La scuola di un tempo era davvero migliore di quella di oggi?
Un genere letterario che ha grande fortuna sui giornali, e anche in qualche libro, è quello che stigmatizza l’attuale sistema scolastico italiano, degenerato, popolato da docenti senza missione e senza carisma, dove i ragazzi non hanno rispetto delle istituzioni, della gerarchia e si perdono in vandalizzazione e bullismo. Un tempo, è questa la tesi, era ben altra cosa. Un tempo c’era rispetto, studenti motivati, cultura. Anzi, alcuni tra questi autori di distopia scolastica ritengono che il metodo per ritornare ad avere una scuola che funzioni sia il ritorno all’antico: ore scolastiche tradizionali, pedane per il rialzo della cattedra, rispetto per i docenti, no al digitale.
Nel corso degli anni mi sono chiesto se questa età dell’oro sia davvero esistita. Io credo di no, credo che queste persone, scrittori, giornalisti, vivano la tipica deformazione nostalgica di qualcosa che c’è stato, di cui serbano un ricordo positivo e – in virtù di questo ricordo – credano che quel sistema, anzi, quel ricordo nostalgico, sia applicabile oggi, in un contesto economico, sociale completamente diverso.
Con questo non voglio dire che non ci siano stati cambiamenti in meglio e in peggio nella gestione della scuola, ci sono stati, ma le variabili da prendere in considerazione sono decisamente di più di qualche bel momento passato in classe trent’anni fa.
Due spunti: il primo è divertente. Un articolo che dice le stesse cose di questi laudator temporis acti: studenti irrispettosi, crisi dei valori tradizionali, docenti inadatti, famiglie inadeguate. Lo trovate qua. Dove è la cosa divertente? L’articolo è del 1884. Evidentemente questo genere letterario ha da subito avuto una grande fortuna.
Il secondo spunto è invece più serio ed è quello legato a un parametro di cui raramente sento parlare quando nascono questi discorsi sulla scuola che fu: il tasso di scolarità.
Il tasso di scolarità è il rapporto tra il numero degli iscritti nelle scuole e la popolazione in età scolastica. Cosa significa? Se in un determinato anno 100 persone hanno l’età per iscriversi a scuola, quanti davvero si iscrivono?
Perché penso che questo parametro sia importante? Beh, perché ci dice qualcosa su quanti erano gli alunni che andavano in classe “nei bei vecchi tempi” e questo numero ci può fare capire anche qualcosa sul chi entrasse in classe un tempo e chi invece lo fa oggi, con che spirito e con che prospettive.
Se siete interessati ai dati, qua trovate tutto. Dal 1951 al 2014.
Quando io mi sono iscritto a Liceo Classico ad esempio, nel 1984, i ragazzi che si sono iscritti con me erano il 54% della popolazione in età scolastica. Questo significa che il 46% dei miei compagni delle medie, finite le medie, non si è iscritto con me. Molto probabilmente è andato a lavorare. Questo significa anche che – in quegli anni – i docenti avevano in classe una utenza fortemente selezionata alla partenza.
Nel 2014, per fare un confronto, il tasso di scolarità per le secondarie superiori era del 94%. Le leggi sono cambiate, l’età della scuola dell’obbligo anche e questo porta a cascata un cambiamento dell’utenza che entra in classe, dei suoi obiettivi e delle sue motivazioni. È un cambiamento che modifica anche la didattica, il rapporto docente/studenti, la scuola tutta.
Mi fermo: ovviamente questo non basta. Il tasso di scolarità è solo uno dei tanti parametri che vanno presi in considerazione per una reale ricostruzione della storia e dei perché della scuola italiana contemporanea. Ma penso che sia un piccolo indizio di come questa fiction, distruttiva e virale, che richiede una restaurazione scolastica rischi di danneggiare la scuola portando avanti una visione alterata e semplificatoria, costruita su quella che è – di fatto – fuffa pedagogica.