Return of The Obra Dinn
Return of The Obra Dinn che dire? Un videogioco, un rompicapo, una storia? Forse tutti e tre gli elementi, anche se l’aspetto rompicapo è senz’altro l’elemento preponderante.
Una nave della compagnia delle Indie, 1800 circa, ritorna priva di marinai e di carico. Siamo incaricati di salire sulla nave fantasma e di scoprire cosa sia successo.
Ad aiutarci, un libro intonso e un orologio che – a contatto con quel che resta dei cadaveri – ci permette di ascoltare i rumori ambientali degli istanti precedenti la morte e di trovarci all’interno di una specie di “foto in tre dimensioni” dell’istante della morte.
Ogni volta che si trova un cadavere si deve annotare per bene chi sia la vittima e di cosa sia morta. Più si procede, più il libro intonso si popola di informazioni, fino a diventare un drammatico libro di avventura.
Il tutto in una splendida grafica fine anni ottanta, un bianco e nero puro, dove sono tagliati tutti i grigi e trionfa il dithering per le mezze tonalità.
Mi ha sfidato il rompicapo: o abbandonavo o lo finivo e ho deciso di impegnarmi, come da decenni non mi impegnavo in un gioco. Qua non c’è una storia a bivi che – comunque – poi finisce. Bisogna risolvere il gioco per finirlo.
Associare i sessanta volti della ciurma al loro posto nella storia, al loro nome, alla loro morte, è impegnativo. Se non si associano, non si accede ad un capitolo del libro che è essenziale per avere una idea completa della maledizione della Dinn.
Ma alla fine quello che mi ha lasciato squadernato è stato l’ennesimo modo digitale per raccontare una storia.
Il mondo dei videogiochi in quest’ultimo decennio ha sfornato una serie di lavori incredibili, Return of The Obra Dinn è l’ennesimo tassello di uno stato dell’arte per quel che riguarda il piacere di ascoltare, sfogliare, scoprire storie nascoste dal narratore/progettista/programmatore.