Saranno i computer usati massivamente per l’educazione?
Mi è capitato fra le mani (grazie a una discussione con @quattro_bit@mastodon.uno) il Report 2841, datato 1967, che descrive e valuta tre progetti di videogiochi per le scuole di sesto grado americane (dovrebbe essere corrispondente alla nostra prima media). Tra i tre videogiochi uno era The Sumerian Game, 1964, che sarebbe poi diventato il più celebre Hamurabi, uno dei primissimi giochi di simulazione per computer.
Il report è ricchissimo di informazioni, anche se corposo, quasi duecento pagine. Si scopre che l’idea di creare un videogame basato sui Sumeri nasce come “protesta contro la tendenza nei programmi scolastici di ignorare il mondo precedente alla civilizzazione greca”. Questa cosa che nel 1964 si decida di creare un videogame sui Sumeri per le scuole, per protestare contro i programmi scolastici troppo limitati, è davvero commuovente.
Il videogioco non è in realtà un videogioco: non c’è infatti nessun video, ma si usa un terminale connesso a una stampante. Ma di tanto in tanto il videogioco, senza video, diventa multimediale: il giocatore può infatti decidere di ascoltare materiali audio su nastro e vedere delle diapositive.
La cosa che però mi ha più interessato è la parte finale, in cui si tirano le fila dei tre progetti e si discute il tema: saranno i computer usati massivamente per l’educazione?
Il report prende in considerazioni diversi aspetti:
- i costi: usare computer a scuola ha un costo e – benché si immagini che questi scenderanno con il passare del tempo – è chiaro che è prima di tutto una questione politica: è lo stato federale che deve scegliere di fare investimenti in questo senso.
- l’unicità: i computer devono fare cose che altri media, come i libri, non possono fare. Devono portare una loro specificità che non sia quella di scimmiottare media che esistono già.
- l’efficacia: il report ammette che si impara al computer nello stesso modo in cui si impara normalmente in classe. Ma ci sono vantaggi di tempo (si impara in meno tempo) e di coinvolgimento dei ragazzi: imparare giocando al computer affascina molti di loro.
- l’apporto umano: possono i computer sostituire i docenti? Il report distingue tra una funzione “umana” ed empatica del docente, e una più procedurale. I computer possono facilitare la seconda, permettendo al docente di concentrarsi di più sulla prima. Non ultimo, ci sono studenti che hanno più problemi di altri nel relazionarsi con gli altri e che lavorano meglio in solitudine. Per loro il lavoro con il computer potrebbe essere un vantaggio.
Tutto questo in un report scritto cinquantacinque anni fa. Chi ha seguito le chiacchiere nate in rete dopo i recenti anni di didattica a distanza forzata avrà un certo deja-vu e farà un grosso sospiro nel pensare al tempo perso.
Il report poi continua andando ad individuare come la scuola potrebbe cambiare per includere l’informatica in classe. Saranno – ad esempio – necessari docenti capaci di gestire i dati che i computer stampano e serviranno persone capaci di scrivere software educativi. Semplice no?
Ci sarebbero altri spunti ancora, ad esempio nella grande potenza della casualità per creare simulazioni/videogame in cui mettere in pratica le proprie competenze, ma mi fermo.