Minute of Islands
Terminato anche Minute of Islands. Che dire, mi sono commosso. Più di otto ore di storia che, più passavano, più diventava importante il videogame. Alcuni aspetti del gaming non mi hanno convinto del tutto, altri sfondano ancora la quarta parete dell’oggetto videogame.
Segue SPOILER:
Le cose che non mi hanno convinto, a livello di gaming, sono due: la storia è già scritta, possiamo solo interpretarla. Le scelte che facciamo sono ininfluenti. E la grafica è troppo bella, piena di particolari evocativi che viene voglia di esplorare, ma non è possibile. Le interazioni sono funzionali alla storia. Dato il mondo che si è riusciti a creare, il videogame meritava una ‘profondità’ molto, molto maggiore di quella programmata effettivamente. Sarebbe stato un capolavoro.
Ma i pregi sono altrettanti: la struttura tipica del videogame viene scardinata. Iniziamo un normale videogame di genere, con i suoi obiettivi, i suoi personaggi e man mano che proseguiamo nel gioco il nostro personaggio inizia a fare cose che noi non avremmo fatto. È insofferente verso chi dovrebbe amare. Non è capace di empatizzare. Emergono conflitti con il suo passato, emerge un problema di ego, di iper-responsabilità. Il nostro personaggio è vivo, e non siamo noi. Lo stiamo solo accompagnando nel viaggio. E quello che fa e che pensa diventa distruttivo, disturbante. La voce narrante che inizialmente ci dava messaggi motivazionali inizia a darci addosso, a dirci che siamo dei falliti, che non ce la faremo mai. E ha ragione.
Ecco l’ultimo colpo alla struttura del videogame: questo videogioco non si può vincere. Lo scopo del gioco di genere è impossibile da raggiungere. Il nostro personaggio può solo essere sconfitto. Il videogioco – alla fine – racconta esattamente questo: il riconoscimento della sconfitta. L’accettazione di non potere fare qualcosa, di non potere portare a termine quello che consideravamo un obiettivo imprescindibile.
Il momento chiave è quando il nostro omino, il nostro personaggio, quello che stavamo muovendo e facendo saltellare da otto ore, si ferma: e scoppia a piangere.
Bum.
Poi, dopo i titoli di coda, scoprire che essere sconfitti significa soltanto cambiare strada, lasciandosi alle spalle gli scheletri di quello che abbiamo abbandonato.
De natura sonorum
Il 19 dicembre 2021 sarò a Roma, all’interno della manifestazione De natura sonorum, per presentare e parlare delle mie installazioni di electronic poetry “Della terra, del corpo, del niente e delle sue parti” e “Una foresta di voci”.
Stesso giorno, stesso posto, quasi stessa ora c’è anche Marco Giovenale. CUL8R
Anticipazioni da Niente di personale
Segnalo due anticipazioni del mio libro di poesie Niente di personale, in uscita per ArgoLibri.
La prima è su Nazione Indiana, e presenta una poesia dalla sezione Spam Poetry e una da News Poetry.
La seconda invece si può trovare su gammm e contiene tre anticipazioni da tre sezioni diverse del libro: una da News Poetry, una da You are looking for you e l’ultima da Words from the afertlife.
Ricordo che il libro è in preordine, scontato, sul sito di Argo.
nanogenmo (e Flaubert)
È iniziata la sfida novembrina del Nanogenmo: scrivere un software che generi un racconto di almeno cinquantamila parole. Ne parleremo diffusamente su LEI. Quest’anno ho deciso di provare a partecipare anche io, for teh lulz, come si diceva qualche anno fa.
L’idea del nanogenmo flaubertiano è quella di Leon e Emma Bovary chiusi in una stanza che passano continuamente dall’amarsi all’odiarsi. Possono pensare cose, fare cose o dire cose, attingendo da una libreria di periodi presi e adattati da Madame Bovary e divisi per sentimento del personaggio.
Il passaggio da un sentimento all’altro è graduale, usando la funzione con cui si disegnano le texture dei marmi nei videogiochi (il perlin noise 1D). Qua invece delle sfumature del marmo ci sono le sfumature di sentimento di Emma e Leon.
Questo che segue è un frammento di una delle generazioni testuali a questo punto del lavoro di programmazione:
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Niente di personale
In questo 2021 esce un mio secondo libro dopo “Il meccanismo della forchincastro” e la cosa è certo un segno della fine. Se il meccanismo è un romanzo di fantascienza, scritto e riscritto per decenni, “Niente di personale” appena uscito per Argo Libri è una raccolta di poesie che non ho mai scritto.
Tutto il libro è un copia e incolla intelligente (grazie a dio) di materiali che tracimano da internet: messaggi di spam, codici di errore di applicazioni, ads dei quotidiani online, chiavi di motori di ricerca. Anni, anche in questo caso, di copincolla a cui si aggiunge l’uso dell’informatica per smembrare la commedia dantesca e proporla come sezionata, lemma per lemma, ordinata alfabeticamente.
‘Niente di personale’ non ha niente di personalmente scritto da me, è il fascino che le parole generate per il grande altro e per il grande sé hanno quando diventano parole di una collettività così enorme. Il fascino che hanno fatto su di me mentre le leggevo e le ripensavo.
Riposizionandole, variandone la persona, dandogli spazio, mostravano il grande vuoto di chi le ha scritte, le ha propagate per milioni di utenti. “Niente di personale” è un grande scherzo, infinito, ma reale, uno di quegli scherzi boccacceschi che alla fine hanno delle vittime.
È un libro che non si può leggere e non si può non leggere senza provare un senso di frustrazione per tutto lo spazio occupato da quelle parole. Tutto lo spazio fisico, la carta, l’inchiostro. Durante il progetto con Valerio Cuccaroni ad un certo punto gli ho scritto e gli ho detto, guarda, ma questo progetto però in ebook non ha senso.
Questo libro, le sue parole, devono impattare lo spazio, devono consumare risorse. Nessuna di questa parole è stata pensata per essere stampata: sono tutte parole, migliaia di parole, che non sono state generate per rimanere davvero. Fanno parte della grande massa di testo generato per la rete, nella rete, nel digitale e che – per un attimo – ho fotografato per mostrarne la bestia generante dietro.
Devono bruciare carta, elettricità, devono mostrare che anche queste parole, queste query duecentesche, questa cieca ricerca del porno in rete, questo immaginario del consumo del prodotto, tutto questo mondo della parola digitale, muore. Può essere inchiodata. Anche il digitale è un relitto. Valerio ha capito.
Donald Datti quando gli ho parlato del progetto si è arrabbiato, mi ha detto, ma con tutte le poesie belle che hai, vai a pubblicare una cosa del genere. Fun fact: ho il log della chat da qualche parte. Potrei usarlo per farci qualcosa. Ma Donald aveva ragione. Perché non pubblicare le mie belle poesie, quelle che piacerebbero a parecchie persone?
Ecco: ho deciso di pubblicare queste cose perché, come le Poesie Elettroniche, penso che “Niente di personale” sia per metà un libro di poesie, vero, ma per metà sia un manifesto, un manuale d’uso. Uno strumento, una pinza, uno di quei ferri ondulati con cui si tolgono i copertoni dalle moto.
Di belle poesie è pieno il mondo. Preferisco che trovino dei grimaldelli, dei cacciaviti con cui smontare e rimontare l’universo lessicale, cose che gli facciano venire il mal di testa perché pensano troppo.
Il testo è in preordine qua. BTW da notare la strepitosa e divisiva copertina iridescente di Francesca Torelli.
#facebookdown
L’impressione è quella dello sciame a cui chiudano l’accesso al nido, arrivano tutti fino all’ingresso ma è chiuso. Un masso ne impedisce l’accesso. Lo sciame, questa è una particolarità, non si può vedere se non all’interno del nido, quando vola libero ogni individuo è solo. Continue Reading →
Oggi alle 17 sarò al Codefest con Stefano Penge e Andrea Valle per parlare di poesia e codice di programmazione. L’evento è interamente online tranne che per le persone che parlano e ascoltano che sono ancora analogiche.
Iscrivetevi folli!
Realismo Capitalista
Ho finito di leggere Realismo Capitalista di Mark Fisher e mentre leggevo avevo questi momenti in cui ero francamente scettico e altri in cui c’erano delle vere e proprie epifanie su cose che – non solo pensavo – ma che avevo scritto anche io, a mio modo.
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La scuola di un tempo era davvero migliore di quella di oggi?
Un genere letterario che ha grande fortuna sui giornali, e anche in qualche libro, è quello che stigmatizza l’attuale sistema scolastico italiano, degenerato, popolato da docenti senza missione e senza carisma, dove i ragazzi non hanno rispetto delle istituzioni, della gerarchia e si perdono in vandalizzazione e bullismo. Un tempo, è questa la tesi, era ben altra cosa. Un tempo c’era rispetto, studenti motivati, cultura. Anzi, alcuni tra questi autori di distopia scolastica ritengono che il metodo per ritornare ad avere una scuola che funzioni sia il ritorno all’antico: ore scolastiche tradizionali, pedane per il rialzo della cattedra, rispetto per i docenti, no al digitale.
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