Tutto quello che so sui divani e la narrazione digitale
Oggi mi prendo una pausa dal parlare di ebook, per spendere due parole sull’interactive fiction e la sua progettazione. Ho letto qualche tempo fa un divertente pezzo di Liz England che racconta quali siano i reali problem di un game designer, a partire dall’apparentemente banale problema di descrivere una porta. Il post, ripeto, è nello stesso tempo molto divertente e molto chiaro, se avete poco tempo leggete direttamente quello e saltate questo. La lettura del post di Liz England mi ha ricordato i problemi molto simili che si affrontano quando si fa interactive fiction. Anche lì ci sono luoghi narrativi composti da cose, con queste cose si fanno altre cose e ci possono anche essere altri giocatori/lettori che interagiscono con noi e con i personaggi dell’interactive fiction. Molti anni fa avevo iniziato un progetto di interactive fiction di cinque luoghi. Si tratta di uno dei miei progetti non terminati, alla fine spiego anche il perché. In questa interactive fiction mi ero posto quattro o cinque obiettivi di design:- utilizzare i tempi e le persone tipiche del romanzi per una cosa che stava succedendo in quel momento al lettore (quindi usare la terza persona singolare e il tempo passato, al posto del più consueto presente più prima persona singolare, tipico delle avventure testuali)
- gestire gli spostamenti per oggetti e non per punti cardinali (
vai in cucina
, al posto dinord
) - dare descrizioni che si modificano a seconda del punto di vista del personaggio/giocatore (descrizioni prospettiche)
- dare temporalità alle descrizioni: osservare una cosa la prima o la seconda volta, cambia anche l’esperienza di quello che vedi
#1,\Jacob si mosse appena nella sala. Un odore acre stagnava nell’aria, e tutta la camera appariva spogliata dalla luce bianca che fibrillava in alto, appesa al soffitto. Il lampadario era stato tolto, mesi prima, per seguire il regolamento del Comitato, ed ora soltanto la sfera di vetro balluginava, attaccata al filo elettrico. La stanza era piccola e faceva sia da ingresso che da salotto. Jacob in passato aveva pensato di buttare giù uno dei muri non portanti e di fare una sola stanza con lo studio e la sala, ma Elettra si era sempre opposta per paura degli insetti. “Questi muri sono pieni di bestie” diceva toccandoli con ribrezzo. La libreria era poggiata nell’angolo, svuotata e sigillata, vicino all’ingresso della camera da letto. Accanto era posto uno dei due divanetti, ereditati dalla madre di Elettra. L’altro era collocato tra l’ingresso dello studio e quello della cucina. L’ultima apertura conduceva in bagno. La finestra rimaneva nascosta dietro una tenda bluastra, ma non sembrava portare nessuna luce all’ambiente: probabilmente -pensò Jacob- le imposte sono serrate.\ Distrattamente s’incantò nel fissare uno dei quadri della sala, che rappresentava figure geometriche, e si perse in pensieri senza significato.\\Avevo disegnato la stanza, in modo da poterla descrivere in maniera coerente, da qualunque parte dell’appartamento il personaggio fosse arrivato:
(dalla cucina) #23,\Decise di ritornare in sala.\\ Arrivando dalla cucina, Jacob si trovò accanto ad uno dei due divanetti. Di fronte a lui la finestra, coperta da una pesante tenda. Fece qualche passo in avanti per vedere la libreria, posta accanto al secondo divanetto, nella parete opposta a quella dove vi era la porta d’ingresso.\ Sempre di fronte, Jacob riconobbe l’apertura per andare in camera da letto, posta tra la libreria e la finestra, e quella per andare in bagno, proprio alla sua sinistra. \ L’aria era greve e Jacob respirava con fatica. Spostava la testa ora verso i quadri appesi alla parete, ora verso il pavimento, come a voler riprendere fiato.\\ (dalla camera da letto) #24,\Jacob uscì dalla camera da letto ed entrò nella sala. Passandosi una mano fra i capelli, si guardò attorno, senza fantasia. Alla sua sinistra stava la libreria, inutile, con i sigilli del comitato. Di fronte stavano i due divanetti, e le aperture per andare nello studio e nella cucina. A destra la tenda, che copriva la finestra, e poi la parete, dove c’era la porta che un tempo dava all’esterno e l’ingresso per il piccolo bagno. L’aria era viziata e a Jacob sembrava di respirare con difficoltà.\\ (dallo studio) #25,\Ad un certo punto Jacob si fece coraggio e decise di lasciare lo studio. Tornò di nuovo in sala, trovandosi in mezzo ai due divanetti, che tanto piacevano ad Elettra. Di fronte a lui, nell’angolo, la libreria, e la porta che conduceva in camera da letto. Voltandosi vide a sinistra l’apertura per la cucina e, nella parete di sinistra, quella per il bagno. Non era cambiato niente. La porta di casa sempre uguale, la finestra serrata.\\ (dal bagno) #26,\Jacob si fissò ancora per un attimo allo specchio, poi decise di uscire dal bagno per tornare nella sala. L’aria sapeva di chiuso e lo prese alla gola. Lì vicino c’era l’apertura per la cucina e, tra i due divanetti, quella per lo studio. Di fronte a lui, dimenticata, la libreria. \ Fece ancora qualche passo, andando nel centro della stanza. Girandosi osservò distrattamente l’apertura per la camera da letto. Sembrava tutto come prima. I rumori della casa attutiti, il silenzio. Poggiando le mani sul tavolo per la stanchezza, Jacob osservò con noia il mobiletto ad ante.\\Ovviamente, una volta tornato nella stanza centrale il personaggio avrebbe potuto voler osservare di nuovo l’ambiente in cui era, e anche in questo caso la descrizione sarebbe dovuta cambiare:
#2,\Jacob guardò nuovamente la sala in cui era. Una libreria occupava l’angolo vicino all’ingresso della camera da letto, mentre -nella parete opposta- due aperture conducevano nello studio e nella cucina. Nell’angolo in fronte a quello della libreria stava uno dei due divanetti di Elettra, mentre il secondo era posto tra le due aperture. Nell’ultima parete stava l’ingresso del piccolo bagno e la porta di casa. \\ La finestra, accanto alla camera da letto, era coperta da una pesante tenda. Alcuni quadri erano appesi alle pareti: stampe concesse dal Comitato, dopo aver rimosso i soggetti di fantasia.\\Alla descrizione generale si aggiungono le descrizioni particolari degli oggetti presenti nella stanza, e ovviamente le azioni che il personaggio avrebbe potuto fare con essi. Ad esempio i due divanetti.
#3,\Jacob osservò i due divanetti posti all’interno della sala. Si trattava di due piccoli divanetti, apparentemente identici, ma in realtà speculari. Il divanetto rosso, infatti, era privo di uno dei due braccioli, mentre a quello verde mancava l’altro. Jacob ricordò come quei due brutti divanetti venissero dalla famiglia di elletra e come lei li tenesse in grande considerazione, benché, a ben vedere, non si trattasse che di due pezzi di scarto della metà del secolo scorso. Ma, anche Jacob aveva ricordi particolari legati a quei due piccoli divani. Era su quelli che per la prima volta aveva masturbato Elettra, quando era ancora una ragazzina, e dove avevano provato i primi rapporti di sesso. Ancora una rabbia profonda lo prendeva al ricordo dei due divanetti che, sotto il muoversi dei corpi, si allontanavano l’uno dall’altro, costringendo a frequenti interruzioni quei maldestri tentativi di venirsi addosso.\\ #4,\Jacob osservò con attenzione i due divanetti presenti nella sala. Quello rosso era posto tra l’ingresso dello studio e quello della cucina. Quello verde era invece nell’angolo, di fronte alla libreria.\\ #5,\All’improvviso a Jacob venne voglia di afferrare uno dei due divanetti, ma rimase immobile senza sapere verso quale rivolgersi. \\ #6,\Sfinito Jacob si avvicinò ai due divanetti per sedersi, per riposarsi un attimo. Ma erano troppo distanti per potersi sdraiare in entrambi, doveva sedersi in quello verde o quello rosso. \\ #7,\Jacob, a fatica, si mise in ginocchio e cercò di guardare sotto i due bassi divanetti. Ma non riusciva a vedere che il nero, l’oscurità di spazi inutilizzati.\\ #8,\”Devo togliere questi due divanetti”, disse tra sé e sé il valente Jacob, osservandoli da lontano. Si mosse verso di loro con l’intenzione di spostarli. Rimase però incerto a fissarli senza sapere con quale cominciare.\\ #9,\Jacob desiderò alzare i due divanetti, di scoprire cosa fosse nascosto sotto il loro essere collocati, di occupare uno spazio geometrico. ‘A volte’ pensava, le cose offrono il fianco quando meno ci si aspetterebbe. A tratti, quel giorno, ritornavano ricordi improvvisi, senza nessun legame: si vedeva con Elettra arrivare in traghetto a Zadir, prima della fine del mondo, e nel primo mattino prendere un caffè in una bar talmente distante. Ricordi come questi apparivano e scomparivano, come se qualcosa li muovesse sconsideratamente.\Comunque se voleva alzare un divanetto doveva decidere quale dei due.\\ #10,\Unire i due divani, certo, pensava il buon Jacob. Ma poi si ricordò che aveva già fatto quella unione e che Elettra non era stata per nulla contenta, ah questo no. I divanetti uniti prendevano tutta una parete e davano ad Elettra l’impressione di un lungo pesce morto, un luccio di mare, se mai sono esistiti lucci di mare, qualcosa di morto comunque, di abbandonato.\No, no, pensò Jacob scuotendo la testa, unire i divanetti non era certo una buona idea.\\ #11,\Gli venne d’improvviso la curiosità di vedere cosa fosse nascosto sotto il divano. ‘Forse un drago’, pensava, o uno di quei mostri antidiluviani che tanto erano cari ad e Elettra. Rimase così, ad inseguire le sue immaginazioni, senza neppure saper decidere se chinarsi sotto il primo divanetto o il secondo.\\ #12,\Jacob si pose di fronte ai due divanetti, quello rosso e quello verde, senza sapere verso quale rivolgere la sua attenzione.\\ #13,\Jacob sentiva il desiderio di prendere, di possedere uno dei divanetti, ma quale?\\ #14,\Jacob sentì il desiderio di sdraiarsi sopra uno dei due divanetti, dimenticare tutto, Elettra, la quarantena e il Comitato, aprire la boccuccia ed aspirare un latte immaginario, uno sperma dolce che galleggiava nell’aria, privo di atmosfera. Ma restava in piedi, ghiacciato, senza sapere verso quale divanetto muoversi.\\ #15,\Jacob si avvicinò ad uno dei due divanetti, pronto a spostarlo, quando osservò l’altro che giaceva immobile nell’angolo, come se lo stesse fissando. Si avvicinò all’altro e di nuovo il primo gettò l’invisibile sguardo su di lui. Rimase così incerto, senza sapere quale dei due divani spostare.\\ #16,\Alzarli voleva Jocob, quei divani, sollevarli nel profondo della memoria forse e si ricordò, senza nessuna motivazione di una volta che da bimbo, si morse un labbro ed uscì stilla. Passandosi una mano sul volto Jacob mise a fuoco quei due divanetti, sempre immobili come mosche morte.\\ #17,\D’improvviso Jacob si mise a girare per la sala, come se avesse perso qualcosa, le mani in avanti, gli occhi quasi socchiusi, poi si fermò di fronte ai due divani che mai si erano mossi di là.\\ #18,\Si avvicinò ai due divani, per salirci sopra, cosa mai va a pensare l’uomo. Ma i divani erano due e lui uno solo.\\ #19,\Jacob si diresse verso i divanetti. Quando fu presso di loro, rimase dubbioso se andare verso quello verde, o quello rosso.\\Anche in questo caso le descrizioni degli oggetti si frantumano in una molteplicità di descrizioni: cosa voglio fare con il divano? Cosa è realistico che io faccia? Cosa penserebbe un personaggio inserito nell’habitat se gli venisse il desiderio inculcato dal lettore, e come potrebbe gestirlo coerentemente con la narrazione che il motore software sta generando a seconda dei comandi del lettore? Cosa succede con gli oggetti che sono contenuti in altri oggetti (ad esempio, i cuscini)? Oltre alla descrizione degli oggetti è poi necessario implementare le azioni che un personaggio può avere con gli oggetti, anche se queste sono puzzleless, non portano avanti la storia se non per il fatto che sono loro stesse, storia. Sempre rimanendo con i due divanetti:
#50,\Jacob si avvicinò al piccolo divanetto che era collocato tra i due ingressi, dello studio e della cucina. Si trattava di un dono di famiglia di Elettra, un brutto pezzo d’arredamento della metà del secolo scorso. Lui più volte aveva chiesto ad Elettra di buttarlo per prendere qualcosa di più moderno, ma lei aveva sempre rimandato, dicendo che si trattava di un ricordo. Poi era stato troppo tardi, non si poteva più comperare nulla. Il divanetto era basso, praticamente poggiava sul pavimento. Aveva i braccioli soltanto da una parte, perché faceva coppia con il secondo divanetto, quello verde, che aveva anch’esso un solo bracciolo, dalla parte opposta. Pur essendo i due divanetti identici, Elettra aveva voluto fasciare i cuscini e la fodera con due stoffe diverse: quella che stava di fronte a Jacob, rossa, e l’altra, verde scuro.\\ #51,\Jacob tornò ad osservare il piccolo divano posto tra i due ingressi, dello studio e della cucina. Era un piccolo divanetto, molto basso, che faceva coppia con quello che stava nel’angolo, vicino alla libreria. Entrambi avevano infatti un solo bracciolo, come se fossero stati pensati per essere messi l’uno accanto all’altro per formare un divano. Elettra però aveva deciso di separarli, anni prima, e li aveva rifoderati con due stoffe di colore differente. Jacob posò lo sguardo sui vecchi cuscini rossi che gli stavano di fronte, gli stessi, lisi, che conosceva da tempo; identici, nella forma, a quelli verdi dell’altro divanetto.\\ #52,\Jacob afferrò con le mani il divanetto e contrasse le dita per prenderlo con sé. Con un gesto di fastidio lasciò la presa: era troppo pesante per essere trasportato. Quel genere di azioni lo stancavano molto.\\ #53,\Jacob, con un sospiro di sollievo, si buttò sul divanetto, ma subito provò un dolore fastidioso alle anche, nel punto delle ossa. Aveva l’impressione di cadere e tutta la stanza che gli stava di fronte gli sembrava alzarsi, innalzarsi fino a divenire un punto infinitesimale della sua produzione in codice. Ma, nello stesso tempo, tutto restava identico a prima, nello stesso silenzio ininterrotto. Per questo non era bene sedersi, per questo quelli del comitato avevano tolto tutte le sedie dalla casa.\\ #54,\Jacob si avvicinò al divano ed afferrandolo con le mani fece per spostarlo. La sua forza sembrava percorrere il corpo per scaricarsi nelle gambe e poi nel pavimento, dove trovava riposo. Con molta fatica scostò il divanetto dal muro, osservò l’intonaco bianco, identico al resto della casa, e con uguale sforzo, lo ricollocò nella posizione in cui Elettra desiderava fosse posto.\\ #55,\Jacob si guardò attorno in cerca del divano. Appena lo vide, si avvicino senza fretta.\\ #56,\Jabob salì sul divano e si mise a vedere le cose da quella prospettiva. L’ingresso della camera da letto gli appariva ora l’antro, la bocca sdentata di una fornace il cui corpo da bruciare, da riportare allo stato carnale fosse il suo. Stare sul morbido dava fastidio a Jacob, e così tornò sul solido pavimento\\. #60,\Jacob si mosse verso il divanetto posto nell’angolo, di fronte alla libreria. Era un piccolo divanetto, un dono di famiglia di Elettra, di nessun valore ed anche abbastanza scomodo. Aveva chiesto ad Elettra di buttarlo, assieme a quello rosso, per prendere qualcosa di più comodo, ma lei aveva sempre negato, adducendo al fatto che si trattava di un ricordo. Poi era stato troppo tardi, adesso non serviva a niente. Il divanetto era basso, quasi poggiava sul pavimento. Aveva i braccioli soltanto da una parte, perché faceva coppia con il secondo divanetto, quello rosso, che aveva anch’esso un solo bracciolo, dalla parte opposta. Nonostante fossero del tutto uguali, Elettra aveva deciso di fasciare cuscini e fodera con due stoffe diverse: quella che stava di fronte a Jacob, verde, e l’altra, rossastra.\\ #61,\Jacob si avvicinò nuovamente al piccolo divano posto di fronte alla libreria. Era un piccolo divanetto, molto basso, che faceva coppia con quello che stava tra i due ingressi, dello studio e della cucina. Entrambi avevano infatti un solo bracciolo, come se fossero stati pensati per essere messi l’uno accanto all’altro per formare un divano, probabilmente ad angolo. Elettra però aveva deciso di separarli, anni prima, e li aveva rifoderati con due stoffe di colore differente. Jacob posò lo sguardo sui molli cuscini verdi che gli stavano di fronte, gli stessi, lisi, che conosceva da tempo; identici, nella forma, a quelli rossi dell’altro divanetto.\\ #62,\Andò verso il divanetto credendo che vi fosse qualcosa che a lui interessava molto, qualcosa di essenziale, ma tutto era privo di valore, il divanetto un semplice divanetto e niente di più.\Afferrò con le mani il divanetto e contrasse le dita per prenderlo con sé. Con un gesto di fastidio lasciò la presa: era troppo pesante per essere trasportato. Quel genere di azioni lo stancavano molto.\\ #63,\Jacob, con un sospiro di sollievo, si buttò sul divanetto, ma subito provò un dolore fastidioso alle anche, nel punto delle ossa. Aveva l’impressione di cadere e tutta la stanza che gli stava di fronte sembrava alzarsi, innalzarsi fino a divenire un punto infinitesimale della sua produzione in codice. Ma, nello stesso tempo, tutto restava identico a prima, nello stesso silenzio ininterrotto. Per questo non era bene sedersi, per questo quelli del comitato avevano tolto tutte le sedie dalla casa.\\ #64,\Jacob si avvicinò al divano ed afferrandolo con le mani fece per spostarlo. La sua forza sembrava percorrere il corpo per scaricarsi nelle gambe e poi nel pavimento, dove trovava riposo. Con molta fatica scostò il divanetto dal muro, osservò l’intonaco bianco, identico al resto della casa, e con uguale sforzo, lo ricollocò nella posizione in cui Elettra desiderava fosse posto.\\ #65,\Jacob si guardò attorno in cerca del divano. Appena lo vide, si avvicino senza fretta.\\ #66,\Jabob si sedette sul divano e si mise a vedere le cose da quella prospettiva. Di fronte a lui la liberia, sigillata, mostrava le rientranze inutili, i fori della privazione. Vicino alla libreria, l’ingresso della camera da letto gli appariva l’oscuro passaggio verso qualcosa che gli avrebbe sottratto quel poco di serenità che a fatica custodiva dentro di sé. Stare seduto portava a Jocob una sorta di breve dolore, ed era anche per quel motivo che il Comitato aveva fatto togliere tutte le sedie dalla casa. \\ #67,\Seduto sul divano, Jacob provò il desiderio di sedersi sul divano. Si trovava contemporaneamente nella condizione in cui voleva essere e in quella in cui si trovava isoddisfatto del suo stesso desiderio inappagato.\\ #68,\Decise di guardare sotto i cuscini. In verità Jacob aveva un terrore delle cose nascoste, non gli piaceva mettere le mani in posti sconosciuti. “Magari se fossi seduto sul divano sarebbe più semplice” disse tra sé e sé, non si tratterebbe di una scoperta, ma quasi di una azione continuata, sono andato sui cuscini e poi lentamente sono scivolato tra cuscino e cuscino, mi sono schiantato, diciamo così sul divano, ecco che razza di pensieri aveva Jacob.\\ #69,\Jacob guardò sotto i cuscini, lentamente, con timore, quasi che avesse paura di trovarvi qualche bestia, qualche insetto addormentato. O anche un topo, chi sa mai che sotto i cuscini non riposino i topi. Invece trovò un un libretto. Lo prese in mano con curiosità chiedendosi chi cavolo l’avesse messo in quel posto.\\ #70,\Jacob guardò sotto i cuscini, lentamente, con timore, quasi che avesse paura di trovarvi qualche sporcizia, qualche bestia addormentata. Magari un ratto, chi sa mai che sotto i cuscini non riposino i ratti. Invece c’era soltanto la tela del divano.\\ #71,\Jacob guardò nuovamente sotto i cuscini, lentamente, con timore. Gli parve di vedere, per un attimo, denti che baluginavano, o zampe che si ritraevano verso il buio, ma quando il cuscino fu ben alzato, c’era solo la nudità del divano.\\ #72,\Si mise ad osservare i cuscini dei due divanetti. Erano identici, cambiava soltanto la tinta, ora rossa, ora verde. Spesso si era seduto su di loro, provando un certo piacere, anche se, alla lunga, gli sembrava che si schiacciassero, che sprofondassero perdendo la loro forma originaria, e provocandogli un tenero dolore all’altezza della spina dorsale.\\ #73,\Gettò il suo sguardo sui divanetti e ancora una volta si mise ad osservarne i cuscini. Erano sempre gli stessi. Uno grosso sotto, e tre piccoli messi sul lato.\\ #74,\Mosse la testa per vedere meglio i cuscini su cui sedeva. Molli, coperti da quella stoffa grezza che Elettra aveva comprato chissà dove e che aveva lei stessa tinto sporcando per settimane il bucato della lavatrice.\\ #75,\Con la coda dell’occhio fissò i cuscini su cui sedeva. Erano sempre gli stessi, ruvidi e scomodi.\\ #76,\Con una mano afferrò un cuscino e lo tirò a sé, ferendosi il polso. Solo in quel momento si ricordò che la parte terminale dei cuscini era cucita alla base del divano, per evitare che cadessero o si spostassero.\\ #77,\Decise di prendere uno dei cuscini. Ma quell’azione, da in piedi, sembrava fiaccarlo, nausearlo. Si sentiva già stanco per quel gesto tanto risoluto; e così decise che lo avrebbe fatto, certo, ma una volta seduto sul divano.\\ #78,\Jacob decide di spostare uno dei cuscini del divano. Ma il solo pensare di mettersi lì, tirare, lasciare, oggetti molli… sentiva come il ruvido sulle dita, nell’interno delle dita, un sapore quasi delle unghie che s’infilavano nella stoffa, che frizionavano, che graffiavano e -stupito- si ritrovò a contrarre e rilasciare le dita. Fiaccato decise che lo avrebbe spostato, certo, ma una volta che si fosse seduto.\\ #79,\Prese uno dei cuscini e fece per spostarlo quando sentì che il cuscino resisteva e rimaneva fermo. Si ricordò allora che la parte in fondo era cucita al divano, perché non cadessero per terra. Lasciò le mani e si mise ad osservare il centro della stanza, senza vedere niente.\\I divani sono poi oggetti abbastanza semplici da gestire, rispetto a una libreria o un libro. Insomma, il design di una interactive fiction molto molto semplice, di pochissime locazioni come questa, può rivelarsi un lavoro importante di scrittura testi quando si voglia creare una interazione fortemente narrativa con gli oggetti, pensando che siano questi e le relazioni con il lettore a generare la storia stessa (o meglio, le storie). Perché non ho finito questa interactive fiction? Per diversi motivi, uno dei quali legato alla quantità di lavoro e di testo necessario. Garantire la narratività non automatica ma autorale di ogni elemento presente nelle cinque stanze, richiedeva uno sforzo considerevole. Un altro motivo era legato al mezzo: l’interactive fiction classica, pensata a parser e lettura video, non è forse lo strumento più adatto per muoversi in ambienti narrativi interattivi. Qualcuno ha detto ebook?
Gli ebook non esistono
A Treviso ho cominciato un intervento sugli ebook dicendo che gli ebook non esistono. Ho spiegato poi che non esiste un formato ebook, così come non esistono programmi per fare ebook. Lo sanno bene gli addetti ai lavori, oggi i formati ebook sono agglomerati di specifiche nate per fare tutt’altro. A chi si lamenta del ritardo dell’editoria digitale, a chi chiede un salto in avanti nella multimedialità degli ebook, rispondo che – se si considerano le specifiche su cui lavoriamo e il supporto dei programmi di lettura digitale – è un miracolo che esista un mercato di libri digitali. Altro che arretratezza. Faccio un paragone: giudicate voi quanto calzante o meno. Ci sono due persone sedute che stanno facendo una partita a scacchi che dura da un paio di secoli. Ai due giocatori, se ne aggiunge un terzo. “Posso giocare anche io?”, chiede . E all’annuire pensoso dei due giocatori tira fuori da dietro la schiena un pallone arancione da basket e comincia a prendere a pallonate la scacchiera facendo schizzare tutti i pezzi. E alla fine domanda anche quanti punti ha fatto. Questo è lo stato effettivo dell’editoria digitale oggi. Non solo in Italia. L’ebook continua ad essere considerato un libro, o quando smette di esserlo, una specie di sito web un po’ sfigato che funziona solo su alcuni tablet e solo in fixed layout. I programmi per leggere ebook, rigorosamente proprietari e circondati da fili spinati di DRM incompatibili tra di loro, sono nel migliore dei casi fermi ad una visualizzazione di romanzi statici. Forse, leggendo solo romanzi e senza vedere come sono stati marcati, non si ha idea dei limiti con cui abbiamo a che fare quotidianamente nella costruzione di ebook. Faccio un solo esempio, peraltro molto marginale. Sapete cosa succede se impaginiamo una parte del nostro ebook su due colonne e incidentalmente questa parte finisce in due pagine successive? Succede che devo leggere la prima colonna sulla prima pagina, girare pagina, continuare a leggere la prima colonna nella seconda pagina, tornare indietro, iniziare a leggere la seconda colonna nella prima pagina, girare pagina, continuare a leggere la seconda colonna nella seconda pagina. E poi lanciare il tablet contro il muro, immagino. Gli esempi di rozzezza come questi sono numerosissimi: il concetto di base è che gli ebook usano specifiche nate per il Web, non per gli ebook. Impaginazioni pensate per lo scrolling, non per pagine. Usano semantiche per descrivere post di blog, non capitoli. Metadati per meeting, non per avvenimenti storici. E così via. Eppure. Eppure, nonostante questa navigazione fatta a bordo di uno scolapasta, si possono fare cose. A Treviso ho mostrato alcune eccellenze, tutte italiane peraltro. Ne parlerò anche in questo blog dalla settimana prossima, iniziando da un remoto passato, da un medioevo che era molto più razionale di questo digitale in cui viviamo ogni giorno. Perché l’ebook non è un sito web, e non è nemmeno un libro. È una cosa diversa che si sta formando adesso e muove i suoi primi poderosi passi. E sono impronte che lasciano il segno.Navigando nell’EPUB CFI
Avevo promesso di dare qualche feedback sugli EPUB CFI. Le specifiche degli EPUB Canonical Fragment Identifier non brillano per chiarezza, e parrebbe che nemmeno in IDPF siano particolarmente felici per questa particolare specifica di EPUB3.Cosa dovrebbero permettere di fare i CFI in pratica?
Si tratta di una specifica che dovrebbe permettere di identificare una precisa zona testuale (e non) di un ePub. Non un link a un file o a un id, ma il puntamento o la selezione di una parte di un paragrafo o altro. Il puntamento può essere effettuato dall’interno dell’ePub, o dall’esterno: è quindi in teoria possibile per un software/biblioteca di ePub andare a prelevare, leggere, confrontare brani di diversi ePub, così come fornire all’esterno riferimenti precisi ai contenuti di più ePub, magari gestiti in rete. Non mi pare invece ancora possibile interrogare un ePub a partire da un altro ePub. La sintassi è complessa e parte dallaspine
dell’ePub. Si lavora a saltelli. Ogni elemento della DOM viene numerato in maniera crescente, secondo alcune regole che riassume bene Matt Garrish nel suo blog, dopo di che si saltella tra gli elementi del package
fino alla spine
, e poi all’interno di questi fino al file nel quale è contenuto il testo che ci interessa selezionare.
La sintassi è qualcosa del tipo: content.opf#epubcfi(/6/4!)
Ovvero: vai al quarto elemento figlio del sesto elemento contenuto nel file content.opf (il quarto elemento corrisponde in realtà al secondo tag figlio, e il sesto elemento al terzo tag figlio: lo schema del surriportato link di Matt chiarisce bene le regole per un buon conteggio).
Il punto esclamativo significa, e poi fai un salto grosso. Dove? Dentro al file selezionato nella spine dell’ePub.
A questo punto il gioco dei saltelli continua, e si inseriscono dopo il punto esclamativo i successivi salti nella dom, fino al punto esatto che si vuole individuale, o – se si usa un range – alla porzione testuale che si vuole selezionare. Un esempio di CFI corretto potrebbe essere: content.opf#epubcfi(/6/4!/4/4/2/1:5)
. I saltelli prima del punto esclamativo ci portano fino alla spine
, in corrispondenza del capitolo in cui vogliamo andare. Quelli successivi al punto esclamativo iniziano a saltellare dentro il capitolo in questione, andando esattamente nel punto desiderato.
Il supporto
Ho provato a creare un CFI per un semplice link. Testato con Adobe 4, Ibooks, Azardi e Readium, il link ha dato qualche segno di vita solo con quest’ultimo. Il supporto, insomma, sembra ad oggi molto timido, tenendo anche conto che il link non è certo l’utilizzo più significativo dei CFI che dovrebbero e potrebbero avere uno sviluppo molto più interessante per tutto ciò che riguarda la visione, selezione, spostamento di porzioni di testo scelte in maniera omogenea dal lettore/editore. Vedremo se i CFI fioriranno, come certe rose, o se finiranno nel mare morto delle specifiche deprecate, assieme alle XML island.UPDATE
Per completezza riporto anche il link a un progetto di motore lettura EPUB on line che parrebbe usare proprio gli EPUB CFI per l’accesso e il puntamento alle pagine. Per leggerli guardate la barra degli indirizzi.Quando il videogioco è letteratura?
La prima risposta, la più naturale è: quando il videogioco si declina in letteratura elettronica. Il videogioco e – ampliando la visione – la gestione digitale di contenuti narrativi e non, sta dando vita a opere letterarie, espressive, artistiche che sono progettate in digitale e che non hanno niente di affine al libro. Non si tratta di un movimento legato agli ebook ma con radici che coincidono per buona parte con lo sviluppo stesso dell’informatica. Tre battute per entrare sul punto, ovvero sulla letterarietà del videogioco: a) la prima è quella più facile, quella che condivide con il letterario il principale fattore espressivo, ovvero la parola. Per motivi tecnico/pragmatici i primi videogiochi (ma anche i secondi) si sono appoggiati sulla parola scritta, arrivando nei loro sviluppi letterari a notevoli livelli di complessità espressiva e narrativa: dalle avventure testuali agli ambienti di simulazione sociale come i MU* e poi proseguendo in lavori che lentamente si svincolavano dal “genere” videogioco per assumere una propria autonomia espressiva, come le interactive fiction e hypertext fiction. Esistono in rete esempi contemporanei di letteratura elettronica che possono tranquillamente essere messi accanto a testi importanti di letteratura tradizionale quanto a ricchezza strutturale e letteraria. b) Che cosa rende un videogioco un’opera letteraria? Restando in ambito di electronic literature, il fatto che i creatori dell’opera la programmino pensando di fare un’opera letteraria e non un videogioco. Si utilizzano gli strumenti retorici del videogioco per fare qualcosa che potrebbe non avere niente di ludico. L’interattività diventa un elemento tra pari, all’interno di un ambiente il cui fine non è l’intrattenimento, inteso nel suo senso primitivo: da un certo punto di vista, anzi, la letteratura elettronica è meno “rilassante” rispetto alla classica, proprio perché richiede al lettore/giocatore l’interazione attiva propria del videogioco. c) E se non ci sono parole? La treccani insegna:Letteratura: In origine, l’arte di leggere e scrivere; poi, la conoscenza di ciò che è stato affidato alla scrittura, quindi in genere cultura, dottrina. Oggi s’intende comunem. per letteratura l’insieme delle opere affidate alla scrittura, che si propongano fini estetici, o, pur non proponendoseli, li raggiungano comunque; e con sign. più astratto, l’attività intellettuale volta allo studio o all’analisi di tali opere. Come può un’opera che non ha scrittura essere opera letteraria? Qui evidentemente si applica un’estensione semantica andando a coprire altri media rispetto a quelli basati sulla scrittura; coprendoli insomma con l’odore nobile della letteratura. Un videogioco diventa opera letteraria quando dalla letteratura vada a cogliere gli aspetti peculiari che rendono una narrazione >> letteratura. Tornando all’editoria tradizionale: cosa distingue un romanzo di genere da un’opera di letteratura? La treccani dice il “fine estetico”. Una cartina di tornasole di letterarietà potrebbe anche essere quella che rilevi dove si utilizzi un mezzo espressivo per esprimere/mostrare qualcosa che trascende la cosa detta e il mezzo utilizzato. Dove questo avviene, che sia romanzo o videogioco, si attua uno scarto di cui non è onesto non tener conto. d) Un videogioco deve essere per forza snaturare la sua anima “di genere” ludico per diventare opera letteraria? E in seconda istanza: perché un videogioco dovrebbe essere considerato opera letteraria per godere di una considerazione culturale? Forse, considerare il videogioco in prospettiva permette di valutare in maniera più razionale gli elementi che compongono il suo game design. Eradicarlo dal suo ambiente naturale per verificare appunto i suoi strumenti retorici aiuta a valorizzarli. Un videogioco è opera creativa e artistica di per sé, senza alcun bisogno di aggrapparsi a questo o quel media espressivo. Anzi, sta influenzando a sua volta altri media. Ma i suoi cardini sono più potenti del prodotto stesso e lo trascendono. Confrontarne la validità in ambiti “impropri” serve sia a aumentare il suo vocabolario espressivo, sia a riconoscere la sua autonomia.
Alcuni riferimenti:
Per quel che riguarda l’electronic literature, sono ancora utili le due collection fatte qualche anno fa dalla ELO: http://collection.eliterature.org Molto eterogenee, alcune cose hanno più a che fare con la visual poetry, ma ci sono anche alcuni esempi davvero interessanti (The Unknow per dirne uno). Sul versante più ludico, molto interessante Today I Die: http://www.ludomancy.com/games/today.php?lang=it …dove il punto di partenza della breve storia interattiva è quello del videogioco, non prettamente testuale, ma che delle parole sente l’esigenza. In Italia sono da tenere sott’occhio i lavori di molleindustria. Sia i lavori più socialmente virali sia quelli imho a più ampio respiro, come Every Day The Same Dream: http://www.molleindustria.org/everydaythesamedream/everydaythesamedream.html A livello di interactive fiction “classica” un giro di Boa è senz’altro Flamel di Cordella, una avventura testuale in cui la parte narrativa ha maggiore indipendenza rispetto alle strutture tipicamente puzzle del gioco (pur non abbandonandole): http://www.avventuretestuali.com/avventure/flamel/ Il lavoro di letteratura interattiva di quintadicopertina parte dalle polistorie. Tra i titoli sono interessanti per quello che abbiamo detto fino ad ora “Verrà Harry Potter e avrà i tuoi occhi” di Antonio Koch, e “Cuore à la coque” di Mauro Mazzetti. Il secondo soprattutto è un vero e proprio hyper-testo letterario: https://www.quintadicopertina.com/index.php?option=com_content&view=article&id=279:verra-hp-e-avra-i-tuoi-occhi&catid=44:polistorie&Itemid=63 https://www.quintadicopertina.com/index.php?option=com_content&view=article&id=136:cuore-a-la-coque&catid=55:cuore-a-la-coque&Itemid=79 Sul versante saggistica, in Italia c’è poco. Le recensioni e analisi dei testi sono arrivate da appassionati o dalla “critica non ufficiale”. Tra questi è da citare il lavoro di Cinato su Parolata: http://www.parolata.it/Letterarie/Iperromanzo.htm In ambito universitario sono state scritte diverse storie delle letteratura elettronica in Italia, sia di tesi di laurea sia di analisi di dottorato, che in alcuni casi sono arrivati alla pubblicazione in saggio. Tra questi, molto lucida l’analisi di Bianca Gai al già citato “Verrà Harry Potter e avrà i tuoi occhi”, che è possibile leggere in Open Access: http://www.academia.edu/6326169/Ritorno_a_Babele_esercizi_di_globalizzazione_ed._by_Torino_Neos_edizioni_2013_Open_Access_allowed_pages_ Un altra bella analisi a “Cuore à la coque” è in fase di pubblicazione. Queste considerazioni sono un copia e incolla di alcuni messaggi che ho scritto all’interno di un recente thread su Nazione Indiana. Potete leggere tutta la discussione sul sito di NI.Fessure nel giardino cintato di Apple
Ai laboratori/corsi di formazione ebook ho sempre detto che l’ecosistema di Ibooks Author era impermeabile rispetto ad altri workflow basati su XML, come ad esempio ePub. Una prova di forza di Apple che impediva facili conversioni da ePub al suo formato proprietario, filosofia ben diversa da quella di Amazon che fornisce invece strumenti di creazione .mobi a partire appunto da ePub. Qualcosa sta cambiando: nell’ultima versione di Ibooks Author è appunto apparsa una voce per importare da ePub. Si tratta di una apparentemente piccola variazione, ma che di fatto permette a chi lavori in ePub di creare facilmente varianti del proprio prodotto anche nel formato proprietario Apple, magari andando ad arricchire il contenuto con elementi multimediali e interattivi gestiti facilmente dai tablet e desktop apple. L’importazione è al momento molto grossolana e soffre di numerosi bachi, ma è uno spiraglio potenzialmente importante per mantenere un unico flusso di lavoro digitale che comprenda anche il formato made in Cupertino.Le immagini digitali sono una rogna
Nell’editoria tradizionale è tutto più facile, almeno per quel che riguarda la gestione delle immagini. Il grafico sa che una determinata immagine occuperà un tot di centimetri, poniamo 15 centimetri di larghezza, sa che la stampa sarà – ad esempio – a 300 dpi (punti per pollice) e quindi con i suoi programmi di grafica tirerà su una immagine di 15 centimetri che abbia almeno 300 dpi. Conosce la dimensione dell’immagine e i dpi, la densità di puntini che verranno stampati in un singolo pollice. 300 dpi è in genere una buona qualità di stampa. Chi impagina in digitale vive pericolosamente. Quando deve inserire una immagine, non sa né quanto sarà grande né con quanti dpi (nel nostro casoppi
, pixel per pollice) verrà visualizzata. È una strana alchimia che lascia interdetti i grafici tradizionali.
Prima di tutto, dimenticatevi i centimetri e i dpi. Se una immagine viene digitalizzata esiste un’unica unità di misura, i pixel. Quando un programma di grafica vi dà una dimensione di una immagine in centimetri vi sta mentendo, o meglio, cerca di assecondare i vostri desideri. Per il computer l’immagine ha una dimensione in pixel, solo questo. Sapendo la dimensione in pixel il computer può dirvi, ad esempio che questi pixel, a 300dpi occuperanno 15 centimetri. Ma la vostra immagine non è grande 15 centimetri. I pixel della vostra immagine incidentalmente occuperanno 15 centimetri se verranno spalmati su un foglio a 300 punti per pollice. Se dite a Photoshop che, no, la vostra immagine deve essere spalmata su un foglio usando 150 punti per pollice, noterete che occuperà il doppio di spazio rispetto a prima. Perché quello che fa fede non sono i centimetri o i dpi. Sono i pixel. È il digitale, baby.
E gli ebook? Gli ebook hanno due difficoltà congiunte, una sorta di combo-sfiga: da un lato sono tutti di dimensione diversa. Non saprete mai quanti centimetri occuperà la vostra immagine, perché dovrete sempre lavorare con dimensioni relative. Direte che la vostra immagine occuperà il 100% della pagina. Ma quanto sia grande questa pagina, in centimetri, non lo saprete mai. Ogni lettore potrebbe leggerlo su un media diverso: un iPhone, un iMac 27”, un Kobo 6.7 pollici, un iPad… la vostra immagine sarà vista sempre a dimensioni diverse. Ma non basta. Non solo hanno dimensioni diverse, hanno anche ppi diversi. Si passa da schermi che non sopportano più di 90 ppi, fino a sciccosissimi display a 400 ppi. Questo significa che in due schermi della stessa dimensione, ci staranno fisicamente un numero diverso di pixel.
Se io inserisco in un ebook un’immagine di 1000 pixel di larghezza, e dico che quella immagine deve essere visualizzata nella sua dimensione naturale, sarà quasi a pieno schermo in un Kobo Aura e occuperà invece circa due terzi di un Kobo Aura HD. La dimensione dei due schermi è identica, ma hanno una densità di ppi differente.
Come se non bastasse i comandi che presiedono la visualizzazione delle immagini non nascono per le pagine virtuali degli ebook (che ci crediate o meno non esistono – ad esempio – istruzioni grafiche per dire che una immagine deve occupare in altezza il 50% di una pagina di un ebook), e l’interpretazione di queste istruzioni è molto diversa a seconda del programma di lettura. Ad esempio Ibooks Apple si comporta molto diversamente dagli altri (tanto per cambiare).
(continua, anche al laboratorio avanzato ebook di Bologna)
Cose che si possono fare in SVG, che non si possono fare, che non si potrebbero fare
SVG è un formato grafico vettoriale. È uno standard aperto del W3C ed è basato su XML. Non è un formato nuovo: la prima release è del 2001. L’ultima è del 2011. Il supporto però è stato lento e solo in anni recenti si può dire che i maggiori browser abbiano iniziato a gestirlo in maniera soddisfacente. Incidentalmente SVG fa parte delle specifiche ePub2 ed EPUB3, con molti limiti ma anche con qualche raggio di luce. Perché oggi si parla tanto di SVG? Perché è un formato vettoriale, il che significa che le immagini disegnate in SVG non degradano mai qualunque sia la dimensione fisica dello schermo e qualunque sia la densità dei ppi. Ovvero, una buona immagine in SVG si vede bene su uno schermo di un iPhone, di un ebook reader, di un desktop 22 pollici. E spesso occupa molto meno spazio. SVG ha altre caratteristiche, alcune delle quali sfruttabili nei formati epub, altre no, altre ni.- Funziona in epub
- È possibile marcare elementi SVG con link. Siccome un disegno è formato da tanti elementi SVG può essere linkato nelle sue singole parti ad altre parti del nostro ebook, o a riferimenti in rete. In pratica un’immagine SVG si trasforma in un elemento grafico di navigazione. Pensate una mappa in cui ogni singolo stato, se toccato, conduce ad una parte di testo relativa allo stato stesso. E pensate anche all’accessibilità.
- Non funziona in epub2 (ma funziona in EPUB3)
- In SVG è possibile creare una o più viste dell’immagine che abbiamo creato. Ad esempio possiamo disegnare una mappa e vederla nel suo insieme, o vedere il particolare di uno stato o di un elemento geografico. L’immagine è sempre la stessa, ma varia il punto che vogliamo vedere e il suo livello di zoom. Queste viste possono essere attivate con dei semplici link:
fragment identifier
. Purtroppo non esiste alcun supporto in epub a questa tecnologia, se non appoggiandosi (in maniera decisamente più verbosa) a javascript (quindi, solo per EPUB3). - Non dovrebbe funzionare in ePub2 e EPUB3 (ma funzionicchia)
- In SVG è possibile anche definire delle animazioni: spostamenti, cambio di dimensione, variazione di colore o di altre caratteristiche grafiche. Le animazioni possono partire in automatico, su interazione del lettore o a cascata alla fine di altri eventi/animazioni. Sono deprecate dalle specifiche ePub2 e EPUB3 (btw grazie ad Alberto Pettarin per la segnalazione delle specifiche). Ma anche se deprecate, funzionano in Adobe Digital Edition 4, Ibooks di apple e Gitden Reader (in Ibooks addirittura in ePub2). In genere succede il contrario: cose che dovrebbero funzionare non sono supportate. Qui hanno supportato specifiche che non dovrebbero funzionare.
canvas
di HTML5, non fosse altro perché gestisce zoom, animazioni e link in maniera interna, senza il pesante appoggio a javascript. Ogni formalizzazione – imho – ha in se il vantaggio di una virtuale maggiore longevità rispetto a patch e script da allaccciare alla marcatura del codice. Speriamo che EPUB3 recepisca l’SVG in tutta la sua estensione, non solo per le animazioni, ma soprattutto per l’accesso a immagini SVG in diverse viste. Gli sviluppi per campi come la scolastica, i fumetti, il gamebook sarebbero/sono davvero interessanti.
(di SVG si parlerà anche al prossimo corso di laboratorio ebook avanzato di Bologna, il 1 e 2 novembre 2014)
I punti non fermi dell’editoria digitale
Inizia oggi a Genova il laboratorio base di creazione ebook, fra dieci giorni andremo invece a Bologna, dove torneremo a inizio novembre per la fase avanzata (a Genova a gennaio del 2015). Ogni volta, quando sta per incominciare un nuovo laboratorio, mi chiedo cosa dirò ai corsisti. Può sembrare strano visto che sono anni che organizziamo questi corsi, ma chiunque lavori nell’editoria digitale sa bene che qua niente è fermo. C’è stato da poco l’evento Editech, trovate in rete una interessante cronaca di Alberto Pettarin, che si mescola a feedback sull’operato di IDPF, agli update di Adobe (che spesso assomigliano a degli spyware più che veri update), al lavoro di W3C sulle pubblicazioni digitali (tenuto sempre sott’occhio da Livio Mondini nella sua pagina sull’editoria elettronica accessibile), agli ambienti per l’editoria scolastica, grossi transatlantici che devono poi approdare allo stesso porto (e questo prima o poi sarà un problema) e poi alla progressiva implementazione di EPUB3, ai formati di cui pochi fino a poco tempo fa parlavano e che ora stanno entrando prepotentemente sulla scena, come SVG, e a tutto il mondo delle Web App e dell’accesso a contenuti on-line. E tutto questo senza entrare nel merito dell’oggetto di lettura, dello sviluppo dei tablet e degli e-reader. Tutti oggetti di cui, di volta in volta, di predice la morte, a rinascita, l’indiscutibile vittoria. Ah, sì, e poi la carta. Il libro, le riviste. Tutto questo meraviglioso minestrone digitale cambia, non dico ogni giorno, ma ogni settimana. Piccole, medie, grandi variazioni di un mondo che parte dal testo, abbraccia la gestione dei database, si tuffa nei metadati, maneggia immagini, marca vettori, spezzetta (virtualmente) mp3 e converte massivamente codec di questo o quel formato video. E scrive codice, tanto codice. Capite bene che dover progettare un laboratorio che parli di tutto questo annichilisce. Quale programma utilizzare? E per fare cosa? Ogni scelta sembra precluderne altre. Quando nel lontano 2008/2009 abbiamo iniziato a lavorare ai primissimi ebook di Quintadicopertina, il lavoro è stato fatto con un Word Processor. Un normale Word Processor con cui abbiamo generato il pdf interattivo e da cui abbiamo ottenuto alcune esportazioni HTML che, via Calibre, abbiamo poi convertito in mobipocket e ePub. Abbiamo utilizzato questo processo per due ebook, e una volta terminato il lavoro abbiamo detto mai più. Mai più. La sensazione di sconforto e di impotenza nel dover lavorare con un tool di conversione che creava qualcosa dove non avevamo chiaro come e dove mettere le mani per i necessari cambiamenti, o per inevitabili aggiustamenti e correzioni, è stata determinante per farci scegliere di invertire radicalmente il passaggio. Ci siamo seduti, abbiamo cercato fonti di formazione e abbiamo umilmente studiato le specifiche, i sistemi di marcatura, i linguaggi con cui si costruiscono ebook. E non solo quello: anche tutto quello che vive e si sviluppa attorno alle specifiche. Siccome buona parte delle cose che stanno sotto il cofano degli ebook non nascono per fare ebook, ma sono strumenti pre-esistenti, esistono già sofisticati ambienti di manipolazione e di lavoro per l’editore digitale. È facile imbattersi in un tool o in un linguaggio o in un vocabolario dtd nato in ambienti lontanissimi dall’editoria digitale, che si rivela l’uovo di colombo per lavorare massivamente su testi digitali di grande complessità. Quello che mostrerò nei laboratori saranno i minimi e massimi comuni denominatori del minestrone digitale di cui parlavo sopra. Perché per fortuna esistono alcuni punti non fermi da tenere d’occhio, che sono importanti ed essenziali proprio per la loro mobilità: XML, CSS, Javascript, SVG; ma anche Regex, XQuery, metadata, semantica. Che si passi dal mare di IDPF all’oceano delle Web App, usando le bussole di W3C o le benefiche correnti sotterranee di questo o quel tool di authoring, i punti non fermi sono quelli che permettono alla nave dell’editore/redattore/scrittore digitale di alzare o abbassare le vele, di calcolare con cura la rotta tenendosi lontani dagli scogli, di prendere a bordo la quantità di viveri necessaria per il viaggio. Perché il digitale non è solo un libro di carta digitalizzato. Il messaggio si sta svincolando dai media precedenti e genera nuove informazioni per il suo solo esistere. La narrazione – per sua natura – entra in ogni nuova forma di espressione e la modifica, e ne esce anch’essa modificata. Ed è un processo che tocca chi legge, chi scrive, chi pubblica. (I corsi di formazione/laboratori di cui parlo qui sopra partono oggi e si sviluppano per i prossimi mesi a Genova e Bologna. Per chi fosse interessato qui il calendario, qui il programma).Non perdere il segno in EPUB3
Una delle specifiche interessanti ma vedremo di EPUB3 è senz’altro quella degli EPUB CFI. Ovvero la gestione dei Fragment Identifier all’interno degli EPUB. Cosa sono i Fragment Identifier? Beh, sono una figata, in un certo senso. Avete presente i link? Voi potete selezionare qualcosa in una pagina web e linkarla ad un altra pagina web. Ma potete anche usare un Fragment Identifier, ovvero linkare qualcosa a qualcos’altro contenuto in una pagina web. Se avete seguito uno dei laboratori di quinta, ricorderete essere la tecnica che comunemente si utilizza per fare link interni alle note a piè di pagina. I Fragment Identifier di EPUB vanno ancora oltre: permettono di identificare una zona di un EPUB, senza che questa zona debba essere precedentemente marcata attraverso – ad esempio – un’ancora. Questa zona identificata può essere usata per fare cose: oltre al discorso dei link, la parte identificata è identificata. Posso quindi usarla per una citazione, e posso pensare a strumenti che vadano a interrogare i miei ebook per connettere e relazionare parti correlate di testi, anche se appartenenti a ebook differenti (pensate a tutto ciò che può essere manipolazione dei dati di lettura, annotazioni, eccetera). L’EPUB CFI infatti può essere utilizzato sia per riferirsi a EPUB esterni a quelli da cui parte l’identificazione, sia per determinazioni interne allo stesso testo. [Ricordiamoci comunque che parlare di testo per un EPUB è muoversi in terminologia ambigua, visto che ogni EPUB è composto da multipli documenti raccordati da XML di configurazione]. Due domande potrebbero emergere tra i miei dieci lettori:come si fa, e perché l’ho definita una cosa
interessante ma vedremo. Le risposte sono: in maniera molto complicata. Io stesso sto studiando le specifiche a piccoli passi e nelle prossime settimane posterò qualche esempio delle sperimentazioni che ho iniziato a fare. E – appunto – vedremo: un conto sono le specifiche, un conto è il supporto delle applicazioni di queste specifiche. Scopriremo assieme quanto queste interessanti novità di EPUB3 siano già oggi utilizzabili per farci qualcosa.