[la battaglia di Lepanto]
Sono qua che guardo l’arazzo della battaglia di Lepanto, poco fa sono uscito di casa per la prima volta dopo una settimana e mi sono seduto nella sdraio nel giardino fuori di casa e avevo con me due libri di antologia e un terzo era nell’ebook reader. E ho letto e quando non ce la facevo più, chiudevo il libro gli occhi e dormivo.
Poi mi svegliavo, sentivo il sole caldo su di me, riprendevo a leggere. Leggevo gli stessi passi in antologie diverse per confrontare le spiegazioni, capire le scelte che stavano dietro agli autori. E ho pensato a quante antologie ho letto nella mia vita. Quelle scolastiche che divoravo di nascosto alle elementari e alle medie, quelle pesantissime che avevo al classico e che ho buttato qualche lustro fa, che avevo riutilizzato anche all’università, quelle di mia moglie che ho usato per la preparazione agli esami per l’insegnamento, quelle grigie del materiale e dell’immaginario e che mi avevano stupito per la geografia delle scelte e dei percorsi, e le tonnellate di quelle che mi trovo a usare in classe oggi, tutte colorate, box dappertutto, piccole figure di quadri a riempire gli spazi.
E poi i romanzi, i poemi, le sillogi, i manuali di letteratura italiana, greca, latina, le introduzioni alla metrica italiana, alla lingua italiana, alla letteratura teatrale, alla drammaturgia greco romana, le versioni di greco e di latino, i pacchi di carta delle economiche che ho divorato diligentemente per decenni e decenni, gli ebook immateriali, gli autori contemporanei e tutto questo corpo nervoso che è la voglia di usare un sistema nato per memorizzare anfore e vasi e mucche e capre, usato per memorizzare l’inesistente, il sogno, la speranza, il crollo e l’amore.
Tutta questa roba che mi porto dentro e che fa parte anche del mio pensare quando parlo, quando emergono, come zattere, lemmi, figure retoriche, modi di vedere e di considerare il mondo e so che questo impasto a volte lo spezzo, a volte lo assecondo, a volte lo maledico e cerco di uscirne come si esce da un naufragio.
E tutto questo groviglio, visto da una certa distanza, è computabile. È storia millenaria di frottole e verità intrecciate e c’è un algoritmo dentro che pulsa e si rilascia, senza calore, un muscolo freddo capace di generare ancora per sempre e innovare per la fame predatoria che abbiamo, quella intellettuale, di ghermire le prede e mostrare i rapidi denti della nostra intelligenza, prima che sparisca.
Così alzo la testa e guardo ancora l’arazzo della battaglia di Lepanto e penso agli identici algoritmi che l’hanno generata pochi secondi fa con dall-e.