Verbale di maturità
Comunque ieri sono entrato a scuola alle sette e venti del mattino, ho stampato le griglie di valutazione, mi sono seduto con gli altri della commissione e ho corretto le prime prove d’esame ininterrottamente per undici ore. Una pausa per mangiare un pezzo di farinata portato da una collega, due per andare in bagno, una perché mi girava la testa.
Di sabato. Stamattina mi sono messo a preparare le lezioni su Leopardi per settembre e lunedì si riprende con la maturità. I famosi tre mesi di vacanza del mondo reale.
Anyway, mentre correggevo i compiti ieri, al mio fianco c’era l’ebook reader su cui prendevo appunti per le note che avevo lasciato sul protocollo, cercavo qualche strano lemma su internet, verificavo qualche frase sospetta.
Anche lui usato ininterrottamente per undici ore per scrivere, leggere, girare su internet, alla fine delle giornata la batteria era all’ottantacinque per cento. Lovvato tanto.
Correggere i compiti di italiano è affascinante ma difficile, è come se stappassi un ambiente pieno di rilievi, forme storte, antenne, piani concavi e convessi e ci dovessi entrare dentro come uno slime verde, che copre ed entra dentro, riempiendo tutti gli spazi senza distruggere niente.
Quelle forme sono l’architettura del pensiero dello studente, sono fragili e diverse. Assomigliano – riga dopo riga – ad un condominio pieno di scale, corridoi, porte aperte, chiuse, accostate. Pianerottoli con piante d’arredo, atri sfondati, carte e fuoco accesi nelle cassette della posta. Ognuno è personale, non lo riconosci finché non ci sei dentro e lo abiti. E io sono lì, verde e senza forma, che esondo e riempio tutto quello che posso, faccio calco.
Come slime devo capire cosa lo studente ha scritto, cosa avrebbe voluto in realtà scrivere, la distanza tra le due cose, gli errori che ha fatto, capire perché li ha fatti e confrontarli con quelli che fa di solito, vedere l’idea di quello che aveva in testa e il prodotto, notare gli abbagli e seguire la luce che li ha provocati per capire la fonte.
Reprimere gli istinti che porterebbero a appallottolare il foglio e ingoiarlo o farlo ascendere al cielo come manufatto divino, pensare che è il coraggioso prodotto di un ragazzo stanco, stanco, stanco, immerso – il prodotto – in un slime verde alieno, miurizzato e quindi scarsamente empatico per contratto, benché in fase di rinnovo. Anche lui stanco, ma coraggioso anche lui.
E quindi tenere gli istinti a bada con l’empatia e la storia, non ridere e non puntare il dito sugli errori perché anche lo slime verde è pieno di difetti imbarazzanti. Di altra natura, di altra gravità.
Alla fine uscire fuori dall’ambiente senza distruggere il manufatto iniziale, tornare ad uno stato di semicondensazione, prendere le griglie di valutazione, sospirare, miurizzare il tutto nel miglior mondo possibile.