Quando il videogioco è letteratura?
La prima risposta, la più naturale è: quando il videogioco si declina in letteratura elettronica. Il videogioco e – ampliando la visione – la gestione digitale di contenuti narrativi e non, sta dando vita a opere letterarie, espressive, artistiche che sono progettate in digitale e che non hanno niente di affine al libro. Non si tratta di un movimento legato agli ebook ma con radici che coincidono per buona parte con lo sviluppo stesso dell’informatica. Tre battute per entrare sul punto, ovvero sulla letterarietà del videogioco: a) la prima è quella più facile, quella che condivide con il letterario il principale fattore espressivo, ovvero la parola. Per motivi tecnico/pragmatici i primi videogiochi (ma anche i secondi) si sono appoggiati sulla parola scritta, arrivando nei loro sviluppi letterari a notevoli livelli di complessità espressiva e narrativa: dalle avventure testuali agli ambienti di simulazione sociale come i MU* e poi proseguendo in lavori che lentamente si svincolavano dal “genere” videogioco per assumere una propria autonomia espressiva, come le interactive fiction e hypertext fiction. Esistono in rete esempi contemporanei di letteratura elettronica che possono tranquillamente essere messi accanto a testi importanti di letteratura tradizionale quanto a ricchezza strutturale e letteraria. b) Che cosa rende un videogioco un’opera letteraria? Restando in ambito di electronic literature, il fatto che i creatori dell’opera la programmino pensando di fare un’opera letteraria e non un videogioco. Si utilizzano gli strumenti retorici del videogioco per fare qualcosa che potrebbe non avere niente di ludico. L’interattività diventa un elemento tra pari, all’interno di un ambiente il cui fine non è l’intrattenimento, inteso nel suo senso primitivo: da un certo punto di vista, anzi, la letteratura elettronica è meno “rilassante” rispetto alla classica, proprio perché richiede al lettore/giocatore l’interazione attiva propria del videogioco. c) E se non ci sono parole? La treccani insegna:Letteratura: In origine, l’arte di leggere e scrivere; poi, la conoscenza di ciò che è stato affidato alla scrittura, quindi in genere cultura, dottrina. Oggi s’intende comunem. per letteratura l’insieme delle opere affidate alla scrittura, che si propongano fini estetici, o, pur non proponendoseli, li raggiungano comunque; e con sign. più astratto, l’attività intellettuale volta allo studio o all’analisi di tali opere. Come può un’opera che non ha scrittura essere opera letteraria? Qui evidentemente si applica un’estensione semantica andando a coprire altri media rispetto a quelli basati sulla scrittura; coprendoli insomma con l’odore nobile della letteratura. Un videogioco diventa opera letteraria quando dalla letteratura vada a cogliere gli aspetti peculiari che rendono una narrazione >> letteratura. Tornando all’editoria tradizionale: cosa distingue un romanzo di genere da un’opera di letteratura? La treccani dice il “fine estetico”. Una cartina di tornasole di letterarietà potrebbe anche essere quella che rilevi dove si utilizzi un mezzo espressivo per esprimere/mostrare qualcosa che trascende la cosa detta e il mezzo utilizzato. Dove questo avviene, che sia romanzo o videogioco, si attua uno scarto di cui non è onesto non tener conto. d) Un videogioco deve essere per forza snaturare la sua anima “di genere” ludico per diventare opera letteraria? E in seconda istanza: perché un videogioco dovrebbe essere considerato opera letteraria per godere di una considerazione culturale? Forse, considerare il videogioco in prospettiva permette di valutare in maniera più razionale gli elementi che compongono il suo game design. Eradicarlo dal suo ambiente naturale per verificare appunto i suoi strumenti retorici aiuta a valorizzarli. Un videogioco è opera creativa e artistica di per sé, senza alcun bisogno di aggrapparsi a questo o quel media espressivo. Anzi, sta influenzando a sua volta altri media. Ma i suoi cardini sono più potenti del prodotto stesso e lo trascendono. Confrontarne la validità in ambiti “impropri” serve sia a aumentare il suo vocabolario espressivo, sia a riconoscere la sua autonomia.