Sagebrush – ancora interactive fiction
Ho giocato in queste ultime settimane a Sagebrush. Si tratta ancora una volta di un videogioco nel quale la componente narrativa è dominante. Un videogioco grafico, costruito come una AT, che racconta, dall’interno, la storia di una comunità religiosa che implode nel fanatismo e nella morte. La descrizione mette in rilievo l’aspetto esplorativo e particolare della trama:
Sagebrush is a short-form first-person narrative adventure about exploring the compound of an apocalyptic Millenialist cult in remote New Mexico years after they collectively took their lives in a mass suicide event.
In Sagebrush, you’ll investigate the long-abandoned Black Sage Ranch, the former home of Perfect Heaven, an apocalyptic cult formed in the early 1990s under the guiding hand of the prophet Father James.
La grafica 3D è in bassa qualità, sembra di giocare a un gioco inizio anni novanta, ma come altri titoli usciti recentemente (The Eternal Castle) questa è una scelta estetico/narrativa e non un limite.
La storia si snoda seguendo il tipico impianto delle interactive fiction, e la grafica spartana ma efficace aiuta ad immedesimarsi nella tensione della storia, così come l’ottimo comparto sonoro. Si leggono i diari, si ascoltano le voci dei fanatici della setta, si capiscono le loro ragioni e si vedono i segreti e le vergogne nascoste dietro al culto. L’interazione con gli ambienti, i motti appesi alle pareti, i regolamenti, i compiti scolastici dei bambini corretti nella scuola della setta, tutto questo permette al gioco di sviluppare un mondo narrativo nel quale il lettore/giocatore si muove.
Dopo un finale tutt’altro che scontato, il giudizio sull’opera, molto breve, è senz’altro positivo. Un altro esempio di come i videogiochi si stiano svincolando dal divertimento fine a se stesso per raccontare storie, cose. Da un certo punto di vista non sono più nemmeno videogiochi, sono puri ambienti narrativi che utilizzano, a volte in maniera molto marginale, alcuni residui del video-gaming come “vocabolario” di interazione con il lettore/giocatore.
Brilla per ambiguità una delle scritte finali del gioco: thank you for playing. Abbiamo “giocato” o abbiamo “interpretato” un personaggio? Non sono questi videogiochi delle interpretazioni che facciamo di personaggi a cui diamo vita in mondi creati attorno a loro per immergerci con loro nelle storie programmate dai creatori?
Nessun difetto? Forse la brevità della trama. Alcuni aspetti nella personalità di James e degli altri adepti della setta avrebbero meritato uno sviluppo più complesso. Anche se – di contro – questo avrebbe appesantito il gaming che è invece piuttosto avvincente.
Alla fine: tra romanzo e fiction sta emergendo sempre di più un nuovo media per raccontare storie complesse, il videogame.