Sappiamo troppe cose del mondo
Sappiamo troppe cose del mondo, troppo in fretta e per troppo poco tempo. Sono lì seduto che metto il like a questa notizia del terremoto in Afganistan, zone in cui nemmeno arrivano i soccorsi, centinaia di morti, vado a cercarmi le fonti e intanto passa uno a chiedere soldi ai tavolini del bar, io scuoto la testa, non ho spiccioli, quello mi mostra un foglietto che guardo appena, scuoto ancora la testa, se ne va.
Dopo un po’ realizzo che sul foglietto c’era scritto che era un profugo afgano che aveva fame e io resto a fissare il cellulare e il mio like e alzo la testa ed è sparito, riabbasso, anche la notizia è scivolata via nel flusso. E mi sento stronzo. Mi sento morto. Inconsistente nella storia del mondo.
Ieri sera fissavo queste foto, questo video di questo marocchino per terra, la polizia che fa per trascinarlo via ma si ferma. Gli tocca il polso, gli tocca il collo, lo tocca con il manganello. Il volto di questo ragazzo che non vede più niente, i pantaloni gli scivolano via. Poi la telecamera si alza e mostra il filo spinato pieno di magliette rimaste a proteggere Melilla, un pezzo di Marocco, dai marocchini. Decine e decine di morti per muoversi tra confini immaginari.
La terra è priva di gravità ma parla russo, parla castigliano, francese, ha accenti ucraini, veneti, della bassa Calabria, di Taiwan. La terra, intendo il materiale, è gravida delle valenze umane, della proprietà privata, del potere circoscritto, del nazionalismo. Della tradizione, degli stereotipi. La cultura. Il capitale.
Sappiamo troppe cose del mondo e sono tutte immerse in questa realtà aumentata umana, invisibile, spietata, che la rende inconoscibile.
Uno dei miei studenti ha chiuso il tema sui cambiamenti climatici scrivendo che spera che l’uomo non ce la faccia, che forse è meglio se siamo destinati a sparire, a lasciare spazio a un nuovo abitante del mondo.
Io non ho il suo ottimismo: temo che l’uomo saprà salvarsi ancora una volta e una ancora, ma senza cambiare il suo vocabolario, senza rimuovere la realtà aumentata con cui ha rivestito la terra, se stesso, i suoi rapporti di forza nella società.
L’essere nuovo che potrebbe sostituirci è già qua dentro, convive con noi ma è una linea dinastica debole, fragile, che non riesce a riprodursi senza la spietatezza e l’osceno.