
Condivido sotto alcune riflessioni di D’Isa sull’uso, abuso dell’IA con relative paure, terrori e genuflessioni perché tangenzialmente incrociano alcuni miei pensieri dopo aver giochicchiato ieri sera con le nuove potenzialità del generatore di immagini di OpenAi ed averne visto anche i limiti e le chiusure. Aggiungo alcune riflessioni personali, al margine del pensiero di D’Isa, che stamattina mi ballavano per la testa e che ho postato su Facebook e poi qua.
Sto continuando a seguire l’evoluzione delle IA generative, ma da distante. Ci sono alcune cose strutturali di queste piattaforme che mi tengono lontano dal produrre qualcosa di significativo nel campo che padroneggio meglio che è quello della comunicazione e della scrittura.
La prima è la perdita della libertà delle informazioni. Non ho nessun controllo su quali dataset io stia utilizzando, su quali addestramenti e nessun controllo sull’informazione e l’addestramento che io sto collaborando a generare usando le IA. Sono a valle di un processo che è chiuso in una scatola nera e questo – levata la curiosità iniziale – va contro la mia etica informatica e culturale.
A cascata la seconda, derivante dalla prima: le censure. Anche ieri nel fare delle banalissime vignette ho dovuto modificare il messaggio che volevo dare per poter ottenere l’uscita desiderata. Questo va contro la mia etica artistica e – sul medio termine – danneggia la varietà linguistica e comunicativa online. Vedremo nei prossimi anni uscite dell’intelligenza artificiale sempre più omogeneizzate e standardizzate, anche quando non lo sembrino.
E questo a partire da qua: io stesso, nello scrivere questo messaggio su Facebook, sono stato ben attento a non usare termini che avrebbero potuto farlo diventare invisibile agli algoritmi di questa piattaforma. Stiamo abituandoci ad una autocensura per poter usare mezzi che vincolano i nostri contenuti con regole – peraltro – non scritte e decise arbitrariamente da questa o quella società transnazionale. Stiamo educando una comunicazione “DOP”, dead on departure, già evirata di potenziale nel suo atto creativo.
Ancora: gli esperimenti più interessanti che ho visto in ambito IA testuale presuppongono di pagare. I creatori non hanno più bisogno di un computer o di una buona rete dati, ma devono avere un abbonamento a questo o quel server di IA. Ma non solo i creatori: anche i fruitori. Dopo un tot di chatgpt di alto livello, ad esempio, la piattaforma si instupidisce e torna a una versione precedente dove il contenuto avanzato non è più fruibile.
Non sto parlando di un uso di una IA per produrre qualcosa, una foto o un testo, sto parlando di un uso della IA per generare un luogo interattivo dove altri utenti possano entrare e ‘fare cose’ con un ambiente o una architettura allestita da un creatore. Questo oggi presuppone una dipendenza completa, sia del creatore sia dell’utente, dal server di una ditta, dai suoi capricci, dalle sue politiche commerciali e dal fatto che – di tutto questo lavoro – chi trae beneficio commerciale è solo chi gestisce il server.
Da questo punto di vista lo sviluppo della concorrenza, open e libera, sarà molto complessa perché tutta questa infrastruttura costa energia, risorse e ha bisogno di hardware in costante aggiornamento.
L’aspetto positivo, credo, è che nei prossimi anni avverrà una tripartizione dei prodotti della comunicazione e della cultura. a) una vasta creazione di contenuti standardizzati, anche da parte di grosse major, che vedranno nell’AI la possibilità di offrire con minor sforzo economico contenuti di massa (e – dal basso – di generare contenuti standardizzati da chi non ha le competenze tecniche di farne di originali); b) una (minore) creazione di contenuti alternativi e originali fatti con l’IA andando – faticosamente – ad erodere i terreni cintati di questa o quella azienda, o grazie allo sviluppo di alternative libere; c) l’emergere di contenuti chiaramente e deliberatamente svincolati da ogni IA, a livello tecnologico, culturale e pratico, che vadano a lavorare proprio dove l’IA si rifiuta di andare o dove è più incapace e goffa. Un ritorno alla manualità, a tecniche arcaiche o a estetiche scomode e non premasticate.
Ovviamente come tutte le classificazioni, anche questa vedrà osmosi e travasi improvvisi dall’una altra categoria o panorami inediti che oggi sono ancora poco prevedibili.
Qua si può leggere il messaggio originale di D’Isa

Vedo che hai seguito il mio stesso percorso…