Videogiochi & memoria
Sono sempre rimasto affascinato, nei videogame e nelle avventure testuali anni ottanta, dai luoghi disabitati: templi coperti dall’edera e morsicati dal tempo, villaggi abbandonati da decenni di cui restavano vaghe orme del passaggio umano, foreste più o meno vergini. Il luogo disabitato che c’è stato ma che non c’è più, ha due grossi vantaggi dal punto di vista di creazione di un gioco. Prima di tutto è un luogo della memoria. È già gioco desumere ciò che è stato a partire da quello che rimane. Scritti, manufatti, meccanismi di sblocco e di morte. Poi, un luogo disabitato, è più facile da programmare. Credo anzi che grossa fortuna di questi luoghi privi di vita nei videogame anni ottanta, risieda anche nella minor vita da dover programmare.
Oggi rimango affascinato dai videogiochi che ricostruiscono una comunità di viventi (come il recente Mutazione), perché mi godo anche la programmazione che c’è dietro la vitalità, le abitudini, la personalità di questi luoghi. Il passaggio del tempo, le problematiche legate al passaggio del giorno, della notte.
Ma sicuramente il luogo disabitato ha un fascino implicito. Anche nel mondo reale. Come possiamo esplorare i luoghi in cui non siamo stati, possiamo esplorare anche i tempi in cui non siamo stati. Il luogo disabitato, o non più abitato, unisce queste fascinazioni permettendo di entrare in piccole macchine del tempo che ci mostrano quello che non è più.
Il tema della memoria ritorna in diversi videogame contemporanei: in Life is Strange possiamo entrare in un flashback e giocare il passato della protagonista. In Tacoma, frammenti del passato sono stati digitalizzati, e possiamo, parzialmente, farli rivivere sotto ai nostri occhi. E ancora in Roki, la protagonista entra in bolle del proprio passato, vere e proprie fotografie 3D della propria memoria. In altri titoli ancora come Detention o Sagebrush, il passato è qualcosa che si è cercato (inutilmente) di rimuovere e che sta divorando la vita del videogiocatore.
Gli strumenti di retorica, come il flashback, vengono rivisitati e reinventati dal nuovo media videogame e – ricordare – coincide spesso con un sentimento di re-play che impatta sul presente del videogiocatore. Il passato diventa non solo un luogo della scoperta, ma un playground che può modificare la mia contemporaneità.
E questa è una visione interessante: non siamo quello che siamo stati, ma anche quello che siamo stati è un luogo in cui tornare per rigiocarlo, e vivere meglio quello che siamo oggi.