Il peccato originale e la lettura del futuro
Nel momento in cui ci mettiamo a voler (o dover) costruire un ebook, la prima domanda che ci possiamo porre è cosa sia un ebook. ebook sta per electronic book, ovvero libro elettronico, ma questa definizione ci richiede da subito una riflessione sulla natura stessa del media, ovvero sulla sua natura di contenuto o di contenitore.
Il confronto con altri media ci può essere di aiuto. Oggi, parlando di musica o di film trasposti in digitale, nessuno parla di vinile digitale
o di pellicola digitale
, ma si parla di musica digitale e di video digitali. Nel momento in cui avviene una conversione da un media tradizionale ad un altro digitale, l’aspetto che si mantiene e che viene riconosciuto come natura del media stesso, è quello del contenuto al di là della sua possibile concretizzazione in un oggetto come una pellicola, un cd, una cassetta, un vhs o un betamax. Il contenuto è quello che passa da un media ad un altro, disinteressandosi del contenitore posseduto di volta in volta.
Con queste premesse lo stesso termine coniato per definire un contenuto digitale testuale paga una sorta di peccato originale: libro elettronico è infatti una definizione che si concentra sul contenitore e non sul contenuto. Il libro è un oggetto che ha una forma, occupa uno spazio, è costituito da pagine sequenziali, ha una rilegatura, si apre e si chiude mostrando una coppia di pagine, ha un peso e tutta una serie di caratteristiche fisiche che condizionano l’esperienza di lettura. Mentre si parla comunemente di musica digitale, non si parla invece di narrativa o saggistica digitale per definire un contenuto digitale, nativo o meno che sia.
Questa definizione che lega il libro digitale al suo corrispettivo cartaceo contiene al suo interno un piccolo paradosso, proprio perché l’ebook ha caratteristiche tali da svincolarsi in maniera più netta dal suo antenato, molto più di quanto abbiano fatto musica e filmati.
Oggi si ascolta la musica digitale nella stessa maniera in cui la si ascoltava in analogico: che si ascoltino i Pink Floyd allo stereo, o camminando con una cassetta ed un walkman o in altre soluzioni di mobilità con un mp3 player, la modalità di ascolto non è variata. Il digitale ha portato una rivoluzione nella distribuzione e nella trasmissione della musica, ma l’ascolto rimane passivo, progressivo e sequenziale [tranne rare eccezioni]. Lo stesso vale sostanzialmente anche per il passaggio da pellicola/dvd/mp4: per guardare un video ci si siede e si guarda quello che succede sullo schermo, piccolo o grande che sia.
Il paradosso di cui parlavo è questo: la parola digitale non si legge oggi come le si leggeva in analogico. Parallelamente all’editoria e alla letteratura tradizionale, si è sviluppato negli ultimi cinquant’anni un utilizzo della parola nativo digitale che ha preso forme e ambiti del tutto indipendenti da quello della forma libro e da quelli della letteratura vera e propria.
L’ambito di questo sviluppo è stato quello informatico.
L’informatica si è appropriata della parola per la sua economicità e per la sua versatilità. Se un’immagine vale più di mille parole, con mille parole ci si possono fare un sacco di cose. La parola è diventata innanzitutto una lingua di comunicazione con il computer. Nel momento in cui si è dovuta gestire la relazione tra uomo e computer, la parola si è offerta come metodo economico di gestione di questo rapporto. I linguaggi di programmazione e il parser attraverso cui comunicare con il sistema operativo si sono basati (e si basano ancora oggi) sulla parola scritta.
Questa parola scritta assumeva una serie di caratteristiche che la distinguevano da quella letteraria: era una parola verbo, aveva una propria sintassi logico-matematica, era una parola manipolabile, era raggruppabile a seconda dell’uso e poteva ampliare il proprio vocabolario a seconda delle esigenze del lettore che – questo è un passaggio importante – era contemporamente uno scrittore. La parola digitale è una parola d’uso, e come tale viene letta e continuamente creata e editata nel processo di interazione con il computer.
Molte di queste caratteristiche informatiche si sono mantenute nello sviluppo successivo della parola digitale, quando gli stessi meccanismi di gestione della parola sono stati applicati alla comunicazione, al gioco e alla letteratura.
Dai primi messaggi e-mail, ai gruppi fidonet e usenet, dalle bbs a videotel, ai mud, alla interactive ficion, fino ai più recenti blog, twitter, facebook e friendfeed, la parola digitale è stata prima di tutto una parola manipolabile in cui il lettore non è soltanto un lettore passivo, ma ha la possibilità di agire sul testo che sta leggendo: navigando con ipertesti, commentando, rispondendo, taggando.
Oggi – quindi – nel momento in cui si parla di ebook come forma di letteratura digitale di massa, ci si trova di fronte ad una materia più complessa di un semplice libro di carta scannerizzato per una device mobile, perché esiste già un sofisticato vocabolario di utilizzo per quello che riguarda una parola scritta in digitale. Basti pensare che già oggi un ebook di un qualunque testo tradizionale nato per la carta, è in realtà un sito web.
Questa confusione sulle caratteristiche del prodotto editoriale digitale, fa sì che lo sviluppo del prodotto ebook sia ancorato alla forma libro molto più di quanto dovrebbe essere. Pur lavorando con strumenti interamente digitali, si lavora a libri digitalizzati e non a contenuti digitali. Mentre gli studenti e i professionisti aumentano la loro conoscenza con un quotidiano lavoro di aggregazione di materiali atomici che trovano in rete, l’ebook si muove ancora in un flusso lineare che scimmiotta la carta, con tanto di animazioni del giro pagina.
È una confusione che ha un beneficio: ammorbidisce la rivoluzione in atto e dà respiro agli editori (e ai lettori) di comprendere e di entrare in confidenza con qualcosa che racconta storie, informa, e non è un libro e magari non usa nemmeno le parole: però è una cosa omogenea, letteraria ed editoriale.
{remix e update di un post di appunti del 2011}
Giusto. A ciò si aggiunge l’anglofilia che caratterizza l’italiano, per la quale continuiamo a parlare di _email_ e _mouse_ dove i francesi hanno creato i loro calchi in francese _courriel_ e _souris_.
Sarebbe più sensato di parlare di _monografie digitali_ (invece che _e-book_) e di _riviste digitali_ (invece che _e-journal_).
La frase …
“Nel momento in cui si è dovuta gestire la relazione tra uomo e computer, la parola si è offerta come metodo economico di gestione di questo rapporto.”
a me, che di venerabile ho solo l’età fa ricordare che quella relazione ebbe inizio, in certi ambienti, come “rapporto di coppia”, tra utente e tecnologia.
Le parole necessarie, per tener vivo quel rapporto, comprendevano anche quelle che facevano parte di un dialogo [operativo], adeguato a permettere l’interoperabilità delle diverse culture dei due partner, senza che nessuna delle due fosse obbligata a dipendere da o a integrarsi nell’altra ….
ma su questo punto ho ampio motivo di credere che non ci sia modo di capirsi.
Quindi me fermo qui.
Questo commento è un tentativo …. di uno in cerca di una via, per dar forma e contenuti a un sito web, in grado di offrire PROspettive LOCali di Web Territorialità … riscoprendo la necessità di un rapporto di coppia [gestito] tra reale [analogico] e virtuale [digitale].