Ma i videogiochi sono solo giochi?
Per chi segue questo blog questa domanda potrà sembrare curiosa, eppure recentemente è emersa – ovviamente in altri termini – all’interno della scena degli appassionati di avventure testuali. Nel numero 21 di Retromagazine, Vincenzo Scarpa afferma che un’avventura testuale non è un romanzo, anche se mi sembra giusto precisare che si tratta anch’essa di una forma narrativa
, mentre Francesco Cordella si chiede se la narrativa interattiva sia più profonda e più prestigiosa rispetto alle text adventure
e Vallarino, citato da Cordella, chiude un suo post dicendo che ognuno di noi, se ha una buona storia in mente, può scriverla così com’è, senza doverci per forza aggiungere elementi ludici o interattivi per tentare di trasformarla in quello che non è: un videogioco
.
Partiamo dal fondo: pensare che “una buona storia”, “scriverla così come è” coincida con lo scrivere necessariamente “un romanzo”, significa avere un grosso abbaglio nell’intendere come nasca e come si sviluppi un’opera di letteratura elettronica. “Una buona storia” già quando germina nella testa dei programmatori e degli scrittori, si forma innestandosi e sfruttando gli strumenti informatici, grafici, estetici che il digitale offre e di cui lo scrittore sente il bisogno. Non si trasforma in un videogioco: nasce e sboccia nei campi coltivati del digitale, sfruttando qualsiasi strumento possa essere utile per fare letteratura e narrazione.
Nella mia esperienza personale di scrittore, quando ho lavorato alla progettazione di MUD come Necronomicon agli inizi degli anni novanta, dell’Interactive Fiction “Natalie” nel decennio dopo e – più recentemente – delle hypertext fiction in ebook come Mens e il regno di Axum o della electronic poetry di Poesie Elettroniche, non ho dovuto adattare nulla. Sono tutti lavori che già nella loro progettazione originaria erano pensati per raccontare storie, emozioni, paure e conflitti attraverso la programmazione, il gaming e l’interazione con il lettore/giocatore.
E così le opere di Colombini, da Avventura nel castello a Locusta Temporis, lo stesso Flamel di Cordella, le altre opere in ebook di narrativa interattiva come Progetto Moebius di Mattioli, sono tutti testi che non sono derivati da romanzi, né opere che esauriscano l’interattivita nella sola meccanica degli elementi ludici che li compongono.
La domanda che veniva posta a Scarpa (“Le avventure testuali possono secondo te essere relazionate in qualche modo ai romanzi?”), a cui Scarpa risponde negativamente, ha un bias di fondo: pensare che raccontare significhi scrivere un romanzo (meglio se in un libro, aggiungo io). Ovvero fare coincidere un’attività umana tra le più creative, il raccontare se stessi e gli altri, con una forma/prodotto, e solo una.
Ma – davvero – la dicotomia “narrativa-videogioco” è un relitto di un dibattito datato che viene sommerso e schiacciato soprattutto dal panorama dei videogiochi dell’ultimo decennio. Dopo aver giocato a Paratopic, Life is Strange, Tacoma, Detention, Sagebrush, Sunset, Kentucky Route Zero, tanto per citare alcuni titoli, il dibattito viene annichilito a fronte di compiute opere narrative, poetiche, grafiche che sono videogiochi e sono nello stesso tempo grandissimi esempi di letteratura elettronica.
Questo non intacca in alcun modo il modello avventura testuale: non è obbligatorio fare narrativa se non la si vuole fare, si può giocare per il gusto della sfida logico-enigmistica. E qui sono concorde con Cordella: esistono buoni e cattivi lavori. Ma voler vedere le avventure testuali solo come marginali prodotti di intrattenimento, destinati a una nicchia di nostalgici degli anni ottanta affezionati al parser, significa considerarli prodotti morti, in un panorama videoludico tra i più vitali e interessanti che ci siano mai stati che – proprio alle interactive fiction e alle avventure testuali – guarda con profondo rispetto e amore.
Di fronte a questo, preferisco far parte del gruppo di persone convinte che la narrazione interattiva sia qualcosa che deve ancora dare il meglio di sé, rigiocando le regole con cui era stata creata negli anni settanta del secolo scorso, e indirizzandosi verso un pubblico sempre più ampio, nuovo e curioso.