Un salTo nel vuoto (del digitale)
L’anno scorso ero andato via dal Salone del Libro con la convizione che il Salone del Libro fosse un Salone del Libro. Dietro la banale tautologia: non era un posto adatto per il digitale. L’area book the future in cui avevamo allestito il nostro ebook cafè, assieme ad altri eroici editori, giornalisti, enti e distributori di ebook reader, rimaneva un luogo/non luogo privo degli strumenti per parlare di digitale e comunicare in maniera seria i contenuti che attraverso il digitale si possono veicolare. Ogni sforzo (e ogni costo) in questo senso era delegato a noi editori digitali. Quest’anno siamo saliti per alcuni incontri e laboratori: uno al digilab, destinato ai bambini e un secondo a book to the future, per parlare di come fare ebook di qualità. Il digilab mi ha dato l’idea di essere molto più to the future che tutta la zona omonima. Tablet con app per laboratori mirati, connessione internet, personale che aiutava i bambini a non perdersi per strada. Docenti che alla fine del laboratorio venivano a chiedere come poter continuare la propria storia in classe. Una bella esperienza che ci ha anche permesso di parlare di narrativa interattiva e di valutare l’effettivo feedback da parte di bambini di quarta e quinta elementare. Passeggiare poco dopo per il book to the future non è stato entusiasmante. Sarò capitato in un momento poco fortunato, ma nella zona dibattito dove avrei parlato al pomeriggio non c’era nemmeno il programma degli eventi programmati per la giornata. Poco oltre una non meglio comprensibile zona laboratoriale presentava dei tavoloni di legno che ho visto utilizzati dai visitatori del salone come appoggi per mangiare. E poi il resto: i banchetti in piedi delle startup, i giochi da tavolo, la poderosa star hardware/distributiva (quest’anno era il turno di Tolino). Gli editori digitali e i servizi si contavano sulle dita di una mano. Dell’acustica delle zone dibattito non parlo. Perché non sentireste. Insomma: il Salone del Libro gli ebook non li capisce. Forse perché non li capiscono gli editori. C’è chi mi raccontava di averli sentiti parlare, gli editori, discampato pericoloo di
allucinazione collettiva, riferendosi agli ebook. Girando a book to the future l’impressione che se ne traeva era davvero quella, anche ricordando le aspettative di qualche anno prima, gli spazi presidiati da Simplicissimus o BookRepublic, ora spariti.
Omnia nova non placentcanterebbe il Banchieri. Eppure, alle cinque, quando con Librinnovando, Effatà e tutti gli altri abbiamo iniziato a parlare di qualità degli ebook, nello spazio discussione i posti erano tutti occupati. E man mano che l’evento proseguiva le persone si fermavano nel corridoio ad ascoltare. E le domande che ci hanno fatto erano precise, mature. Niente odore della carta, ma si è parlato di formati, fumetti, drm, accessibilità, semantica, sostenibilità, app. Non me lo aspettavo. Lo dico sinceramente. Ho avuto l’impressione che sotto i numeri incerti che vengono promossi di volta in volta, dietro i limiti, i vincoli, le campagne di facciata e – fatemelo dire – il grande niente che è seguito alle cose pionieristiche che noi editori indipendenti (e non solo editori) abbiamo fatto in questi primi cinque anni, che sotto tutto questo stato di apparente immobilità, qualcosa sia cambiato. Non che stia cambiando, ma che si sia passati a una fase successiva rispetto a quella del 2010, molto più difficile, nella quale il digitale è un elemento che sovrasta l’ebook stesso. Il digitale viene prima dell’ebook, prima della carta (e dei suo odori), prima del web, prima delle app: è un modo di pensare le cose, di accedervi, di farle trasportare nel tempo e nello spazio.