Cose che succedono nel digitale
Ho finito di leggere PROMOTING READING IN THE DIGITAL ENVIRONMENT. Non ne sono rimasto particolarmente impressionato. Una analisi della promozione digitale, con un occhio particolare agli ebook, ma che non mi è sembrata mai entrare nel discorso in maniera approfondita. Un generico invito finale ad usare formati aperti come EPUB3, spazio a iniziative culturali imho molto periferiche e un grande vuoto sull’effettiva forza numerica del mercato antagonista di Amazon.
Non ultimo, fa specie continuare a leggere lavori sulla lettura digitale che vengono poi distribuiti in pdf tipografici, con tanto di pagine destre e sinistre e retro pagina bianchi. Le icone presenti nel testo sono solo immagini in trasparenza per dare l’idea di modernità. Fate quel che dico, non quel che faccio
.
Ho invece iniziato a [leggere?] [giocare?] un ennesima App per Android. Si tratta di una collana che, con un certo orgoglio, marca la sua autonomia di opera digitale non multimediale: It’s entirely text-based–without graphics or sound effects–and fueled by the vast, unstoppable power of your imagination
.
Non si tratta di un racconto lineare, né di una meccanica storia a bivi, ma viene descritta come a philosophical interactive romance
.
Segno che, come già in Lifeline di cui ho parlato altrove o in Infetto, con grande lentezza si sta muovendo un mondo di prodotti commerciali, lontani dalle sperimentazioni un po’ accademiche dell’ELO, che cercano di ricreare l’alchimia della narrativa interattiva digitale, questa volta non legata ad un parser per gamer e neppure ad una lettura a tubo catodico. La narrativa interattiva sta ponendo forse oggi per la prima volta le fondamenta del suo essere prodotto letterario, commerciale ed editoriale.
Ma non è un campo che interessa solo il testo o solo i videogiochi, anzi, da un certo punto di vista i campi si aprono contaminandosi. Riparlo quindi di Tender Metal di Gwilym Gold che pare essere diventato gratuito. “Tender Metal” è l’album che ha lanciato il non fortunatissimo formato musicale Bronze.
Si tratta di una applicazione per iPad e iPhone che contiene le tracce di questo album electro-pop di Gwilym Gold del 2012. La caratteristica interessante è che l’album viene eseguito ogni volta che si preme play, ogni ascolto è leggermente diverso dai precedenti: possono variare gli strumenti, gli arrangiamenti, l’uso della voce, la durata e la presenza di alcuni passaggi musicali.
Non aspettatevi cambiamenti radicali da un ascolto al successivo, anche se a volte succede: non è un gioco di stile, quanto piuttosto un esempio di costruzione pop di generative music. Le variazioni sono talvolta minime e richiedono più ascolti prima di essere percepite.
Il formato Bronze non ha avuto particolare seguito (anche se – mi segnala Livio Mondini – è stato recentemente usato dai Sigur Ros per un sperimentale live on-line), e anche Gwilym Gold nel suo più recente album è tornato al più consueto vinile + cd + audio track.
Detto questo, a parere dello scrivente, Tender Metal è uno dei più interessanti esperimenti di generative music in ambito pop, e merita di essere scaricato.
E parlando di barriere che cadono, come definire Polyfauna? Un video anomalo dei Radiohead? Un videogioco in cui non si vince nulla? App di interazione con elementi grafici e sonori, ricorda per alcuni aspetti una App similare di Bjork, presenta landscape interattive che cambiano nel tempo con pattern di musica elettronica di mr. Radiohead, per Android e iOS. L’ho provato per un po’ e l’ho fatto provare anche a terzogenita, che ha gradito anche se non ha capito come passare di livello [thanks to Livio anche per questa segnalazione].
La vita in famiglia è bellissima (da prenderne nota)
Oggi lancio due link, uno di tipografia digitale e uno invece più personale, ma che potrebbe comunque interessare chi si occupi di letteratura e impaginazione digitale.
Il primo parla delle note a piè di pagina. Cosa sono le note in digitale? Sono davvero diverse da quelle analogiche? Iniziamo a parlarne in questo articolo sul blog di ePubEditor, vedendo anche come vengano gestite dal tool di editing di contenuti digitali per eccellenza.
Il secondo, dicevo è più personale: è uscito un mio nuovo ebook per Quintadicopertina, La vita in famiglia è bellissima. La particolarità digitale in questo caso non è tanto nel contenuto, ma nel processo di scrittura e di condivisione del testo. Questo ebook infatti raccoglie una serie di brevi dialoghi e racconti scritti dal sottoscritto su facebook. Non pubblicati su facebook, scritti direttamente su facebook. Per due anni circa ho usato facebook come quaderno di appunti per raccontare episodi di vita familiare, utilizzando i like e i commenti ricevuti come termometro della qualità dei pezzi stessi. Alla fine (se di fine si può parlare, visto che il processo continua ancora) ho raggruppato tutti i pezzi che avevano funzionato meglio sul social network organizzandoli all’interno di un ebook.
Il risultato è un testo omogeneo per temi, che si rivolge ad un pubblico di lettori che non è estraneo ai contenuti del testo, perché in parte ha collaborato alla selezione dei testi stessi.
Il processo ritorna poi su facebook: ogni racconto ha un pulsante che permette di condividere su facebook quello che si sta leggendo nell’ebook. Tutto nasce e tutto torna a Facebook, un po’ come l’apeiron.
Una nota per i tipografi digitali che abbiano voglia di spulciare nel codice: in teoria questa cosa, condividere un racconto su facebook, non si potrebbe fare in ePub o Kindle, in genere ci si basa su soluzioni javascript based. Ma dopo qualche ora di lavoro ho trovato un modo per poterlo fare anche con il buon vecchio xml.
Buona lettura
ebook game & interactive fiction: qualcosa sta cambiando?
Quando nel 2010 con Quintadicopertina abbiamo iniziato l’avventura della collana di Polistorie, siamo stati visti come dei marziani. Fare interactive fiction, in Italia e in ebook era un po’ troppo avanti con i tempi.
Siamo stati testardi e in questi sei anni abbiamo proseguito con altri ebook: hypertext fiction, ebook game… anche racconti per l’infanzia a bivi.
Ultimamente ci sentiamo meno soli in questa impresa, anzi, sembra che anno dopo anno l’interesse per le narrazioni a bivi, interattive e giocabili stia crescendo. Non solo con le App internazionali come Lifeline (leggi qui l’intervista agli autori), ma anche in Italia con testi ed esperimenti sempre più interessanti.
In questi giorni stiamo leggendo Infetto edito da Catnip Edizioni, un ebook che rientra pienamente nel canone delle Polistorie, con una ambientazione da apocalisse Zombi molto contemporanea (seguirà recensione). Ma è da tener d’occhio anche il sito E-paper Adventures che prova a bypassare i limiti dei diversi formati ebook proponendo la lettura e-ink on line, o attraverso una normale pagina HTML5 scaricata sul proprio ebook reader.
Il desiderio di provare a fare cose al di là di EPUB3 è anche nel disegno di Il Segreto di Castel Lupo, molto vicino allo spirito delle avventure testuali. Ludovica Brunamonti ha avuto l’opportunità di intervistare i realizzatori al Salone del Libro di Torino. In questo caso la scelta è quella della App.
Nuovi modi di raccontare, che richiedono una interazione viva con il lettore e che – speriamo – possano trovare nei prossimi formati ebook, un ambiente di sviluppo più omogeneo e coerente.
L’ “inventore di internet” vede il futuro dell’ebook
Cosa ne pensa l’inventore di internet degli ebook? Potete scoprirlo su bookbusinessmag, in un post che riassume l’intervento di Tim Berners-Lee al recente convegno dell’IDPF. Il sunto è che il futuro dell’ebook è HTML5.
Perché HTML5? Perché è uno standard aperto e attivo e funzionante su quello che attualmente è de facto uno dei più grossi ambienti di lettura: internet.
È innegabile che una sostanziosa percentuale di attenzione alla lettura sia infatti stata assorbita da quella che è oggi la lettura digitale, che sfugge di norma ai diversi sondaggi sui lettori forti o deboli. Basti pensare a quanta della lettura di periodica, ad esempio, sia migrata su internet.
La ventilata ipotesi di una fusione tra IDPF e W3C è indicatore di questo interesse comune: fare diventare il libro digitale, più digitale. Non si tratta soltanto di stabilire quale codice utilizzare, ma anche di cosa fare con il testo creato nativamente in digitale. Tim Berners-Lee parla infatti di ebook connessi alla rete, capaci di interagire con contenuti on-line o di condividere i propri con altri ebook.
Una visione affascinante (e che condivido pienamente: qualcuno ricorderà la versione Wired di Deep Web di Carola Frediani, che si aggiornava nel corso dei mesi connettendosi al server di Quintadicopertina), ma non priva di numerosi caveat che solo il tempo potrà risolvere.
Ne voglio ricordare solo tre, abbastanza significativi:
- HTML5 significa oggi EPUB3. E il supporto di questo formato è stato molto tiepido, soprattutto da parte delle device a inchiostro elettronico. Da una parte gli editori sono restii a investire in un formato che – se veramente digitale – difficilmente può essere reinvestito nel tradizionale mercato cartaceo, dall’altro EPUB3 si è gonfiato di alcune caratteristiche tablet only (la multimedialità, perlomeno quella video), a scapito di altre che potrebbero già oggi convivere con le device per la lettura (l’interattività, le variabili, il suono);
- HTML5 nasce per fare pagine web e un contenuto letterario, specie se di una certa consistenza, è decisamente più complesso da organizzare, quando si vogliano preservare le informazioni che lo compongono. Ad HTML5 manca insomma una semantica che tenga conto, senza perderla, della tradizione libraria declinata al digitale;
- il più grosso player del mercato ebook, Amazon, utilizza – è vero – HTML5, ma in una veste talmente dimessa e castrata (aka: un subset) da dimostrare già oggi che il formato da solo non basta. Basta spegnere qualche specifica per rendere l’interoperabilità sognata da Tim Berners-Lee una chimera.
Un progetto irrealizzabile? No, ma sicuramente impegnativo. Si dovrà superare uno scalino tecnologico (come da tempo ricorda anche Gino Roncaglia) e favorire la crescita di un ambiente di lettura sganciato dall’oggetto libro, che traduca internet e le sue modalità di interazione anche all’interno di letture approfondite e omogenee, ma nello stesso tempo conservi quello che nel libro ancora funziona benissimo (una per tutte: l’immediatezza delle annotazioni non formalizzate).
Laboratorio sulla scrittura in digitale
Il 28 maggio a Genova terrò un laboratorio sul digitale un po’ particolare: FREE YOURSELF – OLTRE LA PUBBLICAZIONE si rivolge infatti agli scrittori per vedere con loro cosa cambia per chi scrive testi compiuti ed omogenei che non sono più libro tradizionale, ma elettronico.
Che siano romanzi, poesie, saggistica o altro, il libro elettronico sposta i paletti a cui si era abituati: è possibile fare cose diverse da prima sia con la propria scrittura, sia con il lavoro finito, sia con i lettori.
Una giornata intera per vedere e capire i formati elettronici, le piattaforme di distribuzione digitale, le possibilità del codice, del suono, delle animazioni.
Solo il 28 maggio, solo a Genova, solo otto posti disponibili. Iscrizione 80 € più iva.
Sul sito di ebookdesignschool maggiori informazioni.
Cosa sono le tastiere per computer?
Un po’ di anni fa, nel 2007, mi ero trovato con una tastiera Apple con cui scrivevo male e non capivo perché. Così l’ho smontata e ho cercato in rete informazioni su come sono fatte le tastiere e quali sono le tecnologie migliori per scrivere. Questo ha poco a che vedere con la tipografia digitale, non fosse che il tipografo digitale deve scrivere tanto e con precisione. È bene quindi conoscere gli strumenti con cui è possibile scrivere, editare, programmare. Ne scrissi un post per TEVAC che sembra sparito nel nulla. Lo ripropongo qua con alcuni aggiornamenti.
I tipi di tastiera
In natura esistono diversi tipi di tastiera e sono quasi tutti sbagliati. Wikipedia americana distingue circa undici tipi di tastiera, ma per semplificare tra di noi possiamo dire che esistono quattro tipi di tastiera, da cui poi derivano quasi tutti gli altri. Le tastiere cosiddette a membrana, la scissor-key, le tastiere con meccanismo a farfalla e le tastiere a switch meccanico.
Le tastiere a membrana
Se entrate in un qualunque negozio per computer e comprate una tastiera, avrete quasi sicuramente comprato una tastiera a membrana. Chi vende tastiere a membrana dice che i vantaggi delle tastiere a membrana sono che sono morbide e silenziose. Ora, la verità è che il vantaggio delle tastiere a membrana è che costa pochissimo produrle, mentre ‘morbidezza’ e ‘silenziosità’ per una tastiera non sono un vantaggio, sono un problema. La tastiera a membrana (più precisamente una tastiera dome-switch) è formata da due circuiti sovrapposti sui quali è posata una specie di tappetino di gomma. Su questo tappetino -in corrispondenza di ogni tasto- c’è una piccola bolla: premendo il tasto, viene premuta la bolla che va a toccare i due circuiti. La grafite che c’è alla sommità interna della bolla, attiva il circuito e il carattere appare sullo schermo. L’elasticità del tasto e della sua risposta è data quindi dalla bolla di gomma. Costruire queste tastiere è evidentemente molto economico.
Scriverci però può essere poco piacevole.
Quando si scrive su una tastiera è importante avere un feedback di quello che si sta facendo: questo feedback in parte è dato dal carattere che appare sullo schermo, ma in parte è dato dalla sensazione di percorso fornito dalle dita sulla tastiera: a meno che non si sia ottimi dattilografi è facile che lo sguardo non sia fisso al video ma che corra dal video alla tastiera per controllare quello che si sta scrivendo. Anche in questo caso il nostro cervello non dà comandi singoli di movimento delle dita, ma gestisce una serie di automatismi che si sono creati nell’utilizzo della tastiera stessa. Quando scrivo, il mio cervello non cerca con gli occhi la ‘t’ e per poi muovere le dita sulla ‘t’, ma gestisce il fatto che le mie dita stiano andando nel posto giusto, perché dentro di me io so dove è la ‘t’. Per rendersene conto provare a scrivere alla cieca su un tavolo, senza nessuna tastiera: le vostre dita andranno ‘automaticamente’ a ricostruire il layout della tastiera che utilizzate.
Ora, in questo processo, che è rapido e in parte inconscio, il feedback che viene dalle dita è molto importante. Quando premo un tasto io devo sentire un arrivo e un ritorno meccanico, perché altrimenti il mio dito affonda nel tasto più a lungo di quanto sia necessario, impastandosi senza riuscire a capire se e quando il carattere è già arrivato a video. Non è un caso che in molte tastiere a membrana alcuni tasti chiave come lo spazio, il return, il delete, lo shift, utilizzino un meccanismo differente, sia per far vivere di più questi tasti che sono più utilizzati di altri (specie la barra spaziatrice) sia per dare un feedback tattile e sonoro più consistente. Scrivere a lungo con una tastiera a membrana è un esercizio più faticoso e foriero di errori rispetto a farlo con una vecchia tastiera meccanica.
Le tastiere a switch meccanico
Se entrate in un negozio di computer e chiedete una tastiera a switch meccanico, due cose possono accadere: ma nessuna delle due è piacevole, quindi non ne parlerò. Le tastiere a switch meccanico hanno -per ogni singolo tasto- un meccanismo che si attiva quando il tasto stesso viene premuto. Questo rende le tastiere a switch meccanico più costose, più durature nel tempo e più resistenti. Il fatto di avere un componente meccanico per ogni tasto, rende l’utilizzo delle tastiere meccaniche più soddisfacente anche per chi scrive: generalmente la forza che viene utilizzata per scrivere con una tastiera a membrana è maggiore di quella che realmente sarebbe necessaria, proprio perché la mancanza di feedback tattile obbliga a premere il tasto quasi sempre fino a fine corsa. Le tastiere a switch meccanico producono il carattere già a metà corsa, dando un feedback più dinamico e permettendo una digitazione più rapida e meno faticosa. Non tutte le tastiere meccaniche sono uguali, lo switch meccanico determina anche il tipo di feedback che l’utente riceve: si passa dal linear action, in cui la resistenza del tasto è costante durante tutta la la sua corsa e non ci sono forti feedback acustici, fino al tactile switch che dà invece una sensazione di fine pressione e un click di fine corsa. I tactile possono poi essere soft (o light) se il feedback è di scarso rilievo, high se più sostenuto. È difficile avere una tastiera meccanica. Non le troverete nei negozi di informatica sotto casa, mentre sarà possibile trovarle in reseller specializzati in america: in questo caso dovrete poi aggiustare il layout da americano a italiano, usando degli adesivi e dovrete accontentarvi di un acquisto ‘alla cieca’ senza poter provare prima il feedback dei tasti, basandovi sulle (di norma scarne) recensioni e schede tecniche. Spesso queste citano il meccanismo usato per i tasti, dalle Cherry alle Alps.
Update 2017: negli ultimi tempi le tastiere meccaniche, uscite dalla finestra del computing d’ufficio, sono rientrate da quella del computer gaming. È possibile trovarne nei negozi anche mainstream, non nel settore tastiere, ma nella zona destinata gli accessori per videogiochi. Grazie alla loro precisione, alla maggiore durata e resistenza sono utilizzate – paradossalmente – per i videogiochi, non senza un ampio bagaglio di lucine LED RGB, a colorarne il fondo per le battaglie ludiche notturne.
Scissor keys
Tra le tastiere a membrana e quelle meccaniche si collocano le cosiddette tastiere scissor-keys. La maggior parte dei portatili usa questa metodologia, così come molte tastiere compatte per desktop. Si tratta di una tecnologia abbastanza recente ed è basata sempre sul metodo già visto delle tastiere a membrana, con l’aggiunta di un meccanismo a forbice che rende più reattivo il rilascio del tasto, dando un feedback più consistente con una corsa del tasto molto più breve (circa due millimetri contro i quattro di una normale tastiera a membrana). Per capire bene come è composta una tastiera scissor-keys è sufficiente lasciare un bambino di circa due anni vicino a una di esse e uscire dalla stanza. Rientrando dopo qualche minuto troverete i coperchietti del tasto estrapolati dalla tastiera e una serie di piccole U di plastica sparse a terra. Riconnetterle alla tastiera, ricomponendo l’intreccio a forbice, sarà un simpatico esercizio serale per tutti i membri adulti della famiglia. Si tratta di tastiere più costose di quelle a membrana, di durata molto maggiore (grazie all’utilizzo di tre circuiterie sovrapposte -mi dicono- e al componente elettrico dello switch), ma molto più facili da trovare rispetto a quelle meccaniche (tutte le Apple esterne ad esempio usano oggi questa tecnologia). Anche in questo caso la tecnologia non è di per sé portatrice di assoluto valore e la cosa migliore è provare la tastiera per vedere se ci si trova bene.
Il meccanismo a farfalla
È quello – molto recente – introdotto nel Macbook 12” di Apple. Ha una corsa ancora più rapida delle scissor keys: appena si preme il tasto si avverte subito un piccolo scatto che dovrebbe aiutarci a percepire il feedback della scrittura. Non ho un Macbook 12”, ma le prove che ho fatto quando ne ho avuto uno sottomano mi hanno dato impressione positiva. Temo che però segua la vecchia regola delle caramelle all’anice: o ti piacciono o non ti piacciono. Non ci sono mezze misure.
Ci sarebbero poi da dire alcune cose sul layout, ma qui mi fermo.
Il layout
Apple fino a qualche tempo fa adottava il layout qzerty, odiato dai programmatori e detestato da chi si avvicinava al mondo macintosh provenendo da windows. In pratica la z era al posto della w (e viceversa), la m era a fianco della l, e i tasti da uno a dieci erano utilizzati per segni grafici (le parentesi, le vigolette, gli apostrofi) e per parte delle accentate. Da un decennio anche Apple ha sposato invece il qwerty italiano, quello utilizzato da anni sulle macchine windows. Felici i programmatori, meno felici alcuni scrittori, visto che il layout qzerty era notevolmente più comodo per scrivere in prosa rispetto a quello qwerty (reo, tra le altre cose, di aver messo nello stesso tasto la è e la é). Chi volesse fare scelte più radicali può provare anche il controverso Dvorak, che garantisce movimenti più rapidi tra i tasti, utilizzando un layout ripensato da zero.
Il peccato originale e la lettura del futuro
Nel momento in cui ci mettiamo a voler (o dover) costruire un ebook, la prima domanda che ci possiamo porre è cosa sia un ebook. ebook sta per electronic book, ovvero libro elettronico, ma questa definizione ci richiede da subito una riflessione sulla natura stessa del media, ovvero sulla sua natura di contenuto o di contenitore.
Il confronto con altri media ci può essere di aiuto. Oggi, parlando di musica o di film trasposti in digitale, nessuno parla di vinile digitale
o di pellicola digitale
, ma si parla di musica digitale e di video digitali. Nel momento in cui avviene una conversione da un media tradizionale ad un altro digitale, l’aspetto che si mantiene e che viene riconosciuto come natura del media stesso, è quello del contenuto al di là della sua possibile concretizzazione in un oggetto come una pellicola, un cd, una cassetta, un vhs o un betamax. Il contenuto è quello che passa da un media ad un altro, disinteressandosi del contenitore posseduto di volta in volta.
Con queste premesse lo stesso termine coniato per definire un contenuto digitale testuale paga una sorta di peccato originale: libro elettronico è infatti una definizione che si concentra sul contenitore e non sul contenuto. Il libro è un oggetto che ha una forma, occupa uno spazio, è costituito da pagine sequenziali, ha una rilegatura, si apre e si chiude mostrando una coppia di pagine, ha un peso e tutta una serie di caratteristiche fisiche che condizionano l’esperienza di lettura. Mentre si parla comunemente di musica digitale, non si parla invece di narrativa o saggistica digitale per definire un contenuto digitale, nativo o meno che sia.
Questa definizione che lega il libro digitale al suo corrispettivo cartaceo contiene al suo interno un piccolo paradosso, proprio perché l’ebook ha caratteristiche tali da svincolarsi in maniera più netta dal suo antenato, molto più di quanto abbiano fatto musica e filmati.
Oggi si ascolta la musica digitale nella stessa maniera in cui la si ascoltava in analogico: che si ascoltino i Pink Floyd allo stereo, o camminando con una cassetta ed un walkman o in altre soluzioni di mobilità con un mp3 player, la modalità di ascolto non è variata. Il digitale ha portato una rivoluzione nella distribuzione e nella trasmissione della musica, ma l’ascolto rimane passivo, progressivo e sequenziale [tranne rare eccezioni]. Lo stesso vale sostanzialmente anche per il passaggio da pellicola/dvd/mp4: per guardare un video ci si siede e si guarda quello che succede sullo schermo, piccolo o grande che sia.
Il paradosso di cui parlavo è questo: la parola digitale non si legge oggi come le si leggeva in analogico. Parallelamente all’editoria e alla letteratura tradizionale, si è sviluppato negli ultimi cinquant’anni un utilizzo della parola nativo digitale che ha preso forme e ambiti del tutto indipendenti da quello della forma libro e da quelli della letteratura vera e propria.
L’ambito di questo sviluppo è stato quello informatico.
L’informatica si è appropriata della parola per la sua economicità e per la sua versatilità. Se un’immagine vale più di mille parole, con mille parole ci si possono fare un sacco di cose. La parola è diventata innanzitutto una lingua di comunicazione con il computer. Nel momento in cui si è dovuta gestire la relazione tra uomo e computer, la parola si è offerta come metodo economico di gestione di questo rapporto. I linguaggi di programmazione e il parser attraverso cui comunicare con il sistema operativo si sono basati (e si basano ancora oggi) sulla parola scritta.
Questa parola scritta assumeva una serie di caratteristiche che la distinguevano da quella letteraria: era una parola verbo, aveva una propria sintassi logico-matematica, era una parola manipolabile, era raggruppabile a seconda dell’uso e poteva ampliare il proprio vocabolario a seconda delle esigenze del lettore che – questo è un passaggio importante – era contemporamente uno scrittore. La parola digitale è una parola d’uso, e come tale viene letta e continuamente creata e editata nel processo di interazione con il computer.
Molte di queste caratteristiche informatiche si sono mantenute nello sviluppo successivo della parola digitale, quando gli stessi meccanismi di gestione della parola sono stati applicati alla comunicazione, al gioco e alla letteratura.
Dai primi messaggi e-mail, ai gruppi fidonet e usenet, dalle bbs a videotel, ai mud, alla interactive ficion, fino ai più recenti blog, twitter, facebook e friendfeed, la parola digitale è stata prima di tutto una parola manipolabile in cui il lettore non è soltanto un lettore passivo, ma ha la possibilità di agire sul testo che sta leggendo: navigando con ipertesti, commentando, rispondendo, taggando.
Oggi – quindi – nel momento in cui si parla di ebook come forma di letteratura digitale di massa, ci si trova di fronte ad una materia più complessa di un semplice libro di carta scannerizzato per una device mobile, perché esiste già un sofisticato vocabolario di utilizzo per quello che riguarda una parola scritta in digitale. Basti pensare che già oggi un ebook di un qualunque testo tradizionale nato per la carta, è in realtà un sito web.
Questa confusione sulle caratteristiche del prodotto editoriale digitale, fa sì che lo sviluppo del prodotto ebook sia ancorato alla forma libro molto più di quanto dovrebbe essere. Pur lavorando con strumenti interamente digitali, si lavora a libri digitalizzati e non a contenuti digitali. Mentre gli studenti e i professionisti aumentano la loro conoscenza con un quotidiano lavoro di aggregazione di materiali atomici che trovano in rete, l’ebook si muove ancora in un flusso lineare che scimmiotta la carta, con tanto di animazioni del giro pagina.
È una confusione che ha un beneficio: ammorbidisce la rivoluzione in atto e dà respiro agli editori (e ai lettori) di comprendere e di entrare in confidenza con qualcosa che racconta storie, informa, e non è un libro e magari non usa nemmeno le parole: però è una cosa omogenea, letteraria ed editoriale.
{remix e update di un post di appunti del 2011}Installiamo il basic nel nostro ebook reader
Due giorni fa ho installato sul mio ebook reader, l’Onyx M96, un piccolo basic chiamato X11 Basic. Il basic è un linguaggio di programmazione che ogni buon programmatore aborrisce. C’è chi molto tempo fa aveva detto qualcosa del tipo, se un mio studente impara a programmare in basic è perso: non potrà mai essere un programmatore
. Il basic è il linguaggio di cose della forza oscura come il GOTO
.
Io ho iniziato i rudimenti della programmazione in basic, in Applesoft basic per la precisione, e anche dopo il passaggio a una macchina improgrammabile come il Macintosh LC, ho sempre tenuto sotto mano un qualche piccolo tool per la programmazione, come Chipmunk basic o – più recentemente – come lo StarOffice basic. Per studio e divertimento ho provato ad avvicinarmi ad altri linguaggi, come il C e il Prolog, e negli ultimi anni mi sono addentrato in XQuery, Python e Javascript.
Non sono forse un programmatore, ma mi piace scrivere eseguibile. Perché mi serve, molto, per far fare cose al mio computer invece che farle io. Perché la programmazioneè un gesto che aiuta ad avere idee, a provarle, a prototipare azioni di poetica o di scrittura. È un modo, forse il primo e più immediato, per fare cose con le parole che non siano un libro.
Nella mia testa un ebook reader compiuto è un oggetto che permette di leggere, scrivere e programmare.
X11 Basic per Android, da questo punto di vista, mi ha riportato negli anni ottanta. Senza il senso di responsabilità di programmare bene, con un manuale in pdf scaricato direttamente nell’ebook reader, con un buon text editor per scrivere il codice (Quoda), mi sono ritrovato a scrivere funzioni, a far parlare l’ebook reader, a fare cicli disegnando figure geometriche nello schermo, a provare a muovermi per le cartelle dell’Onyx creando file e scrivendoci dentro del testo già marcato in xml. In una parola: a giocare con uno strumento che però, basta girare la curva, può fare subito cose abbastanza serie. Che è stato poi il paradigma vincente del Basic negli anni ottanta.
Ai programmatori veri questo non piace. Non piace l’idea che si pensi che programmare sia facile e divertente. Dà fastidio che si pensi che programmare significhi mettersi davanti al computer e scrivere codice, mentre bisognerebbe prima imparare come funzionano le cose, come si può formalizzare quello che abbiamo attorno in operazioni logiche. Non piace l’idea di usare un tool che ti dà tutto subito, perché è una luce negli occhi che può crearti difficoltà in seguito quando, con progetti più grossi, non potrai usare quel tutto e subito che rapidamente troverai essere una zavorra.
Hanno ragione, programmare non è facile e non è affatto detto che sia divertente. E non è detto che avere tutto e subito sia una buona idea, nella media e lunga distanza.
Quello che trascurano è che programmare è inesorabile, come scrivere versi o pensare storie. Che esiste un playground (in alcuni tool addirittura formalizzato) che è necessario per fare lo step successivo. Un humus sporco in cui crescono piante che – certo – in parte andranno estirpate nel corso degli anni, ma che sono quelle che danno clima alla foresta che inizia a crescerti dentro, a farti venire curiosità di fare le cose, che ti dà lo scarico secco dell’adrenalina quando crei il tuo primo automa che inizia a fare cose al posto tuo come tu non potresti mai.
Questo giardino di strane piante colorate e deformi è un primo scalino che rischia, per snobberia e buonsenso mal riposto, di essere perso. Iniziamo quindi a fare cose sbagliate, installando un Basic residente nel nostro ebook reader.
Lifeline: un’intervista
di Fabrizio Venerandi
Qualche settimana fa alcuni amici mi hanno dato un link a un’applicazione mobile chiamata Lifeline. “Venerandi – hanno detto – somiglia alle cose che fai con Quintadicopertina, sembra una fiction interattiva”. Quindi ho scaricato Lifeline e ho iniziato ad usarla con il mio smartphone.
È un gioco? Sì, potrebbe essere. È un romanzo? Sì, anche.
Lifeline è un romanzo interattivo.
Ha un sacco di cose interessanti: ci sono suoni, c’è parser binario, c’è il concetto di tempo nelle attività del personaggio, usa le notifiche di smartphone e tablet, c’è un buon design e – wow! – non ci sono effetti multimediali/wunderkammer. Testo vince.
E sì, è anche ben scritto
Abbastanza cose interessanti da spingermi a intervistare Dave Justus, l’autore della storia e Mars Jokela di Three Minute Games, il game designer di Lifeline.
Enjoy.
Q: Spesso quando qualcuno cita Lifeline parla del “ritorno dell’interactive fiction”. Ma se ne era davvero andata via?
Dave: In primo luogo, penso che sia estremamente lusinghiero che Lifeline sia considerato parte dell’avanguardia di questo presunto “ritorno”. Non so se la fiction interattiva sia mai davvero andata via, ma forse per un periodo di tempo si sono smorzati i riflettori. È bello che avventure testuali come la nostra possano far parte di un processo che riporta alla ribalta quel senso di coinvolgimento del lettore/giocatore tipico delle IF.
Quello che ci sforziamo di fare, con tutti i giochi di Lifeline, è quello di rendere il giocatore complice nel raccontare la storia. Ci sono, naturalmente, solo un numero limitato di scelte che si possono fare, ma il nostro obiettivo ad ogni turno era far sentire quel numero finito come se fosse il più grande possibile. È difficile competere con veri giochi “open-world” quando tutta la tua storia passa attraverso il testo, ma abbiamo lavorato duramente per fornire il più possibile quel tipo di atmosfera. Queste storie sono interattive tanto quanto il giocatore vuole che lo siano — questa è la sfida per noi come progettisti, e speriamo che questa tensione arrivi nel prodotto finale.
Q: Taylor, durante il gioco, racconta che a volte ha scritto avventure testuali sul computer. Qual è la tua esperienza con le avventure testuali?
Dave: Probabilmente tradirei mia età dicendo che ho passato un sacco di tempo sul mio Apple IIe giocando i giochi di fiction interattiva della Infocom. Più di tutte le altre, ho investito gran parte del tempo nella loro versione della Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams. Ero un grande fan dei romanzi e l’idea di essere una parte di quel mondo — di prendere decisioni che influenzavano i personaggi — era la cosa più eccitante che potevo immaginarmi da ragazzino.
Q: ho giocato a Lifeline… (o dovrei dire, “ho letto Lifeline?”). Sono arrivato a uno dei possibili finali e Taylor è morto. Mi sono sentito come se avessi letto una storia senza un lieto fine. Voglio dire: non mi sono sentito come se avessi perso una partita ad un gioco, ma come se avessi letto una storia triste. Ok: Lifeline è un gioco o un romanzo? O qualcos’altro?
Dave: In termini di conteggio di parole, l’originale di Lifeline e Silent Night sono racconti lunghi. Lifeline 2 è un vero e proprio romanzo, avvicinandosi a 100.000 parole. Ho progettato ogni gioco così come farei con un romanzo — il che vuol dire senza troppe restrizioni, perché mi piace permettermi di essere sorpreso e di non dover resistere quando i personaggi cominciano a interpretare la storia in una direzione diversa rispetto a quello che avevo originariamente immaginato (cosa che Taylor ha fatto un sacco di volte).
Credo che, alla fine, la serie di Lifeline spezzi la barriera tra leggere storie e giocare, in quanto le storie non potevano essere raccontate senza il lettore, e il collegamento e le interazioni del giocatore con i personaggi e le loro scelte è ciò che rende la storia degna di essere raccontata.
Q: Da un punto di vista dello scrittore quali sono le differenze tra scrivere un romanzo lineare o un lavoro interattivo come Lifeline?
Dave: Inizialmente, quando mi sono seduto a scrivere il primo Lifeline, ho pensato che sarebbe stato come scrivere un breve racconto. Non mi ci volle molto per rendermi conto di quanto mi sbagliavo. Era più come scrivere migliaia di racconti estremamente brevi. Ogni due o tre frasi dovevo biforcare e biforcare di nuovo. E ogni volta che iniziavo un nuovo ramo il conteggio delle parole cresceva e cresceva, e il numero di thread di possibili storie di cui dovevo tener conto iniziava a lievitare.
Ho finalmente imparato che avevo bisogno di trovare modi per schematizzare tutti i thread di volta in volta, che è qualcosa che è importante fare anche in un romanzo. La maggior parte della mia scrittura di non-gioco è stata nei fumetti, che utilizza una gestione di scrittura molto diversa — ma ci sono un sacco di nozioni che si applicano a tutte le discipline, come determinare quanto tempo spendere in una scena, la quantità di tempo da inserire tra sequenze d’azione, o come bilanciare con leggerezza l’introspezione.
Q: i programmatori di avventure testuali in Italia (i.c.g.a.t.) hanno spesso discusso del parser di avventure testuali e di come il buon vecchio parser dovrebbe adattarsi ai nuovi dispositivi mobili. Lifeline prende una scelta molto drastica da questo punto di vista, utilizza delle scelte binarie: fai questo o questo. Come questa scelta radicale ha influenzato la narrazione e la sua interattività?
Dave: Le opzioni binarie in generale ci hanno offerto la giusta quantità di struttura, senza lasciare che la storia andasse completamente fuori controllo. Naturalmente ci sono momenti in cui si presentano più opzioni, ma questo tipo di opzioni è frantumato in più scelte binarie. In altre occasioni, entrambe le opzioni convergono invece verso risultati simili. Ma anche se ogni scelta individuale può essere solo “fai questo o quest’altro”, un accumulo di molteplici scelte di questo tipo permette una narrazione estremamente complessa.
Q: Un’altra grande idea in Lifeline è la gestione del tempo. Taylor è una specie di tamagotchi: vive nel suo tempo, ha bisogno noi, ci contatta, dorme, combatte con noi. Taylor ha personalità. Su facebook ho scritto ad un certo punto, “il personaggio della storia che sto leggendo ha litigato con me. E ora sta dormendo”. Com’è nata questa idea?
Mars: Lifeline è stato originariamente progettato per sfruttare le notifiche interattive con lockscreen in iOS 8. Il gioco esiste letteralmente perché il fondatore del nostro studio, Colin Liotta, ha voluto fare un gioco che potrebbe essere giocato esclusivamente tramite le notifiche! Così da quel vincolo iniziale si è sviluppata naturalmente l’idea di una storia choose-your-own-adventure in tempo reale e anche che Taylor avrebbe agito e dormito seguendo il proprio ritmo di vita.
Penso che, da come Dave ha scritto la storia, si percepisca la verisimiglianza di quando Taylor si infastidisce o diventa sprezzante verso il lettore, se lo si forza a fare qualcosa di pericoloso o se lo si muove in avanti e indietro con istruzioni contraddittore. La caratterizzazione fatta da Dave per il personaggio Taylor viene percepita come credibile ed è chiaramente il motivo per cui così tanti giocatori hanno risposto con entusiasmo al gioco.
Q: Lifeline introduce anche il suono. Dopo anni in cui si parla di ebook con audio, Lifeline utilizza il suono in modo molto sobrio, con un segnale acustico di promemoria per ogni notifica di Taylor e un pattern di sfondo musicale. Che studio c’è stato dietro questa scelta?
Mars: Nella costruzione del sound design per Lifeline, volevo evocare nel lettore un po’ il senso di impotenza e terrore che Taylor prova durante questa disavventura. Il sound design è molto austero e freddo, proprio come la luna su cui Taylor è momentanemente bloccato/a.
Colonne sonore di film horror sono progettate per tenere lo spettatore in tensione, quindi ho cercato di sfruttare alcune delle stesse tecniche — come scandendo i momenti più cupi dell’ambientazione con campionamenti di respirazione e variando il numero di ripetizioni, quindi non si è sicuri se ne sta arrivando un altro oppure no. Nel scegliere le musiche e i campionamenti ambientali, sono stato attratto da quelli che – ascoltandoli – mi creavano disagio.
Sono stato anche un fan delle avventure testuali Infocom di cui vedo il collegamento con questo moderne “texting adventure”, così ho scelto il beep per i messaggi che mi ha ricordato il vecchio Intel 286 PC di mio padre. Ho voluto usare toni distinti per nuove linee di messaggio, per l’apparire dei pulsanti di scelta e per la selezione di una risposta. Questo conferisce una cadenza quasi musicale ad ogni passaggio, quando si ricevono diversi messaggi di fila e si invia la risposta a Taylor.
Q: Lifeline è un’applicazione. Perché non un ebook EPUB3?
Dave: Penso che la risposta più semplice è, abbiamo voluto lavorare nel formato aveva più senso per noi e che sarebbe piaciuto al più ampio pubblico possibile. Rilasciare la serie Lifeline come applicazione/gioco ci ha permesso di entrare nel campo dei radar di milioni di giocatori.
Mars: Al fine di sfruttare il gameplay in tempo reale e le notifiche interattive con lockscreen in iOS 8 Lifeline doveva essere costruito come una propria app. Ma davvero, siamo una società di giochi e i giochi sono quello che conosciamo, quindi non credo che abbiamo davvero considerato tutte le altre opzioni possibili. Detto questo, Lifeline è una storia che potrebbe assolutamente essere sperimentata attraverso altre piattaforme diverse.
Q: Cosa ne pensi della scena internazionale di narrativa interattiva, e come Lifeline si inserisce in questa?
Dave: Sono mortificato dicendo che non ho una buona conoscenza della scena internazionale. So che Lifeline ha fan in tutto il mondo ed è stato tradotto in diverse lingue, quindi è chiaro che c’è un pubblico globale per i giochi come questo… che non sorprende, dal momento che la fantasia e la creatività non hanno mai conosciuto confini.
Grazie Dave, grazie Mars.