Le tecnologie che cambiano la testa degli uomini
SALVA CON NOME
Ho un certo interesse morboso, portato avanti per fortuna con grande indolenza e senza nessuna passione, per i momenti che hanno determinato, tramite un cambio di tecnologia, un cambiamento nella vita dell’uomo.
Ieri notte stavo cercando informazioni sulla nascita della scrittura, soprattutto nel passaggio da sistema mnemonico a strumento espressivo e sono finito in questa cosa che non sapevo, che trovo assolutamente affascinante.
Popoli mesopotamici, circa 8000 a.c. non sanno ancora scrivere, ma è normale, nessuno sa scrivere. Però iniziano a dover tener conto. Metti che presti del farro a qualcuno, degli animali, vuoi ricordarti.
Allora si inventano i token, piccoli oggetti simbolici, sfere, coni, cilindri. Ogni token rappresenta un tipo di bene e più token ovviamente sono più unità del singolo bene.
Con il passare dei millenni questi token inglobano sempre più metadati, piccoli segni o mutamenti di forma permettono di indicare che tipo di animale si sta rappresentando, il sesso o l’età.
E fin qua tutto normale, ci sarebbe arrivata anche terzogenita di suo.
Ad un certo punto però questi token vengono raggruppati. Ad esempio per memorizzare un debito o custodire un unita di calcolo complessa. E magari questa cifra la si vuole tenere sicura, senza che ci sia il rischio che qualcuno la manometta o si corrompa.
Che fanno i Sumeri? Prendono un po’ di argilla, la modellano a palla, ci fanno un buco dentro, ci infilano i token, richiudono l’argilla, disegnano un sigillo e scaldano l’argilla, in modo che diventi dura.
In questo modo “salvano” la cifra, non usano gli hard disk o le SSD, ma palle di argilla. Dure palle di argilla.
Se qualcuno vuole aprire la palla per modificare o manomettere il token, deve proprio spaccarla, rendendo la manomissione manifesta.
C’è però un problema: l’argilla non è trasparente. Una volta che infili i token dentro la palla non li vedi più e quindi non puoi sapere che cifra hai memorizzato. Dovresti spaccarla per vederlo.
Qui l’idea.
I sumeri prendono l’abitudine di premere i token sull’esterno della palla di argilla, quando ancora è morbida, prima di metterli dentro. In questo modo resta il segno dei token che sono stati inseriti dentro. Una volta chiusa e scaldata la palla, basta vedere i segni che sono fuori della palla per capire i token che sono dentro. Non sei costretto a spaccare la palla per conoscere la cifra salvata.
Ecco la svolta.
Ad un certo punto qualcuno si rende conto che non è nemmeno necessario mettere i token dentro alla palla.
Basta il segno. I token non servono più.
La scrittura.
Press Record to Remember
Ho continuato la mia esplorazione, sono andato a cercare un altro momento chiave, molto più vicino a me, che ha influenzato e sta influenzando la società e la cultura delle persone: ho cercato quando fosse stata fatta la prima registrazione audio.
Pensare a un mondo in cui non vi fosse la riproducibilità tecnica sonora, e poi il prodigio di potere memorizzare – nel tempo – i suoni. E la scoperta che ho fatto è stata che anche questo passaggio parte con una scrittura.
L’inizio di tutto è stato infatti – probabilmente – nel 1857, con il fonautografo di Édouard-Léon Scott de Martinville, un macchinario che permetteva di trasformare il suono in linee tracciate su carta o vetri anneriti con il nerofumo.
Si trattava di una macchina per studiare, graficamente, l’ampiezza e la forma delle onde sonore. Non era in alcun modo possibile riprodurre il suono: semplicemente la voce veniva trasformata in linee ondulate su fogli.
Bene: questi fogli sono stati conservati, e una decina di anni fa sono stati ripresi, digitalizzati e sono stati scritti software che – leggendo le onde sonore “disegnate” – potessero fare il percorso inverso: riconvertire rumori, voci, canti dalla carta al suono.
Sono così emerse voci che erano state “registrate” su carta quasi centosessanta anni fa: un canto di Au Clair de la Lune e Vole Petite Abeille, i primi versi dell’Aminta del Tasso e altre cose ancora.