immediatamente. Paradossalmente fu uno dei computer che visse meno nella nostra casa, quasi subito sostituito con l’iMac DV tangerine. Con iMac riscoprii la bellezza di giocare ai videogiochi contemporanei.
iMac dv tangerine
Comperai questo iMac con uno dei fratellastri di eBay, Aucland, poi acquisito e sparito nel nulla. Lo comperai vendendo contestualmente l’iMac Bondi Blue per due tre ragioni di una certa importanza: a) il tangerine non aveva la ventola; b) il tangerine ci girava la nuova versione di Tomb Raider; c) il tangerine era arancionissimo. L’iMac tangerine è l’altro computer con cui ho fatto tante cose, uno di quelli importanti. È stato il computer con cui ho abbandonato il Mac Os classico per approdare a OSX, ho scritto in LATEX, ho ripreso a codificato piccoli programmi, è stato il server di neoNecronomicon acceso 24/24.
Duo Dock
Il Powerbook Duo era una follia della Apple anni novanta: un portatile ultraleggero che – in ufficio – si infilava in un dock come una videocassetta. A quel punto si trasformava in desktop con tastiera, monitor e periferiche. Il Duo Dock è stato un episodio di retrocomputing che ho rivissuto, un po’ come una macchina del tempo. Avevo un Duo Dock, a cui comperai una scheda ethernet per connetterlo all’iMac, un Powerbook Duo 270c e un Powerbook Duo 280c upgradato a 2300, con Power Pc. Andavo in giro con il Powerbook Duo e poi a casa trasferivo le cose che avevo scritto sull’iMac, o ci lavoravo con il Duo Dock. Fu una passione, breve ma intensa.
Powerbook G4 12”
Il Powerbook G4 12” sostituì l’acciaccato iMac dv e i miei obsoleti Powerbook Duo. È stato un computer usatissimo e che mi ha accompagnato fino a fine corsa, anche se aveva molti problemi progettuali. Con lui ho scritto moltissime cose, romanzi e storie. Con lui è iniziata l’avventura di Quintadicopertina, ho imparato ePub, XML, XQuery, CSS, Python. Ho installato cose che non credevo possibili e – forse – è con lui che ho abbandonato la macchina da gioco per usare il computer in maniera più matura. Meglio tardi che mai.
Mac Mini
Computer senza forma e senz’anima, difficile odiarlo, difficile volergli bene. Quando il minimalismo cupertiniano fa sparire la macchina. Come puoi amare qualcosa che non ti dà appigli, che non mostra la sua goffaggine, che non invecchia? La cosa più dolce di questa macchina sono le tastiere meccaniche cherry blu che ci attacco. Piccolo mainframe personale, su questo Mac Mini continua l’avventura di Brew, Imagemagick, php, Inkscape, Javascript e i grossi progetti ebook. È ancora qua nel 2019, con l’hard disk sostituito con una più veloce SSD e si appresta a diventare una delle macchine più longeve della mia vita. Su questa macchina ho iniziato a programmare anche il videogioco che sto facendo con figlio numero due.
Acer Aspir One
Rubato per un anno a primogenito, è stato un portatile di emergenza su cui ho potuto finalmente provare e usare Linux. Esperienza più piacevole di quello che credevo. Linux, in questo caso Ubuntu, mi è sembrato qualcosa di simile a quello che era Apple II molti anni fa. Un sistema da smanettoni. L’hardware purtroppo non era all’altezza del compito e Ubuntu è bello finché funziona tutto. Quando qualcosa inizia a non funzionare, smette di funzionare. E quando chiedi aiuto tutti sembrano pensare che la colpa sia tua.
Macbook Air 11”
Il portatilino. Comodo, veloce, anonimo. Non ha ancora lasciato il segno, non so se lo lascerà. È bello installarci sopra i programmi da terminale, personalizzarlo, farlo sempre più tuo e meno di Apple. La leggerezza e l’ostinazione di questo portatile ad essere sempre con me ad ogni ora del giorno e della notte a volte è l’inferno. Mi ha dato comunque la gioia di farmi riscoprire il mondo dei videogiochi alternativi quando ormai ci avevo messo una pietra sopra. Solo per questo gli devo molto.
IDPF & W3C: viva gli sposi?
Ne avevo già parlato un po’ di tempo fa, ma ora la notizia del matrimonio tra IDPF e W3C è ufficiale.
Che ricadute ha questa decisione? Lo vedremo nei prossimi mesi, ma non credo proprio che ci saranno cambiamenti epocali, piuttosto una convergenza di interessi nel lavorare per una serie di specifiche e di architetture adatte all’editoria volta al digitale, sia nella sua versione online che offline.
Prima però di stappare le bottiglie di spumantino, alcune considerazioni volte a suscitare un po’ di sano scetticismo. La prima è che questa convergenza, almeno da un punto di vista tecnico, era piuttosto prevedibile: tutte le specifiche per fare ebook, oggi, si appoggiano completamente o quasi a strumenti del W3C. La formalizzazione dell’IDPF da questo punto di vista è stata piuttosto modesta, forse funzionale considerato il mercato e i player in azione, ma poco coraggiosa se non addirittura cosmetica.
ePub2 ed EPUB3 infatti rimaneggiano, vincolano, coordinano strumenti nati per fare pagine web, aggiungendo però poca ciccia atta a fare editoria digitale; non riescono a portarsi dietro, voglio dire, il bagaglio editoriale tradizionale ripensato al digitale. E quei pochi attributi (nel senso XML del termine, non quello dei maschi alpha) sono in genere supportati con scarsissimo entusiasmo dal vari lettori di ebook.
Il secondo punto di scetticismo, o meglio di sano pragmatismo, nasce dal fatto che non è chiaro se questo nuovo organismo passerà ad uno step successivo per la creazione di letteratura digitale, o si continuerà ad embeddare e lavorare su impacchettamenti di pagine web. Non ho niente contro le pagine web, ma aiutiamole a casa loro. Non dentro un testo digitale che è pensato per un tipo ben diverso di lettura, di struttura, di utilizzo dei dati. Per tutto questo oggi non c’è nessuna risposta se non quella di industriarsi con molta fantasia, Javascript e con un grosso lavoro a monte in XML, XQuery e altro. Perché le specifiche (già di per sé non entusiasmanti) per creare indici e glossari, quelle per l’Open Annotation, quelle per creare dizionari, non fanno parte tra quelle licenziate per EPUB3.1?
Prevale insomma — per ora — il sospetto che ai vari attori interessi maggiormente mettere in mostra la qualità degli hardware di questo o quel device, di mantenere le posizioni di questo o quel gestore di DRM, accontentandosi di concepire lo sviluppo dei nuovi testi digitali come impacchettamenti di pagine HTML5, magari tenute assieme dai muscoli di Javascript e in modalità fixed. Ho messo tutto in grassetto per sottolineare la gravità del sospetto.
Tutto questo mentre il maggior venditore di ebook al mondo, Amazon, continua a restare fuori da qualsivoglia standard comune.
Eccoli, escono: è il momento di mettere mano al riso e tirarlo contro, il più forte possibile.
Corso online per EPUB3
Ricordo per chi fosse interessato, questa sera inizia il corso online Introduzione a Javascript finalizzato a scoprire questo nuovo strumento di EPUB3.
Trovate tutte le informazioni sul sito di ebookdesignschool.
Buon coding!
Il futuro di EPUB3
Nel mondo dell’editoria digitale niente è per sempre. È notizia di questi giorni che il matrimonio tra IDPF e W3C sta per consumarsi. Si tratta di un passaggio di una certa importanza: IDPF è l’organismo che sta dietro alle specifiche di EPUB, il W3C è il papà del web. Il matrimonio non solo fa emergere una relazione che c’è sempre stata (un ebook è molto più simile a un sito web che a un libro di carta), ma sottolinea le future linee di sviluppo dell’editoria digitale che vivranno in ambienti in continua evoluzione, non soltanto come pacchetti book-like, ma anche come cose ad accesso cloud, liquido e web.
E non è un caso che la notizia dell’unione con w3c si accompagni al rilascio delle specifiche draft di EPUB3.1 (che avevo già anticipato un po’ di tempo fa). Molti cambiamenti sotto al cofano dell’EPUB3, di cui bisognerà studiare con calma le intenzioni, le applicazioni, il supporto.
Alcune cose saltano comunque all’occhio: aumentano (con judicio) le risorse che possono essere fuori dal pacchetto EPUB3, si accrescono le specifiche per l’accessibilità e si rafforzano i legami con HTML5 e SVG. Da ora in poi sarà implicitamente assorbita in EPUB3 ogni nuovo assestamento di queste due colonne XML.
Risulta meno chiaro cosa succederà a una serie di specifiche in lavorazione o già finite, che afferiscono a EPUB3 senza far parte del cuore: Open Annotation, indici, dizionari e glossari, layout multipli. Si tratta di specifiche in lavoro da un paio di anni e che non mi pare facciano parte di quelle di EPUB3.1
Che dire: sarà un 2017 molto stressante interessante.
Up & Going
Il 7 novembre inizierà su ebookdesignschool il corso online di EPUB3. Sarà un corso che si focalizzerà su un aspetto importante del formato: javascript. A ben vedere si tratta di un corso introduttivo, aperto a tutti, per imparare a programmare. Partiremo dalle basi del linguaggio, fino ad avere di padronanza di variabili, istruzioni, cicli, condizioni.
Non c’è un libro di testo da comprare, vedremo tutto in laboratorio, scrivendo direttamente il codice.
Però non posso non segnalare questo ebook di O’Reilly, Up & Going visto che nel momento in cui scrivo è offerto gratuitamente e — per quel che ne ho letto finora — segue la stessa progressione che ho intenzione di utilizzare durante il corso del mese prossimo
Buona lettura!
L’odore del silicio (o del feticismo della lettura)
Ogni tanto nel mio ebook reader devo caricare un romanzo normale. Mi piace leggere molte cose e tra queste molte cose ci sono anche i romanzi tradizionali, per il loro distribuirsi nel tempo, fare da cuscino soffice quando non si ha la testa per leggere qualcosa di più complicato.
Ieri ho scelto un testo che avevo cominciato di leggere un ventennio fa e che poi non avevo mai finito, Il gioco delle perle di vetro. Dopo averlo comprato, ne ho parlato in casa e mi dicono, ma guarda che lo avevamo già. Avevamo il libro. E io in quel momento mi sono reso conto che – anche se avessi avuto il libro – mi sarei preso l’ebook. Perché l’ebook è più comodo.
Del perché sia più comodo, per me, è facile dire: me lo porto sempre dietro insieme ad altre decine di testi che sto leggendo e studiando. Le pagine di carta, sono scomode. Si chiudono da sole, devi reggerle. Ma non è solo quello.
L’ebook posso prenderlo, aprirlo. Posso curiosare su come è fatto. Come un tempo – nei libri – si tagliavano le pagine ancora unite assieme, ci sono una serie di riti fetish legati all’ebook: devo strappare via i DRM, aprire il pacchetto, guardare il codice con cui è fatto, che font. Pensare se posso modificarlo e farne una versione personalizzata.
L’ebook poi mi porta automaticamente in biblioteca: il mio ebook reader è una biblioteca. Il solo aprire il romanzo che sto leggendo significa entrare nella mia biblioteca digitale e farci qualcosa, prima e dopo: vedo citato un autore, esco dal libro e vado ad aprirmelo. O prima di aprire il romanzo vado a cercare quella curiosità in quel saggio che sto studiando.
Mi rendo conto che mi piace leggere digitale, per le caratteristiche della lettura digitale. Aprire – in e-ink – l’App di un quotidiano, e leggere gli articoli con calma, senza cose che mi spingono via dalla lettura stessa. Stupirsi per una gif animata che lampeggia sul proprio schermo statico in bianco e nero.
Sono feticismi, nuovi, al pari di chi annusa l’odore della carta e crede che sia una cosa nobile.
BTW: se qualcuno fosse interessato, parlerò stasera di cosa sono (e cosa non sono) gli ebook alla lezione gratuita online di presentazione dei corsi di formazione di Torino.