Leggendo Corto Maltese nel 2021
C’è stato questo periodo della mia vita, fine anni ottanta — inizio anni novanta, che avevo dei soldi e poi andavo all’edicola e questi soldi non c’erano più. Il problema di quando andavo all’edicola era che nell’edicola c’erano i fumetti e c’è stato questo periodo, abbastanza felice da questo punto di vista, che i fumetti in edicola erano appaganti. Per me, almeno, e per quel periodo.
Ricordo ancora il momento preciso in cui comprai abbastanza alla cieca una rivista chiamata Corto Maltese, edicola di piazza Guicciardini, ed entrai in questo mondo di Moebius che all’epoca non conoscevo assolutamente.
Su Corto Maltese lessi Moebius ma anche V for Vendetta, Arkham Asylum, Black Orchid e tanta altra roba che mi portò poi a prendere anche Comic Art, dove conobbi un sacco di strani disegnatori sudamericani e Love and Rockets e molto altro ancora. Nova Express, con Baldazzini, Howard Chaykin, Give Me Liberty di Miller. E poi l’esplosione dei manga, Mangazine, Kappa con le punte di Ghost in the Shell, Akira. E ancora Totem Comics con Edika, e i primissimi Dylan Dog, quando ancora era qualcosa di dirompente.
Un periodo del fumetto davvero entusiasmante e costoso. Un’esplosione che durò qualche anno, poi ci fu una specie di saturazione e l’arrivo in massa di diverse serializzazioni che in qualche modo normalizzarono il tutto.
La cosa interessante di quelle riviste è che leggevi anche cose che non ti piacevano, ma le leggevi. Certi lunghissimi noir francesi, che rimbalzavano di numero in numero.
In realtà la graphic novel la leggevamo già negli anni novanta, tagliata a puntate, a fascicoli, in queste larghe saturae imbandite.
A queste cose ripensavo in coda qualche anno fa, con i miei due volumetti manga in mano, mentre osservavo le ri-edizioni di cose che io avevo già letto decenni fa, ora raccolte in volumi e nobilitate come graphic novel, mentre dietro di me una coppia di ragazzini diceva cose irripetibili sulla continuity di qualche oscuro personaggio Marvel o sulle tazze mug delle casate di Harry Potter. Sto proprio invecchiando ho pensato mentre quello dietro di me diceva che non aveva mai letto The Walking Dead ma che il suo personaggio preferito era Negan, e la ragazzina ridacchiava e diceva eh ci credo è un sadico del cazzo e poi aggiungeva che deve ancora vedere le ultime puntate e sperava, la ragazza, che il suo prof. a scuola non le spoilerasse tutto.
E io sospiravo in coda, pensavo a come il mondo dei fumetti si fosse ridotto a un merchandising per piccoli nerd.
E così oggi, nel 2021, mi sono portato in spiaggia un numero di Corto Maltese del 1991, per rileggermelo. E questo mi ha fatto ancora pensare ad alcune cose in ordine sparso:
- come non esistano più riviste generaliste di fumetti capaci di presentare un panorama internazionale come quelle degli anni ottanta/novanta;
- di come la generazione che aveva vissuto quel magico momento non sia stata (forse) in grado di passare la passione ai propri figli, se non in chiave nerd, trasmettendo — voglio dire — la passione di un determinato genere o autore, ma non la passione per il fumetto nella sua portata più ampia;
- la constatazione che la linea Igort di Linus, che avevo seguito per un anno buono, alla fine avesse creato una rivista legata alle storie brevi e strisce comix rinunciando alle narrazioni ad ampio respiro;
- al fatto che — comunque — grazie ad un investimento fatto nel 1991 potevo portarmi sotto l’ombrellone una rivista di fumetti di trent’anni prima, alla faccia dello streaming e del cloud;
- che ho una personale idiosincrasia per i fumetti disegnati da dio che hanno bisogno, per esigenze di mercato, di andare a collegarsi a qualche universo Marvel o DC invece che camminare con le proprie gambe;
- che — nonostante questo — Black Orchid — è davvero una goduria per gli occhi.
A casa, per verificare le mie sconclusionate riflessioni, mettevo sotto torchio due dei miei tre figli, chiedendo loro perché non leggessero fumetti. Primogenito protestava, diceva che lui leggeva fumetti. Dopo un rapido scambio di accuse e informazioni varie, veniva fuori che nell’arco di un anno aveva comprato tre o quattro volumetti di fumetti (principalmente Saga di Vaughan e Fiona Staples). Alla richiesta di perché avesse scelto proprio quelli, diceva che aveva visto qualche vignetta su internet. Secondogenito diceva che anche lui leggeva fumetti, tipo le vignette che ogni tanto apparivano su Instagram.
E qui – se questo post avesse avuto qualcosa da dimostrare, una tesi per dire — ci starebbe una conclusione che tiri le fila di tutte le cose che ho scritto, ma la conclusione non c’è.
Anzi, dentro di me una voce mi dice che quella per le riviste anni novanta puzza di nostalgia, e che — cambiato il mercato — è cambiato anche il modo per distribuire fumetti: anche solo restando in Italia — ci sono autori molto seguiti come Zerocalcare, Leo Ortolani, Sio e molti altri che godono di un buon seguito di pubblico intergenerazionale e che sanno usare la rete per promuoversi e creare contenuti.
Ma talvolta la nostalgia non è davvero nostalgia, ma — per metà — è curiosità di capire i meccanismi delle cose — per l’altra metà — è la voglia di capire di cosa siamo fatti, oggi, di come i prodotti culturali della nostra adolescenza ci hanno formato, e come, e perché.