La fragilità del cloud
A gennaio, mentre cercavo di raggiungere mia figlia terzogenita che faceva calcio, ho messo male il piede e mi sono rotto qualche osso del metacarpo (o giù di lì) restando poi semi-immoblizzato a letto per due mesi e mezzo buoni. Sto ancora facendo riabilitazione e ieri – coordinato dal mio fisioterapista – ho fatto la prima corsa programmata, due minuti di corsa, uno di camminata e poi ancora due minuti di corsa, uno di camminata e così via per quindici minuti.
Alla fine ero distrutto e il piede non contentissimo, ma non voglio parlarvi del mio piede quanto del mio orologio, un Suunto Ambit3 Run. Gentile dono della mia consorte di diversi anni fa, il Suunto Ambit3 è un aggeggino carino per automotivarsi alla corsa, al nuoto in mare aperto, alle camminate, monitora il percorso fatto via GPS, si sincronizza con un sito che tiene conto delle attività sportive e – quando l’ho comperato – permetteva di programmare gli allenamenti utilizzando anche un linguaggio di programmazione ad hoc.
Quando il fisioterapista mi ha detto della riabilitazione che dovevo fare ho pensato di scrivermi un breve software che mi beeppasse l’orologio dopo i due minuti di corsa, beeppasse ancora dopo il minuto di camminata e poi facesse un triplo beep alla fine dei quindici minuti. Sono tornato a casa, ho aperto la App Suunto che l’anno scorso fa ha sostituito il sito piattaforma Movescount e ho scoperto che tutte le funzionalità di programmazione degli allenamenti sono sparite.
Ho cercato un po’, ho scritto al supporto tecnico che – gentilmente – mi ha risposto in tempo reale che le applicazioni non sono più utilizzabili e che gli allenamenti programmati non sono più compatibili con il mio orologio.
Ora: non è un grosso problema. Su Suunto, per il futuro, ci metto una bella pietra sopra, ma è l’ennesimo esempio della fragilità del cloud. Acquisto un bene che ha determinate funzionalità che non si appoggiano a una applicazione che gira sul mio computer, ma su una piattaforma online, su un cloud di dati sul quale non ho nessun controllo. Basta che l’azienda chiuda o cambi politica di supporto e il bene che ho comprato non funziona più.
Non è la prima volta che mi succede: account scuola di Google che vengono chiusi e io perdo tutti i moduli interattivi che avevo programmato, musica con drm che si appoggia a servizi che chiudono impedendo la riproduzione musicale e via dicendo. Gli esempi potrebbero continuare per pagine e pagine, da servizi di blogging, newsletter, vendita oggetti, social network.
Non è l’hardware che diventa obsolescente e – da un certo punto di vista è nemmeno il software, è il mercato che atrofizza i prodotti che ha creato.
I servizi che mandano e gestiscono i nostri dati nel cloud sono comodi, ci permettono di accedervi da più device anche quando siamo in giro, ma sono molto più fragili di quello che i loghi colorati di questa o quella azienda vogliono farci credere.
Le nuvole sono transeunti per natura, non sono un buon posto per costruire castelli.