40 ore su Sable
Qualche settimana fa ho finito Sable, cinquanta di gioco. Intanto devo dire grazie ai programmatori perché Sable è un bel mondo e fa un impressione pensare che sia un prodotto di sviluppatori indipendenti. L’ho comperato in offerta a 10 euro ma anche a prezzo pieno i suoi 25 euro li vale assolutamente tutti.
La cosa che più mi ha colpito è l’estetica: l’idea di questo mondo basato su un (abbastanza) solido substrato storico/religioso, la grafica che – in alcuni punti – può ricordare un po’ il buon vecchio Moebius e diversi luoghi che colpiscono l’immaginazione per la loro forza evocativa anche grazie all’uso di colori non naturalistici e una grande attenzione all’architettura.
A livello narrativo funziona poi questa idea di presentare un mondo fantastico all’interno del quale, di tanto in tanto, si trovano dei relitti di navi spaziali che vengono dalla terra, più precisamente da Londra. E questi due elementi sembrano del tutto alieni gli uni agli altri, finché non si scopre che c’è una storia che lega invece tutto assieme. Si tratta di un elemento gestito con grande parsimonia, ma che funziona molto bene, specie nella parte iniziale.
Non ultima l’idea del Glider, una metafora del momento in cui si abbandona il mondo adolescenziale per “scegliere” cosa fare da grandi. Tutto il gioco è questa nostra esplorazione per capire cosa faremo una volta terminato il nostro momento di glider, l’ultima libertà prima di diventare “grandi”.
Ho girato cinquanta ore in questo mondo perché era bello, esteticamente, come suono, come esplorazione e per la tranquillità del gioco: in Sable non si muore e non si combatte mai, è un gioco “pacifico” e positivo, anche se affronta alcune tematiche politiche e psicologiche che potrebbero essere disturbanti.
Non tutto funziona: ci sono diversi bug, nessuno bloccante, e alcuni punti del gaming rovinano il lavoro di verisimiglianza del mondo (gli enigmi all’interno delle astronavi sopra a tutto) e almeno un enigma su cui ho perso ore era irragionevole e con indizi fuorvianti. Sembra che dopo aver allestito un vero e proprio mondo non siano riusciti ad andare fino in fondo nel ripensare anche la parte di gaming e di enigmi che risulta talvolta pretestuosa e fine a se stessa. Un peccato.
Anche la scrittura dei testi non è il punto forte del gioco. Funzionale, sì, non troppo impegnativa da tradurre, sì (e per fortuna quando c’è un testo tutto si ferma, quindi si possono utilizzare ausilii per tradurre alcuni punti un po’ ostici), ma un po’ troppo elementare.
Ma – al netto di tutti i difetti – resta un gioco in cui ci si può perdere e che dà decine di ore di puro godimento che – dopo i cinquanta anni – non è poco. E poi, impersonare qualcuno che è nel momento delle “grandi scelte” della vita, è sempre bello. Certo, non sono scoppiato in lacrime come quando guardo Kiki consegne a domicilio, ma un po’ mi sono commosso.