Installiamo il basic nel nostro ebook reader

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Due giorni fa ho installato sul mio ebook reader, l’Onyx M96, un piccolo basic chiamato X11 Basic. Il basic è un linguaggio di programmazione che ogni buon programmatore aborrisce. C’è chi molto tempo fa aveva detto qualcosa del tipo, se un mio studente impara a programmare in basic è perso: non potrà mai essere un programmatore. Il basic è il linguaggio di cose della forza oscura come il GOTO.

Io ho iniziato i rudimenti della programmazione in basic, in Applesoft basic per la precisione, e anche dopo il passaggio a una macchina improgrammabile come il Macintosh LC, ho sempre tenuto sotto mano un qualche piccolo tool per la programmazione, come Chipmunk basic o – più recentemente – come lo StarOffice basic. Per studio e divertimento ho provato ad avvicinarmi ad altri linguaggi, come il C e il Prolog, e negli ultimi anni mi sono addentrato in XQuery, Python e Javascript.

Non sono forse un programmatore, ma mi piace scrivere eseguibile. Perché mi serve, molto, per far fare cose al mio computer invece che farle io. Perché la programmazioneè un gesto che aiuta ad avere idee, a provarle, a prototipare azioni di poetica o di scrittura. È un modo, forse il primo e più immediato, per fare cose con le parole che non siano un libro.

Nella mia testa un ebook reader compiuto è un oggetto che permette di leggere, scrivere e programmare.

X11 Basic per Android, da questo punto di vista, mi ha riportato negli anni ottanta. Senza il senso di responsabilità di programmare bene, con un manuale in pdf scaricato direttamente nell’ebook reader, con un buon text editor per scrivere il codice (Quoda), mi sono ritrovato a scrivere funzioni, a far parlare l’ebook reader, a fare cicli disegnando figure geometriche nello schermo, a provare a muovermi per le cartelle dell’Onyx creando file e scrivendoci dentro del testo già marcato in xml. In una parola: a giocare con uno strumento che però, basta girare la curva, può fare subito cose abbastanza serie. Che è stato poi il paradigma vincente del Basic negli anni ottanta.

Ai programmatori veri questo non piace. Non piace l’idea che si pensi che programmare sia facile e divertente. Dà fastidio che si pensi che programmare significhi mettersi davanti al computer e scrivere codice, mentre bisognerebbe prima imparare come funzionano le cose, come si può formalizzare quello che abbiamo attorno in operazioni logiche. Non piace l’idea di usare un tool che ti dà tutto subito, perché è una luce negli occhi che può crearti difficoltà in seguito quando, con progetti più grossi, non potrai usare quel tutto e subito che rapidamente troverai essere una zavorra.

Hanno ragione, programmare non è facile e non è affatto detto che sia divertente. E non è detto che avere tutto e subito sia una buona idea, nella media e lunga distanza.

Quello che trascurano è che programmare è inesorabile, come scrivere versi o pensare storie. Che esiste un playground (in alcuni tool addirittura formalizzato) che è necessario per fare lo step successivo. Un humus sporco in cui crescono piante che – certo – in parte andranno estirpate nel corso degli anni, ma che sono quelle che danno clima alla foresta che inizia a crescerti dentro, a farti venire curiosità di fare le cose, che ti dà lo scarico secco dell’adrenalina quando crei il tuo primo automa che inizia a fare cose al posto tuo come tu non potresti mai.

Questo giardino di strane piante colorate e deformi è un primo scalino che rischia, per snobberia e buonsenso mal riposto, di essere perso. Iniziamo quindi a fare cose sbagliate, installando un Basic residente nel nostro ebook reader.

24. marzo 2016 by fabrizio venerandi
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