L’opera immortale sarà un’avventura testuale
È stato interessante per me vedere come in due videogiochi grossi a cui ho giocato recentemente, uno prettamente ludico come Thimbleweed Park, e l’altro invece chiaramente “oltre” il videogioco, già in piena letteratura elettronica, Kentucky Route Zero, ad un certo punto emergesse un elemento narrativo “mitico”.
In tutti e due i videogiochi, man mano che si procede con la storia, ci si imbatte in un “corpus” che viene presentato come un archetipo, un grande mistero narrativo al cui interno è nascosto un segreto, una filosofia o proprio una realizzazione di un mondo compiuto, la trascrizione in dati del percorso esperienziale di una persona.
In entrambi i casi, il media che racchiude questo mondo è una avventura testuale, che viene poi rappresentata come “gioco nel gioco”. I personaggi del videogioco a cui giochiamo giocano alla avventura testuale e noi “pilotiamo” le loro scelte, giocando a loro che giocano.
La realizzazione della AT, devo essere sincero, è poco più che simbolica: la complessità omnicomprensiva della avventura testuale mostro viene più allusa che resa in pratica. Ma è interessante – dicevo – che nel momento in cui si è voluto rappresentare un “corpus” narrativo mitico, non si sia scelto il libro, o la biblioteca, ma una AT.
La AT infatti ha questa caratteristica ibrida unica, di essere testo, di essere anche *tanto* testo, ma nascosto, parcellizzato, fruibile solo su richiesta, su espressa richiesta.
Una avventura testuale è in fondo un continuo accesso ad un database narrativo, i comandi che vengono scritti sono query che vogliono come risultato una maggiore conoscenza del mondo in cui siamo e dell’immaginario di chi lo ha creato.
Molto più del libro maledetto, l’introvabile Necronomicon presente a catalogo negli anni ottanta in tante librerie, ma non disponibile al pubblico, l’avventura testuale non mostra mai quello che contiene. Concede un’esperienza essoterica a tutti quelli che la aprono, ma solo andando e scavando all’interno si arriva alla intima conoscenza esoterica, a cose che potevano anche essere sotto gli occhi di tutti, ma erano nascoste.
Il database quindi come forma compiuta di archivio delle cose, come luogo eletto con cui creare l’opera monstrum, quella che è l’accumulo delle informazioni di una vita e che viene prodotto per un pubblico d’elite, capace di una lettura ergodica che vede l’esplorazione come modello, e non il piacere passivo dell’affabulazione.
Se il romanzo e la novella vogliono riprodurre la voce roca che porta alla tranquillità e all’addormentamento, il database richiede un’approccio completamente differente e si presta a questa mitizzazione del non finito: un database, per sua natura, è un agglomerato di informazioni. Non può essere letto, non può essere liberato nella sua totalità, ma solo accesso, interrogato.
Anche questo romanzo che sto leggendo, Portal, pur utilizzando un’interfaccia web, si presenta come database, una storia e le sue fabule frammentate in centinaia e centinaia di atomi testuali raccordati tra di loro.
L’opera mitica, quella a cui lo scrittore lavora per tutta la vita e che resta dopo di lui, non può essere un libro. Un libro è compiuto, mostra la volgarità delle sue pagine. L’opera mitica può essere solo qualcosa che ha ancora qualcosa di non detto dopo essere stata usata. L’avventura testuale e i suoi mondi restano vivi dopo la morte dell’autore, i suoi personaggi si muovono, interagiscono, creano nuove storie non ancora scritte.
Sum a post, prufesur…
Comunque anche a me piace pensare che la mia opera immortale sia un sistema di classificazione, naturalmente registrato in un database. Attualmente sto studiando le classi per il bacino idrografico del Mississippi.