Apple, nativi digitali e informatica
Il 10 settembre Apple ha annunciato alcuni nuovi prodotti consumer: tablet, smartphone, orologi e tv. Niente computer. La cosa ha annoiato il buon Paolo Attivissimo che ha scritto sul suo blog un articolo molto caustico nei confronti di Apple. Un punto è interessante, sul quale sono in disaccordo con Attivissimo, che quoto:
Guardate i giovani di oggi: sanno usare un iPhone perché l’hanno da sempre. Per loro passare a un iPad è naturale: stesse icone, stessa interfaccia, stessa filosofia. Passare a un PC o a un Mac, per loro che non ne hanno mai usato uno, è uno sforzo di apprendimento massiccio (santo cielo, chi usa iOS non vede neppure il filesystem e trova alieno il concetto di cartella, figuriamoci path e directory, o di salvare i dati): ditemi voi perché dovrebbero farlo, ora che c’è un super-tablet che ha una tastiera e un dispositivo di puntamento di precisione? L’iPad è un complemento al computer; l’iPad Pro è un sostituto. Un Mac o un PC, per chi ha oggi undici o dodici anni e non ha memoria di come fosse il mondo prima degli iCosi, sono inutilmente macchinosi e arcaici come lo è per me una macchina per scrivere.
Ora: chi mi legge da più tempo, anche su TEVAC, sa che in realtà sono in perfetto accordo con Attivissimo su questo rischio di formazione di post-nativi digitali. Questa cosa che ho scritto nel 2010 sembra un’appendice al pezzo di Attivissimo di ieri. Ma il post di Attivissimo contiene – a mio parere – alcuni caveat che vanno sensibilmente ridimensionati e contestualizzati (spoiler: il caveat più importante è il 4)
- La tesi di Attivissimo è che una macchina entry level finto-computer possa dirottare i post-nativi digitali, i ragazzini, verso questo iPaddone con tastiera al posto di un buon sano personal computer. Il problema, per ora, di questa testi è che è irrealistica. Sarebbe un reale pericolo se Apple avesse lanciato il suo iPaddone con tastiera e contestualmente avesse tolto dalla sua linea i notebook entry level. Ma così non è. Chi vuole può continuare a comprare computer Apple e avere un completo potere sulle sue macchine.
- Ma ancora di più: l’iPaddone non è una macchina entry level per ragazzini, anzi, è un pezzo per professionisti. Anche per il prezzo. Ad oggi un iPaddone con tastiera e pennino, nella sua configurazione base, costa oltre 1050$ (oltre i 1250 nella configurazione con un po’ di memoria in più). I due macbook air a 11 e 13 pollici costano, rispettivamente, 899$ e 999$. Avete letto bene: l’iPad pro con tastiera e pennino costa di più di un personal computer Apple. Non mi stupirebbe, anzi, che le vendite dell’iPaddone sostengano in qualche modo anche la linea computer di Apple.
- Apple non è di per sé cattiva, è che la disegnano così. Mi rendo conto nelle discussioni in rete quotidiane che buona parte dell’astio che avvolge la casa di Cupertino nasce e si sviluppa per la deformazione della realtà che il marketing di Apple riesce a creare attorno a sé. L’hype di Apple genera i mostri della ragione. E crea – di ritorno – uno snobismo al contrario dove tutto quello che fa Apple è automaticamente il male. È bene dirlo: molte cose di Apple sono ottime. Molte macchine, confrontate con altri modelli, sono discutibili in questa o quella scelta, ma eccezionali sotto molti aspetti. La solidità e la coerenza del suo sistema operativo è ancora oggi ammirevole.
- Il punto più importante. Le nuove generazioni. Io credo che il rischio paventato da Attivissimo, di ragazzini che usano app, invece che creare app, sia concreto. Ma che sia un rischio che solo in parte dipenda dal walled garden di Apple o Android, quanto da un percorso di conoscenza del mezzo che non può essere lasciato al caso. Nello specifico:
- la vera generazione di nativi digitali è la nostra, parlo di quelli che negli anni ottanta hanno visto arrivare gli home e personal computer nelle loro case e hanno aperto le braccia a quei cosini attaccati al televisore che, una volta accesi, mostravano un READY e un cursore lampeggiante. Questa generazione è stata fortunata. Questa generazione ha la responsabilità di fare in modo che l’informatica non sia una parola relegata al vocabolario dei termini desueti, ma che diventi una prassi educativa per chi inizia oggi a usare un computer, in qualunque forma questo si presenti;
- non siamo soli. Chiunque abbia partecipato a un CoderDojo avrà visto la bellezza di decine e decine di teste di ragazzini, ragazzine, bambini e bambine che codano, scherzano, giocano programmando assieme. Strange but true, programmare è anche un gioco infinitamente più divertente di tanti Angry Bird;
- i walled garden non sono elastici alla creatività. Qualche settimana fa ho installato sul mio Onyx M96 l’intera IDE di Processing, e mi sono trovato a scrivere codice su un ebook reader e installare direttamente sul mio device, App scritte da me con lo stesso device. Molti sono i tool di programmazione che arrivano su tablet e che potrebbero raggiungere persone che – su computer – quei tool non li avrebbero nemmeno guardati. È possibile, voglio dire, che una buona educazione all’informatica possa nascere su strumenti informaticamente deboli come i tablet;
- in molti si sono accorti che la programmazione è divertente ed educativa, tra questi i produttori di videogame: se io giocavo negli anni ottanta a Moon Cresta, oggi vedo i miei figli giocare a Minecraft che – per molti aspetti – (si pensi alle red stone) insegna aspetti di programmazione logica anche sofisticati.
Paolo Attivissimo ha quindi ragione, ma forse si sta urlando da troppo tempo al lupo al lupo
. C’è il rischio che, quando arrivi davvero il lupo nessuno si scomodi più a tenerlo lontano, e che si perdano occasioni di educazione alla programmazione e alla conoscenza informatica. La strada utile da percorrere parte dalle scuole e abbraccia oggetti come Scratch! e la robotica. È interessante vedere come la BBC ha affrontato la questione educazione e informatica: ecco il BBC Micro Bit computer per le scuole inglesi. Back to the basic, boyz!
Ebook rivoluzione & amore
Un nuovo editore/piattaforma investe sulla scrittura non lineare. Si chiama lithomobilus e, da come è stato descritto ieri da Fabio Deotto su Wired, pare che i suoi creatori abbiano ben chiaro che è possibile aumentare i contenuti narrativi, permettere di leggere un romanzo dal punto di vista di uno dei personggi, saltare intere parti e muoversi all’interno di un ambiente narrativo.
Chi segue Quintadicopertina da più tempo non si stupirà del mio interesse: proprio questi concetti di narrativa interattiva sono alla base del mio lavoro per la collana della Polistorie.
Ma il progetto proposto da lithomobilus (a cui dedicherò una recensione più approfondita dopo averlo testato più a lungo) non è isolato: il futuro della lettura è un tema caro a tutti coloro che oggi si rendono conto che stanno cambiando i luoghi e le modalità di accesso alle storie e alle informazioni. Quante volte hai consultato wikipedia negli ultimi sei mesi? Quante volte – nello stesso periodo di tempo – hai aperto un’enciclopedia per cercare informazioni? Potei fare una domanda simile confrontando la ricerca di informazioni in rete su un tema specifico e l’acquisto di una rivista di settore o la consultazione di news on-line con l’acquisto di un quotidiano. Certe abitudini di lettura (e di scrittura) stanno cambiando per chiunque sia connesso al digitale e alla rete.
Questo spiega la nascita di piattaforme come lithomobilus, inbooki, eMooks e molte altre, che lavorano in maniera diversa a costruire narrazioni che con i libri tradizionali non si potrebbero fare: storie non lineari, influenzate dal tempo, dal clima, agganciate a effetti sonori e altro ancora.
È questo il futuro della lettura? Le critiche che ho letto in rete a queste piattaforme/applicazioni sono numerose: non sono veri ebook (si tratta in effetti di applicazioni per tablet), sono distraenti, non aggiungono niente alla lettura, costringono l’autore a salti mortali per mantenere una linea narrativa, fino a critiche più radicali come quella che nega che sia possibile scrivere narrativa granulare piacevole e avvicente per chi legge.
Aggiungo i miei due cent: questo non è il futuro della lettura. Si rilassino tutti. Continueremo a leggere storie lineari e romanzi, non fosse altro perché è molto più economico e semplice scrivere un romanzo tradizionale, come è molto più semplice mettere una foto in un libro rispetto che sincronizzare un grafico interattivo con il testo che si sta leggendo. Nessuno vuole ammazzare il romanzo classico.
Tu quoque?
, potrebbe dire qualcuno. Proprio tu che pubblichi (e scrivi!) narrativa interattiva dici che questo non è il futuro della lettura?
Quello che penso è che – in genere – si considera questo argomento con un errore di prospettiva: si sta guardando al futuro della lettura come se si cercasse di camminare in cima alla famosa scala di Escher. Il futuro della lettura è come quella scala, si sta camminando per arrivare in cima e non si arriverà mai quindi, cambiando prospettiva, siamo già arrivati.
Il futuro della lettura è anche nelle applicazioni che ho citato prima. Avranno o non avranno fortuna, il discorso è che la lettura (tutta la lettura) è affascinante. Lo sapete meglio di me. La lettura è affascinante ma – attenzione – anche la tecnologia lo è. Non solo leggere è bello, ma anche fare, subire, giocare, provare tecnologia. [flashback] Negli anni ottanta io scendevo da casa mia, entravo nel circolo ACLI forte delle mie duecento lire e le infilavo in Moon Cresta. Sparavo ad alieni che volevano invadere la terra con la mia imbarazzante navicella spaziale e con vividi suoni a otto bit. Perché lo facevo? Perché pensavo che Moon Cresta fosse il futuro del divertimento? No, lo facevo perché era qualcosa di nuovo e mai visto prima che cambiava la mia estetica e il mio gusto, ne amplificava la portata. Lo facevo perché era la goffa avanguardia di una tecnologia che, presa nel suo insieme, oggi – a trent’anni di distanza – ha creato le fondamenta di una nuova arte espressiva.
Quello che vediamo oggi proporre come futuro della lettura è qualcosa che parte da lontano: in un certo senso anche da Moon Cresta, ma più naturalmente dall’inglish di The Hobbit, da Zork, dalle interactive fiction puzzle-less degli anni novanta, dai MUD, MUSH e MOO (tra cui gli italianissimi The Gate e Little Italy), dall’hypertext fiction di The Unknown; ma anche dai videogiochi, dal senso di movimento e di libertà all’interno di ambienti, alla posibilità di rivedere e tornare in posti che si è già visti (e già letti quindi).
La tecnologia cambia il nostro rapporto con gli oggetti e la progettazione dei contenuti che con questa tecnologia avranno a che fare. Pac Man ci ha cambiato, Visicalc ci ha cambiato. Facebook ci ha cambiato. Quello che un tempo era l’atto di scrivere una lettera a un amico che viveva in un altra città, si è frantumato oggi in una serie di comunicazioni istantanee, chat, video, push, tag. Perché lo ha fatto? Perché è bello, è affascinante farlo, perché è diverso da quello che facevamo prima e ci appaga. La tecnologia ha ucciso la tradizione? No: anche scrivere una lettera è una tecnologia. Abbiamo solo cambiato strumenti.
Per questo dico che il futuro della lettura non sono le applicazioni citate prima, perché quelle sono petali di una ghirlanda digitale che abbiamo una voglia terribile di metterci in testa. E quando dico “abbiamo”, intendo quelli che alzano il piedino quando vengono baciati. La lettura del futuro, il futuro del libro non sarà una qualche imposizione che cadrà dall’alto, o l’affermazione di uno standard di mercato, ma lo sviluppo di un processo di fascinazione, corteggiamento e innamoramento tra noi e la parola tecnologica. Non ce ne renderemo nemmeno conto finché non sentiremo le farfalle nello stomaco divorarci l’anima.
Le ragazzine stanno perdendo il controllo. La società le teme. La fine è azzurra
Oggi un post-regalo, non mio quanto di Ratigher, autore di fumetti facente parte degli ex Super Amici oggi Fratelli del cielo. Il fumetto di Ratigher si intitola Le ragazzine stanno perdendo il controllo. La società le teme. La fine è azzurra ed è molto bello, se vi piace quel genere di cose. Se non vi piace, dovrebbe.
Ci sono tre cose interessanti in questo fumetto per noi amanti di editoria/tipografia digitale:
- il fumetto è un cbz gratuito (ma anche pdf). Potete collegarvi a Retina e scaricarlo gratuitamente per leggerlo con il vostro computer di fiducia. Il formato cbz altro non è che un zip che contiene tutte le tavole del fumetto, il che permette anche di accedere direttamente ai file delle tavole, per studio o per eventuali modifiche. Il formato cbz è uno dei più utilizzati tra gli appassionati di fumetti digitali (noi lo abbiamo usato per il nostro Nicola) ma difficilmente troverete fumetti in commercio in questo formato, forse perché considerato troppo libero e poco semantico;
- Le ragazzine stanno perdendo il controllo. La società le teme. La fine è azzurra non è nato per essere letto in digitale. Sicuramente non in e-ink per l’uso del colore tutto meno che naturalistico, ma anche per il formato fisico delle tavole che ridimensionate in schermi tablet/smartphone costringono il dettaglio e mortificano il lettering. Non mancano anche qua alcuni residui cartacei che evidentemente sono duri da rimuovere (il maledetto bordo bianco che su schermo non ha senso e penalizza il lettering);
- la storia della vendita cartacea di questo fumetto è molto interessante. Le ragazzine stanno perdendo il controllo. La società le teme. La fine è azzurra non nasce per essere letto in digitale, ma finalizzato a una stampa su carta promossa/sovvenzionata dalla vendita sul sito www.primaomai.com: in pratica Ratigher ha messo in vendita il fumetto per un arco limitato di tempo, oltre il quale il fumetto non sarebbe più stato acquistabile. Non si tratta per l’autore di una mossa contro-commerciale, anzi, quoto
mi sono reso conto che l’impegno nell’ideazione dei fumetti deve andare di pari passo con la ricerca di guadagno soddisfacente, e se non trovi soluzioni disponibili devi inventarle
. La politica ha dato buoni frutti se il testo – del quale Ratigher stimava una vendita dalla 100 alle 500 copie – ha in realtà superato il migliaio (anche grazie all’acquisto del testo da parte di editori come GRRRZ e saldaPress).
Leggiamo quindi Le ragazzine stanno perdendo il controllo. La società le teme. La fine è azzurra, magari con uno schermo grosso e scrollando all’interno della tavola, ma ricordiamo che il digitale è comunque visto dagli autori come un prodotto derivato da quello stampato su carta. Lo stesso fatto che questo fumetto sia dato in rete gratuitamente, in un formato chiaramente non adatto e non pensato per una lettura diretta in digitale, è sintomatico di una zona grigia del fumetto in cui si rincorrono innovazioni non sempre ben calibrate (o che non interessano i lettori) accanto a trasposizioni meccaniche di prodotto culturali progettati per l’uscita in tipografia.
Lo step successivo, la creazione di fumetti nativamente digitali che escano dalla sperimentazione fine a se stessa per diventare prodotti commerciali autonomi e convincenti, è ancora tutto da progettare.
Adobe Digital Edition adds support for non-linear reading in EPUB3
I don’t know if someone talked about this before, but I discovered that Adobe Digital Edition 4 adds support for linear="no"
attribute for EPUB3 ebooks. This means that you can create non-linear islands inside EPUB3. The user will not read those islands until a hypertext will allow him to access the hidden text. Unfortunately the island has not a cul de sac at the end of the file: if you read all the content of a hidden chapter and – after – you turn the page, you’ll exit the island and fall back in linear reading. It is a good news anyway. The next move is now in the hands of Apple: Ibooks has got a awful support of linear="no"
: the hidden chapter become a web page (?) with (bugged) scrolling. No way to change font size and no way to save the state of reading.
So, come on, we need more and more tools for build non-linear ebooks.
Adobe Digital Edition aggiunge supporto per lettura non lineare in EPUB3
Non so se qualcuno ne ha parlato prima, ma ho notato che Adobe Digital Edition 4 aggiunge il supporto per l’attributo linear="no"
per EPUB3. Ciò significa che è possibile creare isole non lineari all’interno di EPUB3. L’utente non leggerà quelle isole fino a quando un ipertesto gli permetterà di accedere al testo nascosto. Purtroppo l’isola non ha un cul de sac alla fine del file: se si legge tutto il contenuto di un capitolo nascosto e si gira ancora pagina, si uscirà dall’isola e si finirà nel flusso principale della lettura lineare. Comunque è una buona notizia. La prossima mossa è ora nelle mani di Apple: Ibooks ha un supporto terribile del linear="no"
: il capitolo nascosto diventa una pagina web (?) con scrolling (buggato). Nessun modo per modificare la dimensione del carattere e nessun modo per salvare lo stato di lettura.
Quindi, suvvia, abbiamo bisogno di più (e più) strumenti per costruire ebook non lineari.
Fare EPUB3 con Ibooks Author
Come segnalato ieri da The digital reader, la nuova versione di Ibooks Author aumenta le proprie capacità di authoring aggiungendo il supporto ad EPUB3. Ebbene sì, da oggi è possibile usare Ibooks Author per fare EPUB3. Però non è detto che sia una buona idea.
Prima di entrare nello specifico, due parole su questa azione di Apple. Da un lato è un’ottima notizia: Apple esce dal giardino cintato del proprio formato proprietario .ibooks e permette la creazione di testi in quello aperto di EPUB3. Dall’altro testimonia anche la difficoltà di Apple con il formato .ibooks che non ha avuto la fortuna che forse Apple sperava, anche nel mercato scolastico. Non solo per motivi commerciali, ma anche tecnici: Apple aveva puntato tutto su un formato fortemente fixed, costruito attorno ai suoi iPad, con il paradosso che gli ebook creati su macchine Apple non potevano essere letti da uno dei prodotti più forti della casa di Cupertino, l’iPhone. La scelta di EPUB3 va vista anche in quest’ottica: un escamotage per chi crea testi multimediali su Apple, affinché possa creare una versione reflow leggibile su iPhone o desktop.
Una prova su strada mi ha confermato i pregi e i difetti di questa scelta progettuale di Apple. Il nuovo Ibooks Author infatti, nel momento che si decida di creare un EPUB3, si comporta sostanzialmente come un word-processor/DTP, spegnendo una parte importante delle opzioni offerte a chi crei testi in formato .ibooks: niente forme, grafici, caselle di testo, strumenti per quiz, keynote, immagini interattive, oggetti in 3D, finestre a scomparsa et alia. Rimangono le gallerie di immagini, i filmati/multimedia e i widget, nomignolo per definire piccole pagine HTML5 con CSS indipendenti, codice javascript e file di configurazione proprietari Apple.
Ed è qui che si crea l’importante frattura tra l’EPUB3 di apple e il resto del mondo.
L’EPUB3 esportato da Apple infatti è un EPUB3 che funzionerà bene su macchine Apple, ma funzionerà molto meno bene (o non funzionerà affatto) su altre macchine. Il codice generato da Ibooks Author non è un bel codice, non tiene conto in alcun modo della semantica del testo, nemmeno per le ormai normali gerarchizzazioni del documento. I tag sono usati in modo piatto, appoggiandosi pesantemente sulla grafica definita altrove nei CSS. Non si tratta solo di questione di stile: un documento scarsamente lavorato in senso semantico è poi difficile da usare, nel caso sia necessario fare correzioni o miglioramenti. Girando all’interno dell’EPUB3 si trovano anche file di configurazione XML fuori specifiche EPUB3, e istruzioni CSS Ibooks-only.
Le difficoltà aumentano man mano che aumenta la personalizzazione del codice operata da Ibooks Author, fino ad arrivare a EPUB3 che semplicemente non funzioneranno al di fuori del mondo apple: basta esportare una pagina con un widget per vedere apparire attributi HTML5 personalizzati (i vari data-
) e improbabili link javascript a finestre browser che semplicemente non esistono in EPUB3.
Significativo anche il fatto che Ibooks Author permetta anche di importare un ePub, ma solo per fare un .ibooks
Non è possibile importare un ePub creato altrove per continuare il lavoro su Ibooks Author.
Insomma: questa nuova versione di Ibooks Author non solo non è una killer application per il mondo dell’editoria digitale, ma potrebbe fare più danni che benefici per chi lavora in EPUB3. Non è un vero tool di authoring EPUB3, crea file che funzionano (bene) solo su una piattaforma, e non introduce novità sostanziali per chi lavori nell’editoria digitale. Dà l’illusione all’utilizzatore occasionale di lavorare con un formato universale, ma in realtà produce testi ibridi che potranno creare difficoltà se letti con programmi diversi da Ibooks. È anche la mancanza di innovazione che colpisce, specie se questa mancanza proviene da una azienda come Apple. Ibooks Author appare come un programma datato nella sua concezione a stampa della pagina, proponendo al creatore di ebook un’interfaccia estremamente semplice, ma anche molto limitata. Anche il relegare tutto javascript nei piccoli cassetti a inserto dei problematici widget, è una scelta a corto respiro quando si stia creando un EPUB3 di una certa complessità.
Vedremo nei prossimi mesi che risposta ci sarà da parte degli utilizzatori e se i problemi che emergono in questa prima release verranno superati attraverso l’adeguamento del mercato alle specifiche non scritte di Apple (è già successo in passato), o se – al contrario – le politiche di Cupertino si ammorbidiranno.
Make EPUB3 using Ibooks Author
As reported yesterday by The digital reader, the new version of Ibooks Author increases its capabilities by adding support for authoring EPUB3. Yes, now you can use Ibooks Author to create EPUB3. But I do not know if this is a good idea.
Before talking specifically of the new software, two words about this action by Apple. On one side it is excellent news: Apple comes out of the walled garden of its proprietary format .ibooks and allows the creation of texts in EPUB3. On the other hand this testifies the difficulty of the Apple ibooks format. Not only for commercial reasons, but also technicians: Apple had staked everything on a strongly fixed format, built around its iPad, with the paradox that the ebooks created on Apple machines could not be read by one of the strongest of the House of Cupertino, the iPhone. The choice of EPUB3 should be seen also from this perspective: a trick for those who create media texts, using Apple hardware, to have a version readable reflow on iPhone or desktop.
A road test has confirmed to me the pros and cons of this design choice by Apple. The new Ibooks Author indeed, the moment that you decide to create a EPUB3, behaves essentially as a word-processor/DTP, shutting down a major part of options offered to those who create ibooks format texts: no forms, charts, text boxes, quizzes, tools, images, interactive keynote objects in 3D et alia. Remain the image galleries, movies/multimedia and widgets, nickname to define small HTML5 pages with CSS, javascript code and configuration files.
And this is where emerges the important gap between the apple EPUB3 and the rest of the world.
The EPUB3 exported from Apple is a EPUB3 that will work well on Apple machines, but will work much less well (or it won’t work at all) on other machines. The code generated by Ibooks Author is not a good code, does not reflect in any way the semantics of the text, not even for the normal hierarchy of the document. The tags used are flat, leaning heavily on graphics defined elsewhere in the CSS. This is not just a matter of style: a document poorly worked in semantic sense is difficult to use, in case you need to make corrections or improvements. In the Apple’s EPUB3 you can also find non-standard XML configuration file, and CSS instructions Ibooks-only.
The problems increase as it increases the code customization by Ibooks Author, up to EPUB3 that simply won’t work outside of the apple world: just export a page with a widget to see HTML5 custom attributes appear (data-) and improbable javascript links to window/browsers that simply do not exist in EPUB3.
Also significant is the fact that Ibooks Author also allows to import an ePub, but just to make a .ibooks
You cannot import an ePub created elsewhere to continue the work on Ibooks Author.
In short: this new version of Ibooks Author not only is not a killer application for the world of digital publishing, but it could do more harm than good for those working in EPUB3. It is not a true EPUB3 authoring tool, creates files that work (well) on a platform only, and does not introduce substantial innovations for those jobs in digital publishing. Gives the illusion to the occasional user to work with a universal format, but actually produces hybrid texts that can create difficulties if readed with programs other than Ibooks. It is also the lack of innovation that affects, especially if this lack comes from a company like Apple. IBooks Author appears as a program dated in his conception of the printed page, offering to the creator of an extremely simple interface, but also very limited. Also the choice to relegate javascript in drawers/widget, is a short breath when you’re creating a EPUB3 of some complexity.
We will see in the coming months what we will be the response by users and if the problems that emerge in this first release will be overcome through adaptation to Apple’s unwritten rules (as already happened in the past), or – on the contrary – Cupertino policies will be more universal.
La natura del digitale
Ho acquistato e sto leggendo l’ebook di The Nature of Code di Daniel Shiffman. Sono ancora nella parte introduttiva ma – per ora – trovo la lettura davvero molto interessante. Si tratta di un testo di informatica che non spiega come programmare, anzi parte dal presupposto che il lettore ne sappia già di programmazione. The Nature of Code racconta invece come programmare cose che riproducano il modo di agire della natura. Si parte da un walker che si sposta in maniera randomizzata e piano piano si introducono regole matematiche perché la sua camminata sia casuale ma non troppo, ovvero che subisca l’influsso di eventi che caratterizzino il suo camminare: dalla semplice possibilità che il walker penda da una parte, alla funzione gaussiana per dare maggiore morbidezza ai range casuali, ai voli di Lévy. La cosa che mi ha più colpito dell’ebook è il forte impianto divulgativo che procedendo a piccoli passi progressivi non spaventa e non allontana dal testo man mano che gli argomenti si fanno più complessi. Vedremo se questa bella progettazione si manterrà anche nei capitoli successivi. Interessante anche il veicolo di vendita: il testo è disponibile come libro di carta, in formato Kindle su Amazon, ma è possibile leggerlo tutto gratuitamente on-line o acquistare il pacchetto digitale ePub + mobipocket + pdf direttamente dall’autore per una cifra scelta dall’acquirente. Vengono suggeriti 10 dollari, ma è possibile comprarlo a prezzo più alto o più basso. O per niente. Gli esempi dell’ebook purtroppo non sono animati, mentre lo sono alcune pagine web della versione leggibile on-line. Peccato, perché sarebbe stato un esempio importante di quello che sarà il next step dell’ebook, dove – quando si parla di creare una animazione – si vede contestualmente l’animazione creata. Non un video, non una foto. La cosa affascinante di questo testo – per me – è capire quanto di questa generazione di contenuti possa essere applicata ad esempio al mondo degli ebook, non solo per quel che riguarda l’aspetto più immediato dei grafici e delle animazioni, quanto per una creazione complessiva dell’oggetto ebook, dei suo contenuti testuali, informativi, narrativi e ludici. Ovvero concepire un ebook come un organismo composto da parti narrative tra di loro relazionate capaci di mutare e di trasformarsi a seconda di regole generative. Un ultimo link che ha poco a che fare con gli ebook ma che è invece legato alla natura e al digitale. Si racconta di come si comporti l’algoritmo di riconoscimento immagini di Google quando gli si chieda di disegnare. L’articolo e le immagini sono nello stesso tempo bellissime e inquietanti. Fanno capire, forse, perché è bene avere controllo sul codice. Perché quando agisce, il codice, può essere davvero implacabile.EPUB3 & Kobo: un campo minato o un campo animato?
Guardando le specifiche del nuovo Kobo H2O ho notato che veniva indicato l’EPUB3 come formato supportato. Incuriosito ho cercato qualche informazione in rete, considerato che in tutti i test che avevo fatto con Kobo non avevo riscontrato alcun tipo di supporto per EPUB3 in e-ink. Dopo qualche ricerca ho trovato in rete una pagina molto interessante, pubblicata l’anno scorso su Github e riportante le Kobo ePub Guidelines. All’interno del lungo documento si trovano molte informazioni sul supporto richiesto da Kobo per gli ebook creati per la sua device. Tra queste ho finalmente scoperto (dopo averli richiesti invano al supporto Kobo per un anno buono) i criteri con i quali Kobo in kepub considera un link come una nota di cui dare l’anteprima. Criteri che in certo senso hanno del magico. Al di là delle eventuali indicazioni delle specifiche EPUB3, Kobo dà anteprima dei link:- se sono link con fragment identifier;
- se il contenuto del punto di arrivo del link contiene più di nove caratteri.
se hai dato da mangiare al link dopo la mezzanotteo
se hai bagnato il link. Ma la cosa più interessante è appunto quella relativa agli EPUB3. Ebbene, Kobo supporta EPUB3, e lo supporta nei suoi vari programmi seguendo il seguente minefield:
Platform | MathML | SMIL | JavaScript | CSS Animations | Audio/Video |
---|---|---|---|---|---|
Android | N | Y | Y | Y | Y |
Desktop | Y | N | N | Y | N |
eInk | Y | N | N | Y | N |
iOS | Y | Y | Y | Y | Y |
Windows 8 | N | N | N | N | N |
non usatemi vi prego. Ma cosa funziona di EPUB3 su Kobo e-ink? Poco. MathMl e le CSS animation. Ho provato a creare al volo un EPUB3 inserendo all’interno una piccola animazione in CSS animation per farla andare sul Kobo Aura HD di quinta e non è successo niente. Dopo un attimo di perplessità ho cambiato il nome del file in kepub.epub, trasformandolo in kepub e questa volta la piccola animazione ha iniziato a lampeggiare sullo schermo del Kobo. Davvero una piccola cosa questo supporto, calcolando che le cose più interessanti che si potrebbero fare in e-ink e EPUB3 non sono certo le animazioni, quanto piuttosto l’utilizzo di javascript. Di quello, ad oggi, nessun supporto sugli schermi ad inchiostro elettronico.
The ebook is a centipede
Today I’ will talk about digital books. I would not use the word “ebook”, because “ebook” today is still a physical book. Publisher makes ebooks thinking at physical books, selling physical books and – after – they makes also a digital porting of the physical book. Maybe. That is not a digital book, it is a digitized book. Five years ago we started quintadicopertina, a digital publishing house. Our claime was provide digital content that would give a reading experience different from that of the traditional paper book; not to overlap traditional publishing, but to approach it. In this first five years we experimented different way to think digital content in something we can call “ebook”. I’m not going to show the content of the ebooks we did, but I’d like to focus on some particular aspects of the process of creation of contents designed as digital text. When I use the word “text” I mean everything could be wrapped in a ebook: text (oblivious), music, sound, voice, video, interaction, hypertext. I’ll start from the last one: the hypertext is the more simple digital object we can insert in an ebook: actually I can say is the only object we can put in ebook for ebook reader, using standard like ePub2 or KF8. The hypertext is a rich element: it is not only a jump from one place of the document to another, but it could be a multipurpouse digital object. Indexes could use hypertext, or table of content, but we can also project a ebook like a universe of atoms where the reader (I mean the uman reader, not the device) can switch from an atom to another, building his own reading experience. The ebook specification doesn’t help us: actually an ebook is designed to be read as a standard book, more or less like we can listen a mp3 like we listened a vinile or a cd. But we can try to make something different. We experimented some ebooks where the reading is not a linear one. We tried in fiction and non-fiction ebooks. In fiction we linked to the interactive fiction & “make your choice book” tradition, but also to the non linear literature: from Italo Calvino, to Foster Wallace’s Infinite Jest, from Cortazar to Nabokov. The reader start to read the novel and after a while he have to do something: talk with characters, decide the plot of the novel… et ceterae. In non-fiction we tried to join the blog/web language to that of traditional book. What is gonna change? While the web is a open place where the reader can surf from site to site, the ebook is a closed place: this could be seen as a limit, but it is a feature too. Closed place is another way to say: homogeneous and consistent information; no distraction; no background noise: the focus is on the text. So the reader can read the ebook but also can surf the ebook in the way he could surf the internet but all the informations are related one to another. We also tried to break the forth wall and recently we build an ebook open, where a chapter populates itself when it is opened. I open the chapter and it connects itself to our server and download information of things happened after the ebook has been published. This can be related to a big change in digital information: I do not sell to the reader a “book”, but I sell a connection with the information you are interested at, even when the informations are changing day by day. Another digital way to project ebook is enrich it with metadata and semantic information. When I print a paper book I have to translate information in to graphical symbol: a text line bold in center of page is a title, a italic text capitalized is a book title, a period closed in quotes is a… quote from another text, and so on. In digital we transform datas in datas. We do not think about the graphical look, but we think about the semantic use of the data we are handling in ebook construction. So we can tell to the computer: hei, this is a book title, this is a data, this is a fact, et ceterae. Those informations could be used after to apply a different look and fell, but also make query, build relations between datas embedded in our ebooks. You can en-rich the ebook with additional information that are invisibile for the reader but visibile for the computer that can use then to create other sections of the same ebook. The last aspect I’d like to spend some words is about layers and “generative text”. Books could have multiple layers, ebooks could have more. I can think every paragraph of my ebook like a living entity. It can change over times, or when the user touches the single element of the paragraph. I touch the title of a book, in the text, and the text changes and shows me the bibliography related; I begin to read the abstract of an article and the author appears inside the paragraph and begin to speak to me explaining with voice and gestures the chapter more deeply; or I read a algorithm formula, I change numbers, and numbers related changes in other paragraph and graphs too; or I can touch paragraph I need to look into, and the paragraph explodes in multiple information, or collapse if I know the topics and I only need to see the abstract. Generative text is another step in digital content: I do not write static text, but I write code that write text for me. This text can change in time, have relation with user input, update itself. So, the idea I’d like to show today is that the digital book is not a book and it is not the web. It have a foot in one shoe and the other foot in the other shoe. And it is a centipede. It have more and more foots we could now only try to understand what ground can walk in the future.pensare gli ebook ascoltando generative music
Qualche tempo fa su facebook era nata l’ennesima discussione sulla natura degli ebook: sono solo libri di carta o devono/possono essere qualcosa di diverso? Tra le tesi proposte dalle controparti c’era quella della musica: la digitalizzazione della musica non ha cambiato il modo con cui noi oggi ascoltiamo la nona di Beethoven, ergo anche l’ebook non cambierà il modo con cui si legge un libro. Non entro questa volta nel merito della discussione, ma la prendo come spunto per indicare tre piccoli esempi di un aspetto interessante della musica digitale, ovvero quella della generative music. Per generative music si intende la creazione di opere musicali la cui esecuzione, in un certo senso, avviene nel momento dell’ascolto. Non scrivo le note che devono essere eseguite, ma programmo un computer affinché esegua una certa partitura seguendo determinate regole, in modo che l’esecuzione naturalmente cambi nel corso del tempo. In Tender Metal di Gwilym Gold, abbiamo un onesto lavoro di pop-ambient elettronico in cui ogni riproduzione si differenzia leggermente dalla precedente: cambiano gli arrangiamenti, la lunghezza dei brani (in alcuni casi costruendo loop infiniti, letteralmente, si è costretti a spegnere, come la 1-bit symphony), talvolta addirittura la struttura con incisi, cantati e cori che appaiono inaspettatamente e non tornano più negli ascolti successivi. Un lavoro incredibilmente avanti con i tempi, dato il genere. Altra interpretazione è l’applicazione per Android Color Sounds dove viene attivata la telecamera dello smartphone e intercettati i colori primari per una generazione continua di pattern sonori derivati dai colori inquadrati. Camminando o ponendo lo smartphone in modo che inquadri elementi in movimento, il suono generato varierà per timbriche e volume, mentre si perderà in loop infiniti quando andrà a fissare elementi statici. Diverso il gioco del mixer di Mixtikl. In questo caso il programma si presenta come un normale mixer digitale di pattern pregenerati. Soltanto che i pattern non sono file audio, ma codici di generative music che possono essere mixxati per creare ambienti sonori in continua mutazione. Mi è capitato di inserire una semplice batteria e un pianoforte che ripetevano un pattern sempre uguale che – dopo un po’ – non era più così tanto uguale. La batteria variava qua e là la percussione e il pianoforte aggiungeva note e variava il tempo di esecuzione. Cosa c’entra tutto questo con gli ebook? C’entra se consideriamo quello che sta avvenendo nel digitale come un movimento complessivo. Da una parte resta senz’altro una tensione di conservazione del precedente, non solo per finalità documentali, ma anche di fruizione immediata. D’altra parte, in maniera sempre più progressiva, si stanno creando le basi di quella che è la fruizione di contenuti artistici e letterari che sono schiettamente- fatemi usare questo termine desueto – informatici, ovvero basati sulla natura calcolatrice e generatrice del computer. Sperimentazioni? Dipende: se la generative music vi sembra una curiosità flokloristica è perché forse la state valutando con i canoni tradizionali. Fate una prova: aprire un videogioco. Ascoltate i suoni d’ambiente, i rumori e le musiche che emergono e scompaiono durante le sessioni di gioco. C’è una buona probabilità che stiate ascoltando una applicazione pratica e quotidiana di generative music.Le pagine degli ebook rompono le scatolette
Ultimamente sulla mia scrivania transitano due file che si chiamano labo_2_ePub3
e labo_1_ePub3
. Si tratta – come il nome può fare capire – di file in cui man mano testo cosa si può fare e cosa non si può fare in EPUB3, che poi visiono con Adobe Digital Edition 4, Ibooks per Osx, Ibooks per Os, Gitden Reader, Readium e Azardi. Siccome – come ho ripetuto allo sfinimento dei corsisti all’ultimo bel laboratorio a Cologno Monzese – per fare ebook usiamo specifiche nate per fare tutt’altro, quello che potremmo fare e quello che possiamo fare deve passare sotto le forche caudine del supporto.
Alcuni grossi limiti oggi di fare ebook sono ad esempio legati al fatto che tutte le specifiche ebook lavorano pensando DOM. DOM è il Document Object Model: è una cosa buona, a suo modo. Banalizzando possiamo dire che ogni pagina Web è concepita a scatolette. C’è una grossa scatoletta che si chiama body
, che contiene tante scatolette piccole: titoli, immagini, paragrafi, video, etc. Ogni scatoletta può contenere a sua volta scatolette più piccole, ad esempio un paragrafo può contenere del testo e delle scatolette che contengono titoli di libri, o una scatoletta tabella può contenere scatolette righe che a loro volta contengono scatolette celle che contengono testo. Quando si deve parlare con una pagina web si parla con queste scatolette, gli si dice cosa fare o come comportarsi con il loro contenuto. Per chi gli piacciono questo genere di cose è anche divertente. A me diverte, se so come farlo.
Anyway. Qui nasce un problema per gli ebook. Ovvero che gli ebook sono paginati, sono divisi in pagine. Queste pagine non sono reali, sono virtuali, vivono in reflow. Cosa voglio dire che non esistono: voglio dire che – ad esempio – non ce ne è traccia nella DOM. Il fatto che non esistano nella DOM fa sì che tutte le regole che noi diamo alle scatolette, in genere, non possono essere relazionate alle pagine. Possiamo dire che una immagine è alta il 50% della scatoletta che la contiene, ma non il 50% della pagina in cui viene visualizzata, perché la pagina non esiste.
Non è un problema solo di noi noiosi progettisti digitali, ma anche di chi deve adattare le specifiche nate per pagine web, affinché funzionino su documenti paged. Si tratta di porsi problemi mai posti prima nella progettazione web:
- cosa devo fare se una pagina di un ebook mi finisce proprio a metà di una immagine?
- come devo comportarmi se ho paragrafi a due colonne e questi esondano dalla pagina in cui sono e finiscono in quella dopo?
- che faccio se elementi javascript aggiungono scatolette in una pagina e quindi aumenta la foliazione di un capitolo di cui ho già stabilito il numero di pagine all’apertura?
- come gestisco i form di inserimento dati in ebook destinati a device che non dovrebbero avere tastiera?
- cosa faccio se ho un’immagine con testo che la contorna e l’immagine finisce nella pagina dopo perché è troppo grossa, ma il testo che la dovrebbe contornare trova invece spazio nella pagina precedente?
- (continua a lungo)
Non di tratta di problemi dalla facile soluzione e che – facilmente – rischiano di non trovare soluzione o di trovare soluzioni diverse a seconda delle decisioni degli sviluppatori. Il che significa che poi noi, i tipografi digitali, non potremo usare quelle soluzioni perché troppo poco omogenee da device a device. È già successo in passato con i linear="no"
o con le XML island
.
C’è da dire che non è che nessuno non ci abbia ancora pensato. Faccio un esempio: quando si parla delle note a piè di pagina in un ebook si dice che non esistono perché non esiste la pagina
. Non esistendo più in concetto di pagina non esistono nemmeno le note a piè di pagina. È una frase molto bella perché è chiara e fa capire subito come il digitale sia diverso dal cartaceo. Però è falsa. Non ci sono le note a piè di pagina perché usiamo specifiche fatte per pagine web, dove lì sì, non esiste il concetto di foliazione, ma quello di scroll.
Non c’è nessun motivo per il quale un ebook reader non possa gestire le note a piè di pagina in maniera dinamica, reimpaginandole in reflow. Ci sono anche le istruzioni per farlo. È il settore dei paged media
Vedi anche: http://www.w3.org/TR/css-gcpm-3/#creating-footnotes, ma anche http://www.smashingmagazine.com/2015/01/07/designing-for-print-with-css/, che si occupano proprio di andare a gestire quella strana cosa fisica che è la pagina e che non ha nessun senso logico di essere lì se non per il fatto che c’è. Ed è lì, e devi tenerne conto.
Per convincervi che non sto parlando di fantascienza o di specifiche così recenti che se le tocchi ti sporchi le mani di vernice fresca, sappiate che alcune cose dei paged media
già si usano abitualmente negli ebook, come il @page
per la gestione dei margini, o i vari page-break-inside, after, before
.
Ps: e se pensate che prima della annotazione qui sopra che inizia con Vedi anche:
manchi uno spazio, guardate cosa succede se stampo questa pagina con Prince (quel Prince, non questo).